Su ordine del premier Benjamin Netanyahu, Israele ha chiuso il passaggio di tutte le merci e gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Una mossa letale per la popolazione affamata e impoverita dell’enclave, che lotta per la sopravvivenza tra le macerie e la devastazione, circondata da migliaia di corpi in putrefazione sotto le macerie delle case distrutte.

“Il primo ministro Netanyahu ha deciso che a partire da questa mattina tutti gli ingressi di merci e forniture nella Striscia di Gaza cesseranno”. Un comunicato stampa netto e senza alcuna esitazione. Hamas ha definito la decisione di Tel Aviv “un ricatto” e ha annunciato che non si “piegherà”, dichiarando che “Israele sta ignorando il diritto internazionale e bloccando l’ingresso di medicine e cibo. Interrompere gli aiuti significa che l’occupazione ha deciso di affamare la gente della Striscia di Gaza”. In effetti l’obiettivo dichiarato da Netanyahu è esattamente quello di affamare la popolazione per costringere il gruppo islamico ad accettare le nuove condizioni israeliane, che non intendono rispettare gli accordi già sottoscritti e bloccano la seconda fase dell’accordo pur di non discutere di ritiro, di cessate il fuoco permanente, di ricostruzione, di tutto ciò che garantirebbe una seppur lenta ripresa della vita nell’enclave assediata e distrutta.

Secondo i media israeliani la decisione è stata presa insieme agli Stati Uniti. Su richiesta del partner ebraico l’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, Wittkoff, avrebbe presentato agli altri negoziatori una proposta che riprende esattamente le volontà di Tel Aviv e blocca il processo di pace chiedendo di continuare con lo scambio degli ostaggi senza alcuna garanzia che dopo i rilasci non riprendano i bombardamenti. Israele aveva già dichiarato, nei giorni scorsi, che a differenza di ciò che è stato sottoscritto a gennaio, non intende ritirarsi dal corridoio Filadelfia, che separa Gaza dall’Egitto e continuerà dunque a controllare e gestire tutto ciò che entra e tutti coloro che intendono uscire dalla Striscia.

Immediato il coro di giubilo dei ministri più estremisti del governo Netanyahu, come quello delle finanze, Bezalal Smotrich e l’ex ministro della sicurezza nazionale, il supremasista ebraico Itamar Ben Gvir. Quest’ultimo ha dichiarato in un post su X che “Alla fine la decisione è stata presa: meglio tardi che mai. Questa dovrebbe essere la politica da seguire finché non saranno restituiti gli ultimi ostaggi. Adesso è il momento di aprire le porte dell’inferno, di chiudere l’elettricità e l’acqua, di tornare alla guerra e, cosa più importante, di non accontentarsi solo di metà degli ostaggi, ma di tornare all’ultimatum del presidente Trump: tutti gli ostaggi immediatamente, altrimenti si scatenerà l’inferno a Gaza”.

 

Anche il ministro delle finanze israeliano di estrema destra Bezalel Smotrich ha affidato a X il suo pensiero di soddisfazione e sangue: “la decisione che abbiamo preso di fermare completamente il flusso di aiuti umanitari a Gaza fino a quando Hamas non sarà distrutto o si arrende completamente e tutti i nostri ostaggi saranno restituiti è un passo importante nella giusta direzione. Le porte dell’inferno sono allettanti. Ora dobbiamo aprire queste porte il più rapidamente e mortalmente possibile al nemico, fino alla completa vittoria”.

Le proteste, già esplose sabato sera in Israele per richiedere di continuare con la seconda fase dell’accordo, proseguono oggi dinanzi alle case dei ministri.

Per mettere pressione a Netanyahu e al suo governo, Hamas ha reso pubblico sabato un video che mostra due fratelli, Eitan e Iar Horn, entrambi ostaggi a Gaza, salutarsi e abbracciarsi in lacrime prima del rilascio di uno di loro. Eitan è rimasto nella Striscia e nel filmato girato dal gruppo islamico chiede a Netanyahu di accettare la seconda fase dell’accordo e riportare tutti a casa: “Se hai un cuore, una coscienza anche piccola, firma, firma oggi”. L’ufficio del primo ministro ha accusato il gruppo islamico di “brutale propaganda”.

A Gaza il Ramadan, il cui inizio è coinciso con la fine della tregua, è cominciato tra l’incertezza e i timori per ciò che potrà accadere. Centinaia di palestinesi hanno tenuto insieme il primo Iftar, il pasto serale che rompe il digiuno, con una lunghissima tavolata tra le macerie di Rafah.

Il ministero della salute palestinese ha fatto sapere che negli ultimi due giorni sono stati registrati ventitré decessi, di cui due persone uccise e ventuno corpi recuperati, aggiornando così il numero dei morti a 48.388. Saleem Oweis, portavoce di Unicef a Gaza, ha dichiarato che sei settimane dopo l’inizio del cessate il fuoco le necessità della popolazione restano enormi: “Riparo, cibo, acqua pulita, che non è ancora disponibile per molti”.

Anche se la tregua ha permesso l’ingresso di beni sul mercato, ha aggiunto Oweis, “è tutto troppo costoso per la maggior parte di coloro che sono stati tagliati fuori da qualsiasi reddito negli ultimi 16 mesi. Tutto quello che dobbiamo fare è aprire le porte e far entrare tutto l’aiuto necessario, senza alcuna restrizione”.

Mentre si moltiplicano gli appelli internazionali per proseguire il cessate il fuoco, il segretario di stato Usa Marco Rubio ha richiesto l’invio di altri 2,04 miliardi di dollari in munizioni e attrezzatura militare per Israele. Motivato da «ragioni di emergenza» e negli «interessi di sicurezza nazionale degli Stati uniti», il nuovo lotto verrà consegnato nel 2026 e comprende 35.529 bombe, 4.000 testate a penetrazione, materiale per i ricambi, supporto per il trasporto e altro ancora. Pagine Esteri