AGGIORNAMENTO 8 MARZO

L’Osservatorio siriano per i diritti umani riporta che 340 alawiti sono stati giustiziati sommariamente dalle forze di sicurezza, che includono anche jihadisti sunniti stranieri, nei distretti di Banyas, Latakia e Jableh. Questo porta il bilancio delle vittime da giovedì ad almeno 524. Centinaia di civili in fuga dai massacri hanno trovato rifugio nella base aerea russa di Hmeimim. Tra le vittime ci sarebbero anche siriani  di fede cristiana. Domani è prevista una manifestazione a Damasco contro i massacri e per la fine degli scontri armati tra i governativi e formazioni armate fedeli al presidente deposto Bashar Assad.

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Pagine Esteri
– Numerosi agenti del Servizio di sicurezza generale, la sigla che raggruppa le milizie jihadiste guidate da Hay’at Tahrir Ash Sham (Hts) salite al potere in Siria dopo la caduta del presidente Bashar Assad, sono stati uccisi e molti altri feriti in attacchi simultanei e coordinati contro posti di blocco a Jableh e in altre località nella parte costiera del Paese.

Gli scontri a fuoco proseguono anche in queste ore e secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i morti in totale sarebbero almeno 130, tra uomini delle forze di sicurezza, miliziani armati e civili. L’Osservatorio aggiunge che 52 alawiti sono stati giustiziati sommariamente dai miliziani sunniti siriani e stranieri inquadrati nelle forze di sicurezza fedeli al governo.

Il comunicato del Comando Militare per la Liberazione della Siria

Gli attacchi ai posti di blocco sono stati attribuiti a gruppi armati composti in prevalenza da siriani di fede alawita rimasti legati al passato regime. Queste formazioni agirebbero agli ordini dell’ex generale di brigata Ghaith Dallah della Quarta divisione guidata da Maher al Assad, fratello del presidente deposto. Alcune fonti affermano che “avrebbero il sostegno di Hezbollah, Iran e Russia”. Dallah, annunciando con un comunicato la nascita di un “Consiglio militare per la liberazione della Siria”, ha affermato la volontà di combattere “l’attuale regime estremista e terrorista”.

A Jableh sono stati assaltati anche edifici governativi. L’autoproclamato presidente Ahmad Al Sharaa – il capo di Hts noto fino a qualche mese fa con il nome di battaglia di Abu Mohammed Al Julani – ha ordinato l’invio di rinforzi militari nella zona dove continuano gli scontri a fuoco in cui sono rimasti uccisi anche 28 siriani “pro-Assad”. Nella provincia di Idlib, la roccaforte di Hts, è stata annunciata la “mobilitazione generale” a sostegno del governo. In diverse zone è stato proclamato il coprifuoco, in particolare a Latakia, Harasta e Tartous il principale porto della Siria e nei cui paraggi sorge la base aerea russa di Hmeimim.

Il Consiglio supremo islamico alawita in Siria ha chiesto di “sospendere la campagna militare a Dattour, Tartous e Jableh, dove le abitazioni civili sono state prese di mira dagli attacchi aerei”. Il consiglio ha sollecitato “una rivolta pacifica nelle piazze pubbliche per sostenere la popolazione dei villaggi di Jableh e far sentire la voce della giustizia contro l’oppressione”.

Fonti indipendenti riferiscono che ieri mattina sono cominciati rastrellamenti casa per casa, accompagnati anche da colpi di artiglieria, da parte delle forze governative nella zona di Jableh contro presunte “roccaforti di fedeli al deposto regime” dopo che gli abitanti, in maggioranza alawiti, si erano rifiutati di consegnare un ricercato. La tensione nell’area era in forte aumento da giorni in seguito alla decisione del nuovo governo di sciogliere l’Esercito Arabo Siriano (le ex forze armate nazionali) e di licenziare migliaia di impiegati alawiti dagli uffici pubblici.

Le nuove autorità siriane affermano di aver arrestato un ex generale dell’intelligence, Ibrahim Huwaija, accusato da più parti di aver supervisionato quasi 50 anni fa l’assassinio di Kamal Jumblatt, padre del leader druso libanese Walid Jumblatt.

L’Arabia Saudita ha condannato quelli che ha definito “i crimini perpetrati da gruppi fuorilegge” in Siria e i loro attacchi contro le forze di sicurezza. Anche la Turchia, stretto alleato del nuovo regime siriano, ha dichiarato il suo sostegno a Damasco, affermando che “la tensione a Latakia e nei dintorni, così come gli attacchi alle forze di sicurezza, potrebbero minare gli sforzi per guidare la Siria verso un futuro di unità e solidarietà”. Pagine Esteri