AGGIORNAMENTO
Israele ha esteso al campo profughi palestinese di Balata (Nablus) l’offensiva militare “Muro di Ferro” avviata lo scorso 21 gennaio nei campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, in Cisgiordania. All’alba tre battaglioni, due unità speciali e due battaglioni della riserva e reparti della Guardia di frontiera sono stati dispiegati dentro e intorno Balata. Sono in corso vaste perquisizioni, alcune abitazioni nel quartiere di Jammasin sono state trasformate in postazioni militari. Decine di famiglie sono sfollate.
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Benyamin Netanyahu, ieri, poco dopo essere atterrato a Tel Aviv di ritorno dagli Usa, ha descritto in termini molto positivi i colloqui avuti con Donald Trump su dazi, Iran, Turchia e l’espulsione dei palestinesi da Gaza. «È importante, alla fine è questo che dovrà accadere», ha commentato, confermando il progetto Israele-Usa per cacciare via i palestinesi dalla loro terra.
Mentre Netanyahu era ancora in volo rallegrandosi della stretta alleanza con Trump, in Cisgiordania la sala per matrimoni «Flora» di Bidya (Ramallah) veniva data alle fiamme a Bidya. Su un muro annerito dal fumo, la scritta «Morte agli arabi», che i coloni israeliani lasciano immancabilmente al termine delle loro scorribande nei villaggi palestinesi. Ma i vandali in Cisgiordania non sono soltanto i coloni. I soldati sono sempre più protagonisti di queste azioni a danno dei civili palestinesi e delle loro proprietà.
Lo sanno bene gli abitanti del campo profughi palestinese di Dheisheh (Betlemme), dove il 2 aprile i militari israeliani hanno «perquisito» numerose case lasciandosi dietro devastazioni enormi, oltre a scritte offensive e minacciose rivolte alla popolazione. E non hanno mancato di avvertire gli abitanti che Dheisheh farà la fine dei campi profughi di Jenin e Tulkarem. Non è andata meglio ai residenti di Jinba, nel sud della Cisgiordania, nella zona di Masafer Yatta, al centro di raid quotidiani. Lì i soldati israeliani hanno fatto irruzione in una scuola e in un poliambulatorio, distruggendo tutto ciò che avevano davanti. Hanno abbattuto anche le telecamere di sorveglianza per rappresaglia: i palestinesi avevano registrato i raid compiuti ore prima da gruppi di coloni.

Jinba. Foto di Basel Adra
«Hanno distrutto l’arredamento della scuola, le finestre, i pannelli solari che forniscono elettricità alla scuola. La devastazione è completa», ha riferito sui social Basel Adra, attivista palestinese nella zona di Masafer Yatta e uno dei quattro registi del documentario No Other Land, vincitore di un Oscar il mese scorso. Di questi casi riferivano ieri anche alcuni media israeliani, aggiungendo che l’esercito avrebbe adottato provvedimenti contro i responsabili di queste violenze. Ma poi non cambia nulla.
Le ferite più profonde sono nei campi profughi di Jenin, Nur Shams e Tulkarem, al centro dell’offensiva «Muro di ferro» lanciata il 21 gennaio dal governo Netanyahu e dai comandi militari. Le immagini satellitari appena pubblicate da Planet Labs documentano ciò che gli occhi dei palestinesi vedono ogni giorno: la distruzione dei luoghi dove hanno vissuto tutta la vita. Le foto scattate dall’alto evidenziano il cambiamento profondo avvenuto nei tre campi profughi tra novembre 2024 e il mese scorso. In quello di Jenin, lo confermano anche le Nazioni Unite, circa 600 case sono state demolite – l’ultima ieri – o rese inabitabili: un terzo dell’intero campo. In quelli di Tulkarem e Nur Shams, almeno 150 abitazioni sono state distrutte o danneggiate. Le strade aperte dai bulldozer militari tra le case servono ora come corsie per i mezzi corazzati israeliani.
Gli sfollati palestinesi aumentano con il passare dei giorni: ora sono almeno 42.000. Molti si rifugiano da parenti, altri affittano stanze, altri ancora vivono in rifugi temporanei. Il comune di Jenin stima i danni subiti dalla città e dal suo campo profughi in circa 300 milioni di dollari. «Interi quartieri sono stati cancellati», ha denunciato il sindaco Mohammed Jarrar, «e non solo nel campo, anche nelle aree limitrofe. Non c’è più alcuna infrastruttura funzionante». Diverse scuole sono state danneggiate o trasformate in postazioni militari, migliaia di studenti non hanno più accesso all’istruzione. Nel 2023-2024 sono andati persi il 30% dei giorni di scuola.
Ieri sono state demolite due case a Salfit (Nablus), altre due a Wadi Fukin (Betlemme), una sala per matrimoni a Beit Liqya (Ramallah) e due abitazioni a Samua (Hebron). I media palestinesi riferiscono anche di ordini di demolizione consegnati a numerose famiglie palestinesi.
Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto