Pagine Esteri – Sta destando allarme il rischio che la guerra in corso nella Repubblica Democratica del Congo, che oppone le Forze Armate di Kinshasa alle milizie del “Movimento 23 Marzo” sostenute dal Ruanda, possa coinvolgere i paesi limitrofi e devastare tutta la regione dei Grandi Laghi.

Il Burundi accusa il Ruanda
Il presidente del Burundi ha accusato il Ruanda, storico rivale, di ordire un piano per attaccare il suo paese, uno dei pochi rimasti a sostenere il governo congolese. In un’intervista alla “Bbc”, Evariste Ndayishimiye ha inoltre accusato il governo di Kigali di aver tentato di orchestrare un colpo di Stato in Burundi un decennio fa.

«Si direbbe che è un problema interno, quando in realtà il problema è il Ruanda. Sappiamo che lui (il dittatore del Ruanda, Paul Kagame ndr) ha un piano per attaccare il Burundi», ha affermato Ndayishimiye. «Non accetteremo di essere uccisi come vengono uccisi i congolesi. I burundesi sono combattenti. (…) Le persone che hanno tentato il colpo di Stato del 2015 sono state aizzate dal Ruanda, e poi sono scappate. Il Ruanda li ha organizzati, è andato a reclutare i giovani nel campo di Mahama. Li ha addestrati, ha dato loro armi, li ha finanziati» ha proseguito Ndayishimiye, che ha poi invitato i paesi vicini a rispettare gli accordi di pace stipulati. «Non c’è bisogno che andiamo in guerra. Vogliamo il dialogo, ma non resteremo inerti se saremo attaccati. Non abbiamo nulla da chiedere al Ruanda, ma loro rifiutano perché hanno un pessimo piano: volevano fare quello che stanno facendo nella Rdc. Le forze esterne sono responsabili della perpetuazione di questo conflitto. Non vogliono la pace nella Rdc perché vogliono continuare a saccheggiarne le risorse» ha affermato il leader burundese in riferimento ai minerali preziosi, ai diamanti e alle terre rare che i miliziani dell’M23 estraggono illegalmente nei territori congolesi occupati ed esportano illegalmente dopo averli inviati in Ruanda.

Il regime di Kigali ha ovviamente respinto le accuse ed ha negato di avere legami con il ricostituito gruppo ribelle Red-Tabara – milizia ribelle tutsi operante in Burundi costituita inizialmente nel 2015 in seguito al fallito golpe contro l’allora presidente Pierre Nkurunziza – che Ndayishimiye afferma essere una forza “per procura” simile all’M23.

La milizia Red-Tabara (“Resistenza per lo Stato di diritto in Burundi”) è stata costituita nel 2011 e possiede anche una base nel Sud Kivu, una provincia orientale congolese guarda caso controllata da alcuni mesi dai ribelli dell’M23. Le ultime azioni militari di Red-Tabara risalgono al 2021, quando la milizia attaccò l’aeroporto di Bujumbura. Dopo la sua ricostituzione, il gruppo armato conta su alcune centinaia di miliziani, accusati dal Burundi di essere in procinto di scatenare il caos nel paese su mandato del Ruanda. Il confine tra i due paesi è chiuso dal gennaio del 2024, quando Red-Tabara ha compiuto un attacco uccidendo 20 persone, tra cui donne a bambini.

Le milizie avanzano e falliscono le mediazioni
In Congo intanto le milizie dell’M23 continuano ad avanzare nelle regioni orientali, spingendo i paesi dell’area ad intensificare i tentativi di mediazione. Non sembra però aver sortito alcun effetto l’appello al cessate il fuoco rivolto alle forze in campo dai leader del Congo Felix Tshisekedi e dal suo omologo ruandese Paul Kagame dopo un incontro realizzato a sorpresa in Qatar il 18 marzo.

Dopo che nei giorni scorsi il presidente dell’Angola, João Lourenço, ha annunciato il proprio ritiro dal ruolo di mediatore assegnatogli dall’Unione Africana, lunedì si è tenuta una riunione congiunta dei membri della “Comunità di sviluppo dell’Africa australe” (Sadc) e di quelli della “Comunità dell’Africa orientale” (Eac). Al termine è stata annunciata la costituzione di un comitato composto da cinque ex presidenti – della Nigeria (Olusegun Obasanjo); del Kenya (Uhuru Kenyatta); del Sudafrica (Kgalema Motlanthe); della Repubblica Centrafricana (Catherine Samba Panza) e dell’Etiopia (Sahle-Work Zewde) – incaricati di trovare una soluzione al conflitto che insanguina la Repubblica Democratica del Congo.

Il presidente dell’Angola ha dovuto ammettere il proprio fallimento, dopo che il 15 dicembre il dittatore ruandese Paul Kagame ha fatto saltare il previsto incontro con il presidente congolese Felix Tshisekedi programmato a Luanda proprio grazie alla faticosa mediazione di Lourenço. Lo scorso 18 marzo, poi, sono stati i rappresentanti dell’M23 a boicottare i colloqui con Kinshasa previsti sempre a Luanda, con il pretesto di protestare contro le sanzioni – finalmente – imposte dall’Unione Europea contro 9 persone e una raffineria d’oro collegati alla milizia foraggiata dal Ruanda, le cui truppe accompagnano e facilitano l’avanzata dei ribelli nelle regioni orientali del Congo dopo l’occupazione del Nord e del Sud Kivu e prendendo possesso di grandi città come Goma e Bukavu.


Dietro i ribelli c’è il Ruanda
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, le “Forze di Difesa del Ruanda” offrono «un appoggio sistematico» e sono «di fatto a capo delle operazioni» dell’M23. Secondo i report dell’ONU il sostegno di Kigali avviene in tre modi: diretto, con la presenza di soldati ruandesi in Congo che sarebbero tra i 3 e i 4 mila; attraverso l’addestramento delle nuove reclute e con la fornitura di equipaggiamento militare. Anche le truppe ugandesi, presenti in Congo ufficialmente per garantirne la stabilità, sono accusate di sostenere i ribelli.

Il Ruanda nega ogni legame con l’M23, composto prevalentemente da tutsi, ed anzi accusa – strumentalmente – Kinshasa di sostenere e ospitare le “Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda”, un piccolo movimento composto da hutu ruandesi che rappresenterebbe nientemeno che una “minaccia esistenziale” per Kigali.

Finalmente le sanzioni europee
Le per ora poco incisive sanzioni europee – chieste a gran voce non solo dal governo e dalla società civile congolesi, ma anche da varie organizzazioni non governative e movimenti politici continentali – hanno preso di mira, tra gli altri, il leader politico dell’M23, Bertrand Bisimwa e i comandanti dell’esercito ruandese. Sono stati sanzionati anche il direttore esecutivo delle compagnie “Rwanda Mines, Petroleum and Gas Board” e “Gasabo Gold Refinery” che l’Ue ha accusato di aver esportato illecitamente risorse naturali dal Congo. Anche il governo tedesco, dopo quelli di Washington e Londra, ha deciso all’inizio di marzo di imporre alcune sanzioni a Kigali.

Al tempo stesso, però, l’Unione Europea continua ad essere accusata di sostenere, a proprio vantaggio, il saccheggio delle risorse minerarie del Congo, grazie ad un accordo siglato con Kigali che facilita le esportazioni in Europa dal Ruanda di terre rare ed altre materie prime prelevate illegalmente nelle regioni occupate della Rdc. Dopo le proteste l’accordo con il Ruanda sarebbe “in fase di revisione” ma finora non ci sarebbero ulteriori dettagli.

Comunque il regime ruandese ha annunciato l’interruzione delle relazioni diplomatiche con il Belgio e ne ha espulso il personale diplomatico, accusando Bruxelles di voler rinverdire i proprio passato coloniale nell’area. Già in passato il dittatore ruandese Kagame aveva accusato il Belgio di aver amputato gran parte del territorio del paese cedendolo al Congo durante la fase finale dell’epoca coloniale.

Anche i leader dell’Alleanza del Fiume Congo, una coalizione armata che comprende anche l’M23, dopo l’imposizione delle sanzioni hanno accusato vari paesi africani e l’UE di boicottare una possibile soluzione negoziale del conflitto.

Il Congo offre le proprie terre rare a Washington in cambio di aiuto
Da parte loro le autorità congolesi avrebbero offerto agli Stati Uniti lo sfruttamento delle proprie risorse minerarie in cambio del sostegno contro l’avanzata dei miliziani dell’M23, che le truppe di Kinshasa, sottopagate, male armate e guidate da ufficiali corrotti, hanno dato prova di non riuscire a contrastare efficacemente.

Secondo il “Wall Street Journal” l’8 febbraio Tshisekedi avrebbe inviato un messaggio contenente questa proposta a Donald Trump. Nella lettera, il leader congolese avrebbe assicurato a Washington l’accesso alle preziose terre rare ora in gran parte saccheggiate dai ribelli, in cambio della sottoscrizione da parte di Washington di un “patto di sicurezza formale” che consenta alle sue forze armate di sconfiggere l’M23. Secondo vari media, inoltre, Tshisekedi starebbe cercando di assicurarsi il sostegno di Erik Prince, alleato di Trump e fondatore della compagnia militare privata Blackwater. Nelle intenzioni di Kinshasa, i mercenari statunitensi dovrebbero consentire al governo congolese di rientrare in possesso delle regioni ricche di terre rare, che potrebbero essere sfruttate da Washington consentendo così al Congo di incamerare una parte del ricavato. A tale proposito Tshisekedi ha incontrato il deputato repubblicano statunitense Ronny Jackson, con cui ha discusso della situazione nelle regioni occupate dall’M23 e delle «opportunità di investimento» per gli Usa. «Vogliamo lavorare affinché le aziende americane possano venire a investire e a lavorare nella Rdc. E per farlo, dobbiamo assicurarci che ci sia un ambiente pacifico» avrebbe affermato Jackson.

Kinshasa avrebbe offerto a Washington un accesso privilegiato ai minerali essenziali per la transizione energetica e tecnologica con la concessione alle aziende di Washington di diritti esclusivi di estrazione ed esportazione di cobalto, coltan, litio e uranio, la partecipazione ad un progetto portuale in acque profonde e la creazione di una “riserva mineraria strategica” congiunta. In cambio, gli Stati Uniti dovrebbero offrire a Kinshasa addestramento militare, equipaggiamento e assistenza diretta alla sicurezza.

Finora non ci sono indiscrezioni degne di nota sulla risposta americana (paese da sempre ostile a Kinshasa), ma è evidente che gli Stati Uniti potrebbero essere interessati a mettere le mani sulle preziose risorse minerarie del Congo, fondamentali per la competitività della propria industria, finora sfruttate in gran parte da aziende cinesi, a parte quelle saccheggiate dal Ruanda tramite le milizie ribelli ed esportate prevalentemente in Europa. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria