di Filippo Zingone
Due settimane fa è stata annunciata dalla presidenza Trump la chiusura definitiva dell’Agenzia statunitense per per lo sviluppo internazionale, USAID, che rappresenta oltre il 40% degli aiuti umanitari globali. La nota della chiusura arriva dopo 90 giorni dall’ordine esecutivo che ha congelato tutti i fondi dell’Agenzia. Dal 20 di gennaio centinaia di ONG hanno visto la fine di migliaia progetti umanitari da un giorno all’altro. Ma anche molti Stati, che avevano una consistente entrata da USAID sono rimasti con dei buchi di bilancio enormi. Un esempio di questa situazione è l’Uganda, dove la ONG italiana Emergency è presente con un centro di chirurgia pediatrica di eccellenza. Abbiamo parlato di quello che è successo dopo il 20 gennaio e di come lo Stato ugandese sta reagendo a questo duro colpo con Giacomo Iacomino, direttore dell’ospedale di Emergency a Entebbe,
Da quando è stato annunciato il congelamento dei fondi di USAID quali sono state le conseguenze immediate in Uganda?
Il paese ha ricevuto uno schiaffone e la conseguente caduta a terra è stata la chiusura di centinaia di cliniche che sono sparse in tutto il paese, soprattutto lontane dai centri urbanizzati, come possono essere Entebbe, dove siamo noi, piuttosto che Kampala, la capitale. La chiusura di tutte queste cliniche è stata immediata, perché si basavano sui fondi diretti di USAID: pagavano gli stipendi dei medici, infermieri, anestesisti e compravano i farmaci. Chiudere da un giorno all’altro queste cliniche ha generato due effetti immediati: licenziamenti di tutto lo staff che non ha più una copertura economica e soprattutto 1.500.000 di HIV positivi che in questo momento non sanno come proseguire il loro percorso di cura, perché non solo non ci sono più i professionisti che li seguono, ma non ci sono nemmeno più i farmaci. Questo è stato il primo impatto, adesso però si è cominciato con un secondo momento del fenomeno che si può esemplificare con una parola: incertezza.
Quanto pesa sul comparto sanitario dello Stato ugandese questo improvviso taglio?
In un paese dove la sanità vale 3 trilioni di shilling, in euro sono più o meno 750 milioni di euro, di cui la metà veniva sovvenzionata da USAID, vuol dire che ad oggi la sanità ugandese ha perso la metà dei fondi disponibili. A gennaio del 2026 poi ci saranno le elezioni del nuovo presidente. Museveni, può piacere o non piacere, ma negli anni ha creato una situazione stabile e uno sviluppo economico. Però per sviluppare questa economia l’Uganda si è indebitata per un valore superiore alla finanziaria stessa e bisognerà tranquillizzare gli Stati creditori. La finanziaria, che quest’anno è a 72 trilioni, che sono 17 miliardi più o meno, sta puntando per il prossimo anno fiscale a 57 trilioni, quindi meno 20%. È ancora tutto in discussione e non si sa se effettivamente sarà questa la cifra finale su cui vorranno atterrare. Però già viviamo in un paese che è di suo in recessione; la sanità ha perso metà dei fondi da USAID, i creditori pressano, e allora ti poni due domande. Uno se dal prossimo anno fiscale ugandese, quindi a partire dall’1 luglio 2025, questo ammanco di USAID verrà coperto da altre voci della finanziaria; ma mettiamo anche che saranno in grado di coprire questa mancanza per far fronte all’emergenza contingente, nel medio lungo periodo, chi è un attore così potente come USAID in questo momento sul pianeta? Non c’è.
La Cina non potrebbe essere un sostituto a Washington?
Sì, la Cina potrebbe essere una una candidata perché già, per esempio, possiede un 20% del debito ugandese e perché ha già investito in fabbriche, autostrade infrastrutture, nell’oro e nel rame.
Qual’è oggi la situazione per Emergency in Uganda?
Vivere in questa incertezza ci sta mettendo chiaramente in crisi perché seppur è vero che noi non prendiamo soldi da USAID, è anche vero che questo ospedale viene finanziato al 50% dai fondi Emergency e 50% dal governo ugandese. Ma se per la nuova finanziaria loro non riusciranno a coprire l’ammanco di USAID, vuol dire che non riusciranno neanche a mettere quel 50% che mettevano prima per noi. Quindi diciamo che non ci daranno il loro 50%, ma ne metteranno una quota parte. Per me quella quota parte significa che a partire da luglio 2025, fino a dicembre 2025 io dovrò ridurre enormemente l’attività qui. E ridurre l’attività di questo ospedale sarà un grande problema. Questo è l’unico vero ospedale di chirurgia pediatrica in Uganda, un paese da 45 milioni gli abitanti, dove l’età media è 15 anni, quindi un ugandese su due è pediatrico. E tu devi ridurre drasticamente l’attività dell’unico ospedale che funziona con standard di alto livello e soprattutto totalmente free of charge: qui gli ugandesi non pagano niente. Il sistema sanitario ugandese è vero che che dovrebbe essere tutto gratuito, ma non è così, perché c’è un livello di corruzione gigantesco. Questo è un popolo che ha esorcizzato totalmente la morte. Qui una mamma una volta mi ha detto «Noi in Uganda non curiamo i bambini, ne facciamo altri». Quindi per loro trovare un ospedale come il nostro è un miracolo. Io ad ad oggi devo però stimare almeno meno 400 interventi in un anno. E quindi mi si allungherà anche la lista di attesa di almeno un 30%, anzi, un po’ più di un 30%.
È stato stimato che sarebbero stati tagliati tra i 3000 e i 5000 operatori sanitari nel paese a seguito dello stop di USAID. Quindi queste persone oggi non hanno più entrate. Questi licenziamenti possono essere un altro fattore di pressione, anche sul sistema sanitario?
Assolutamente sì. Qui il tasso di occupazione non è elevatissimo, e quindi queste persone lasciate a casa, ho buone ragioni di pensare, che erano gli unici a lavorare in famiglia, considerando che ogni singola donna ugandese mediamente partorisce quattro figli, tendenzialmente il suo ruolo è quello della mamma, che rimane a casa e cura i bambini, mentre il padre va a lavorare. Facciamo anche che sono stati licenziati soltanto 3000 dipendenti, che hanno famiglie da 4 o più persone, quindi parliamo di più di 15.000 persone che dipendevano da quello stipendio che sono rimaste a piedi. Molti avevano preso mutui, avevano iniziato a pagare per l’istruzione dei figli, da un giorno all’altro è tutto svanito.
Voi nell’ospedale di chirurgia pediatrica di Entebbe avete sentito la pressione della situazione anche a livello del numero dei nuovi pazienti?
A livello sanitario è ancora un po’ presto per il semplice fatto che l’identikit del paziente che ha subito l’effetto più grave è mediamente un paziente maggiorenne, soprattutto HIV positivo. Certo è vero che le strutture che sono state chiuse si occupavano anche di tubercolosi e di malaria, in Uganda ogni 1000 abitanti, 500 hanno contratto la malaria, quindi stiamo parlando di un ugandese su due e i casi gravi o decessi principalmente avvengono su bambini minori di 5 anni. Ad oggi però non possiamo dire di aver visto un aumento esorbitante dei pazienti. Diciamo che questa è ancora una fase in cui i pazienti si stanno riorganizzando, stanno cercando di capire chi può prendere in carico il proseguo del loro percorso di cura. Mi sento di dire che è ancora presto per vedere un aumento dei pazienti, ma sicuramente è un effetto valanga, qualcosa succederà, difficile fare una previsione, per ora siamo impegnanti a far quadrare i numeri.
Da quando c’è stato il congelamento dei fondi USAID, hai avuto modo di interloquire con figure istituzionali rispetto alla possibilità o a quello che potrebbe essere il dopo?
Io sono in contatto quotidiano con tre attori, il Direttore generale della sanità, la Segretaria permanente del ministero e la Ministra. Però il vero problema è che, fermati i fondi USAID, dopo 1 settimana è scoppiata un’epidemia di Ebola. Quindi la stessa macchina ministeriale è sotto una pressione gigantesca: hanno perso una parte consistente dei soldi per la sanità ed è scoppiata l’ebola nel paese. Quindi navighiamo letteralmente nel buio con una bussola che in questo momento non riesce ancora a capire dove si trova il nord e nonostante il nostro contatto quotidiano le risposte scarseggiano. Il Ministero della Salute sta facendo una battaglia politica in Parlamento per fare in modo che vengano detratti dei fondi ad altre linee del bilancio per poter sanare quella della sanità. Quanto ci riusciranno e in che proporzione è tutto da vedere.