PERÙ
In Perù, continua l’accanimento giudiziario contro l’ex presidente Pedro Castillo, in carcere preventivo da 36 mesi con l’accusa di aver tentato un colpo di Stato, il 7 dicembre del 2022. Allora, il maestro rurale, privo di astuzia politica e di appoggi nel sistema di potere peruviano, rimase vittima delle consolidate manovre dell’estrema destra, furibonda per l’irruzione di un presidente estraneo agli apparati. Ai suoi danni, si consumò un “golpe istituzionale” da cui ha tratto profitto la ex vicepresidenta Dina Boluarte, che abbandonò il presidente e il suo partito – Perù Libre – per allearsi con la destra, e che da allora figura come presidenta: un’usurpatrice, gridano nelle piazze i manifestanti, contro i quali Boluarte ha scatenato una sanguinosa repressione.
Ora è sotto inchiesta per corruzione, ma più che mai intenzionata a terminare un mandato che nessuno le ha dato, fino al 2026. Intanto, la difesa di Castillo si è vista respingere tutti i ricorsi con cui ha provato a smontare le accuse contro l’ex presidente che, secondo il Pubblico ministero, è destinato a scontare 34 anni di carcere. Il processo per il presunto autogolpe inizierà il prossimo 4 marzo.
Intanto, le organizzazioni femministe protestano per l’aumento dei femminicidi e della violenza di genere, che ogni ora colpisce una media di 16 donne. Una situazione sempre più drammatica da quando Boluarte ha abolito il Ministero della donna.
CUBA
Nessuno aveva dubbi che la nomina a Segretario di Stato di Marco Rubio, da sempre al servizio della più ostinata ossessione mercenaria contro ogni espressione di socialismo, fosse un cattivo segno per Cuba e per il Venezuela. E gli effetti non si sono fatti attendere. Dopo aver cancellato la decisione di Biden di togliere Cuba dalla lista dei paesi “patrocinatori del terrorismo”, Trump ha deciso di colpire il messaggio più “esplosivo” che l’isola comunista lancia al mondo da decenni: medici, non bombe. Ha così annunciato una nuova restrizione sui visti per il personale sanitario cubano impegnato in un programma solidale con cui Cuba aiuta altri paesi colpiti da catastrofi o epidemie.
La prima missione medica fu creata a Cuba nel 1960 in risposta a una catastrofe naturale, nonostante fin dall’inizio della rivoluzione gli Stati uniti avessero messo in atto una politica di incentivi criminali per rubare medici di alto livello, formati gratuitamente a Cuba, e trasformarli in controrivoluzionari votati al profitto in Florida. A tal fine, dal 1966 gli Stati Uniti hanno modellato l’intera politica di immigrazione nei confronti dei cubani sul Cuban Adjustment Act, che sostanzialmente stabilisce che chiunque lasci l’isola senza autorizzazione e entri negli Stati uniti (comprese attraverso le acque continentali) sarà autorizzato a ottenere una carta di residenza permanente un anno dopo.
Ma ciò che colpisce è la sfacciata ipocrisia con cui un sistema come quello degli Stati uniti, che lascia morire per strada chi non ha soldi per pagarsi le cure, e sfrutta selvaggiamente la manodopera immigrata a basso costo, si permette di definire la Missione Medica Cubana come “lavoro forzato”, e addirittura insinua che inviare personale all’estero priverebbe i cittadini cubani dell’assistenza medica: quando tutti sanno che, nonostante il criminale blocco che Cuba subisce, il suo sistema sanitario è uno dei migliori al mondo. Lo si è visto durante la pandemia con la rapida produzione di vaccini che però, paradossalmente, non hanno potuto essere iniettati subito per mancanza di siringhe, ottenute solo grazie alla solidarietà di Paesi e popoli fratelli.
NICARAGUA
Il Nicaragua ha deciso di uscire dal Consiglio per i diritti umani. Lo ha annunciato la co-presidenta Rosario Murillo in risposta a “tutte le falsità, la calunnie e le menzogne profferite contro il governo del Nicaragua nell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Murillo ha denunciato l’attitudine “colonialista”che regge le azioni degli organismi, che sono stati creati per servire al bene di tutti. Agli inizi di febbraio, il Nicaragua aveva annunciato anche il ritiro dall’Organizazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), considerando “inaccettabile, inammissibile e irrispettuosa” la relazione dell’organismo secondo cui la carenza alimentare sarebbe passata dal 17,8% nel 2018 al 19,6% nel 2023. Il presidente del Parlamento, Gustavo Porras, ha poi respinto le minacce di Trump contro i paesi socialisti della regione: “Questo è il vero volto dell’imperialismo – ha detto – non c’è da stupirsi. Questo è il volto dell’ingerenza, degli attacchi ai diritti umani, dell’attacco all’umanità. La nostra costituzione ci fornisce però gli strumenti per affrontare la situazione”.
Il 30 gennaio, il Parlamento ha approvato la Legge Parziale di Riforma alla costituzione, con il sostegno dei 91 legislatori che lo compongono. La costituzione definisce il Nicaragua come uno Stato rivoluzionario in cui “il potere risiede nel popolo che lo esercita”, con la partecipazione da protagoniste delle donne in tutti gli ambiti politici, con equità di genere. E questo a partire dalla Presidenza della repubblica, che ora consta di una co-presidente e di un co-presidente, che potranno nominare i propri vicepresidenti. Inoltre, la riforma prolunga da 5 a 6 anni il mandato presidenziale, legislativo e comunale.
Si ribadisce, poi, che i nicaraguensi hanno diritto “alla salute e a un’istruzione gratuita e di qualità”, e che viene garantito l’accesso alla cultura, allo sport e alla ricreazione, alla sicurezza alimentare e nutrizionale, ai servizi di base quali acqua potabile, servizi igienici ed energia; a un alloggio dignitoso e sicuro e alla promozione dell’economia creativa”.
Al riguardo, Porras ha ricordato che tutti i diritti sanciti dalla riforma sono stati istituzionalizzati dal primo governo sandinista della Rivoluzione del 1979. E che sono stati ripristinati nel 2007, con l’elezione del presidente Daniel Ortega, dopo essere stati negati dal neoliberismo che ha governato tra il 1990 e il 2006. Pagine Esteri