Pagine Esteri – La politica estera americana è diventata schizofrenica dopo l’insediamento del presidente Trump e dei suoi fedelissimi al comando. Trump dimostra di essere aggressivo, incendiario e narcisista, con un desiderio di attirare l’attenzione a ogni costo. Le esternazioni, che talvolta sconfinano nell’azzardo, rischiano di alimentare conflitti, scombinare equilibri mondiali e mettere in discussione le “leggi internazionali”, se ciò ha ancora un significato.
Le decisioni unilaterali e l’imposizione degli obiettivi alla controparte sembrano far parte della nuova strategia negoziale americana. Donald Trump afferma di preferire i negoziati con la Repubblica Islamica piuttosto che l’opzione militare. Tuttavia, paradossalmente compie azioni e alimenta illusioni che alla fine possono portare all’escalation di dispute. Trump ha ribadito che: “Ci sono due modi per affrontare l’Iran: militarmente o con un accordo”. Costringere Teheran, sotto minaccia, a un negoziato sembra ingenuo, soprattutto se gli obiettivi sono già confezionati e sembrano dettati dall’alleato israeliano. Un’eventuale accettazione dei negoziati sotto la minaccia da parte del regime di Teheran minerebbe la sua stessa autorità di fronte ai suoi stessi sostenitori.
Non è a caso che la lettera del presidente americano alla massima autorità della Repubblica Islamica per negoziare un accordo sul nucleare è stata liquidata in fretta e furia dal leader del paese, Khamenei. Khamenei, in presenza delle massime autorità amministrative e militari del paese, ha esordito: “Alcuni governi prepotenti insistono per negoziare. Ma il loro obiettivo non è risolvere i problemi, bensì imporre la loro volontà. Vogliono imporre condizioni sulla capacità di difesa e sulle capacità internazionali del paese. (Esorteranno l’Iran) a non fare (certe) cose, a non incontrare certe persone, a non andare in un certo posto, a non produrre certi articoli, la gettata dei vostri missili non dovrebbe essere superiore a una certa distanza. È possibile che qualcuno accetti queste cose?”.
Facilmente è intuibile che l’amministrazione americana non voglia ottenere semplicemente la limitazione delle attività nucleari iraniane, bensì l’obiettivo sia garantire le condizioni in cui Israele si senta in sicurezza. Washington probabilmente mira allo smantellamento totale del programma nucleare di Teheran, alla limitazione della sua industria missilistica e dei droni, oltre alla rinuncia da parte di Teheran al sostegno agli Houthi, Hezbollah e ad altre milizie sparse in Medioriente. Per Teheran, ciò equivarrebbe a un disarmo totale e a mettersi in balìa del nemico senza una vera difesa, accettando un ordine che sancisce il dominio israelo-americano nella regione, cosa che la Repubblica Islamica ha contrastato sin dalla sua costituzione.
In realtà, Teheran mostra l’intenzione di negoziare, anche al fine di rallentare la morsa delle sanzioni, come è stato ribadito da molti diplomatici iraniani. Tuttavia, anche Teheran impone obiettivi e precondizioni che certamente non sono accettabili per Washington.
Lasciando da parte la volontà degli intransigenti, che pongono come precondizione il rallentamento delle sanzioni, si può riassumere in un punto la difficoltà che impedisce a Teheran di sedersi a un tavolo negoziale con gli americani. Teheran vuole solo discutere della possibilità di ristabilire il controllo sul proprio programma nucleare e garantire di non procedere allo sviluppo di armi nucleari. Tuttavia, il massimo che Teheran è disposta a concedere sicuramente non raggiunge neanche il minimo che Washington e Tel Aviv vogliono ottenere.
Teheran sembra puntare su alcune convinzioni per rifiutare il negoziato. In primo luogo, è convinta che Trump non abbia alcun interesse a compiere un’azione militare contro i siti nucleari del Paese. Inoltre, ritiene che la troika europea non attiverà lo “Snapback”, il meccanismo che permette la reintroduzione automatica delle sanzioni dell’ONU. Infine, nonostante le severe sanzioni americane, Teheran crede di poter continuare a vendere almeno un milione di barili di petrolio al giorno, garantendo così le risorse necessarie per portare avanti la sua probabile strategia di “massima resistenza” contro “massima pressione”. E sedare forzatamente eventuali ribellioni popolari che potrebbero nascere dalle difficoltà economiche.
Tali valutazioni potrebbero facilmente risultare fuorvianti, considerando la presenza di falchi sostenitori degli estremisti israeliani nell’amministrazione americana, i quali rendono un attacco mirato ai siti nucleari iraniani un pericolo tangibile, nel caso in cui gli Stati Uniti non riuscissero a costringere Teheran ad accettare le loro condizioni. Tuttavia, è improbabile che Washington decida di ricorrere immediatamente all’azione militare senza prima tentare di strangolare l’economia iraniana attraverso l’interruzione del flusso delle esportazioni di petrolio e prodotti petrolchimici. Sono state molte le iniziative intraprese dal giorno dopo dell’insediamento di Trump. Questo obiettivo potrebbe funzionare nel breve termine, ma, nel lungo periodo, le maglie dell’accerchiamento potrebbero allentarsi, facendo perdere l’efficacia che gli americani desiderano. In alternativa, potrebbero optare per il sabotaggio di installazioni militari e civili nel Paese. I servizi segreti iraniani e americani hanno dimostrato di avere numerosi elementi nella loro rete, come cellule dormienti pronte ad operare in Iran. – Pagine Esteri