Pagine Esteri – Lo schianto di un aereo da trasporto militare su alcune abitazioni a Omdurman, la “città gemella” della capitale Khartoum, ha causato la morte di una cinquantina di persone tra civili e militari, tra cui un generale. Non è chiaro cosa abbia fatto precipitare il velivolo, anche se nella zona infuriano da tempo i combattimenti tra le forze regolari fedeli al regime (SAF) e i ribelli (ex alleati del governo) delle Forze di Supporto Rapido, guidate dal generale Mohamed Hamdam Dagalo detto Hemeti

L’offensiva governativa funziona
Nonostante le perdite, l’esercito e le milizie alleate riunite nelle Sudan Shield Forces hanno conquistato recentemente molto terreno, riprendendo il controllo di varie località a ridosso della capitale e di Omdurman oltre che zone consistenti della regione del Nilo Orientale, a lungo controllate dalle Forze di Supporto Rapido RSF).

Secondo testimoni ed osservatori, dopo aver conquistato lo stato di Gezira, le avanguardie delle Forze Armate Sudanesi sarebbero già riuscite a penetrare nel centro della città.
Anche nel Kordofan del nord, grazie al supporto dei droni turchi, l’esercito avrebbe conquistato terreno anche se le milizie hanno risposto bombardando ripetutamente le centrali elettriche con i droni forniti da Abu Dhabi.

Le mosse di al-Burhan
Sembra quindi che “l’offensiva generale” lanciata lo scorso anno dal capo del regime sudanese ora insediato a Port Sudan, il generale Abdel Fattah al-Burhan, stia funzionando, anche grazie ad alcuni mosse azzeccate dal punto di vista politico e tattico.

Tra queste, l’alleanza tra le forze armate fedeli ad al-Burhan e alcuni movimenti armati presenti nel paese, in particolare una delle fazioni in cui è diviso il Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan – Nord (SPLM-N), guidata da Malik Agar, promosso alla vicepresidenza del governo lealista denominato “Consiglio Sovrano”.

Inoltre al-Burhan è riuscito a convincere alcuni comandanti delle Forze di Supporto Rapido a passare dalla sua parte; un importante ruolo, nella conquista di Gezira, è stato giocato dalla scelta di Abuagla Keikel di mollare le RSF e passare dalla parte delle SAF.

Il sostegno di Russia e Iran
Sul fronte internazionale, al-Burhan ha deciso di affidarsi alla Russia e all’Iran ottenendo sostegno politico ed economico ma soprattutto militare, fondamentale per la riuscita dell’offensiva contro le milizie ribelli. Da Mosca sono infatti arrivati tank, caccia e tecnologie d’avanguardia mentre Teheran ha fornito i droni Mohajer-6, aiutando al contempo le SAF ad avviare la produzione di una versione locale dei velivoli senza pilota iraniani. Anche l’Eritrea si è schierata con al-Burhan, impegnandosi ad addestrare un certo numero di militari sudanesi.

In cambio del supporto iraniano, al-Burhan sembra aver rinunciato alla normalizzazione delle relazioni con Israele ed alla paventata adesione agli Accordi di Abramo. Inoltre Port Sudan ha chiesto a Teheran di assumere un ruolo chiave nella futura ricostruzione del paese.

Da parte sua la Russia sembra aver ottenuto l’assenso definitivo del regime sudanese alla realizzazione di una propria base navale sul Mar Rosso. Il 13 febbraio, infatti, il ministro degli Esteri di al-Burhan, Ali Youssef, ha incontrato a Mosca l’omologo Sergei Lavrov per discutere della richiesta russa. Dopo sei anni di difficili e altalenanti trattative (all’inizio della guerra civile Mosca ha appoggiato le Forze di Supporto Rapido in cambio dello sfruttamento delle miniere d’oro del Darfur) la Russia ha finalmente ottenuto l’assenso, spera definitivo, a stabilire una base militare nell’area di Port Sudan.

Le due parti hanno concordato il riavvio dell’accordo preliminare firmato nel novembre 2020 che prevedeva una concessione di 25 anni per la realizzazione di un polo navale russo sulle coste del Mar Rosso in grado di ospitare alcune centinaia di militari e quattro navi da guerra.

I ministri degli Esteri di Port Sudan e Mosca

Dagalo divide le opposizioni e forma un “governo parallelo”
Tentando di bilanciare i rovesci militari, il generale Dagalo ha realizzato una serie di incontri con alcuni dei leader dei partiti della coalizione “Taqaddum” prefigurando, in caso di vittoria, un processo di transizione che allo stato sembra assai improbabile.

Il leader delle Forze di Supporto Rapido ha potuto contare sul processo di frammentazione che ha investito la coalizione di movimenti civili finora guidati da Abdullah Hamdok, primo ministro del governo di transizione destituito nell’ottobre del 2021 da un colpo di stato realizzato congiuntamente dalle forze di al-Burhan e di Dagalo (che poi però nel 2023 hanno iniziato la sanguinosa guerra civile tuttora in corso).

La divisione di Taqaddum ha portato alla creazione di due coalizioni politiche. La prima, denominata “Sumoud” (Alleanza civile democratica delle forze della rivoluzione) e guidata da Hamdok, si dichiara contraria ad ogni tipo di collaborazione con i due schieramenti protagonisti del conflitto civile; la seconda, invece, guidata dall’ex portavoce di Taqaddum Idris al-Hadi, si è prestata a firmare una dichiarazione di intenti propedeutica alla formazione di un governo parallelo in esilio guidato dalle Forze di Supporto Rapido.

La firma, dopo vari rinvii, è avvenuta a Nairobi lo scorso 22 febbraio ed ha provocato una forte crisi diplomatica tra il paese ospitante, il Kenya, e il governo di al-Burhan. Port Sudan ha ritirato il proprio ambasciatore ed ha accusato il presidente keniota William Ruto di sostenere quella che ha definito “una milizia genocida (…) vendendosi ai finanziatori delle RSF”, in riferimento all’Etiopia ma soprattutto agli Emirati Arabi Uniti.

Le Forze di Supporto Rapido si asserragliano nel Darfur
Da parte loro, pressati da più direzioni dall’offensiva delle forze regolari, i miliziani di Dagalo hanno ripiegato nel Darfur, regione dove le Forze di Supporto Rapido si sono formate a partire dalle milizie Janjawid, costituite per volontà del dittatore Omar al Bashir. In Darfur i paramilitari di Hemeti sono tornati a praticare la pulizia etnica a danno delle popolazioni africane non arabe.

Il leader dei ribelli sembrerebbe intenzionato almeno a consolidare il suo potere e il suo controllo della regione dove le sue milizie sono più numerose e radicate, e allo scopo si è dedicato alla formazione del “governo parallelo” alternativo al Consiglio Sovrano e che aspira ad ottenere un certo riconoscimento internazionale in virtù dell’inclusione di una parte dei partiti che avevano dato vita al processo di transizione interrotto violentemente.

L’emergenza umanitaria si aggrava
Nel frattempo il blocco dei finanziamenti statunitensi ha paralizzato ciò che rimane del sistema sanitario del Sudan, causando un impatto gravissimo sulla popolazione stremata dalla lunga crisi e poi dalla guerra civile che ha causato molte decine di migliaia di vittime.

La situazione è stata denunciata da un rapporto stilato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Health Cluster, che racchiude 66 partner tra cui organizzazioni internazionali, agenzie Onu, Ong e istituti accademici. Secondo il documento il taglio dei finanziamenti deciso da Trump ha colpito le principali agenzie delle Nazioni Unite e altre organizzazioni, ostacolando gravemente la loro capacità di far fronte ad una crescente crisi umanitaria. Oltre alla malnutrizione e alle conseguenti patologie, nel paese stanno dilagando anche epidemie di colera e malaria, con una situazione particolarmente grave in Darfur.

Dall’inizio del conflitto si stima che almeno 12 milioni di persone siano state costrette ad abbandonare le proprie case e a cercare rifugio in altre aree del paese se non addirittura nei paesi confinanti. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria