(nella foto fermo immagine da Vatican News, Papa Francesco durante una videochiamata con Gaza)
Papa Francesco ha esortato fino all’ultimo, fino a poche ore prima di spegnersi, a realizzare subito la tregua a Gaza. Alla gente della Striscia sotto le bombe – non solo ai 200 palestinesi cattolici che vi abitano – Bergoglio ha rivolto i suoi pensieri negli ultimi 18 mesi, con telefonate quasi quotidiane al parroco di Gaza City, Gabriel Romanelli, dando inizio a quella che il Vatican News Service avrebbe descritto come una «routine serale». Si assicurava di parlare con il parroco e con tutti gli altri presenti nella stanza. «Oggi siamo in preghiera, ci siamo riuniti subito per pregare per papa Francesco, che ha avuto sempre i suoi pensieri per noi qui a Gaza. È una perdita immensa per il mondo intero e per noi, sotto tutti i punti di vista», dice padre Yusef, sacerdote locale, parlando dalla chiesa cattolica della Sacra Famiglia.
Ieri la piccola comunità cattolica di Gaza ha portato fiori e acceso candele nella chiesa della Sacra Famiglia. «Abbiamo perso un santo che ci ha insegnato ogni giorno a essere coraggiosi, a essere pazienti e forti. Abbiamo perso un uomo che ha combattuto ogni giorno, in ogni direzione, per proteggere il suo piccolo gregge», ha detto George Anton, responsabile del comitato di emergenza della Sacra Famiglia. «Siamo addolorati per la morte di papa Francesco, ma sappiamo che lascia una Chiesa che si prende cura di noi e che ci conosce per nome, ognuno di noi», ha aggiunto.
C’erano parecchi ortodossi, che formano la maggior parte della comunità cristiana di Gaza. Tanti, però, sono rimasti a casa, perché le bombe israeliane sono piovute anche ieri sulla Striscia, facendo altri morti e feriti tra i civili. «Papa Francesco per noi è stato un padre a tutti gli effetti. Ci è stato molto vicino, alla nostra causa, alla nostra realtà. Lo abbiamo visto soprattutto nella sua vicinanza a Gaza fin dall’inizio della guerra. Nessun altro leader mondiale se ne è preoccupato. Ha detto cose importanti anche contro le voci di coloro che non volevano sentire. È stato un uomo coraggioso, è stato un orgoglio avere un papa come lui», spiega al manifesto il legame speciale tra i palestinesi e il papa, Wadie Abu Nassar, personalità cattolica di spicco.
A ricordare Bergoglio e la sua attenzione per la Palestina sono anche cristiani non cattolici, come il pastore luterano Munther Isac, autore del libro L’altro lato del Muro, sulla vita dei palestinesi dopo la costruzione del muro israeliano in Cisgiordania. «I palestinesi, e in particolare quelli cristiani, hanno perso oggi un caro amico», ha scritto Isac. «Ricordiamo tutti l’immagine iconica di lui che prega al Muro. Il Papa non toccò solo il Muro, toccò la bruttezza dell’occupazione e della guerra, la profondità della nostra sofferenza. Con umiltà e debolezza, guardò l’ingiustizia negli occhi e la sfidò… Il Papa se n’è andato, l’occupazione e il Muro sono rimasti. Oggi mi chiedo: i milioni di persone che piangeranno la sua morte si prenderanno cura dei gazawi e dei palestinesi come ha fatto lui?». Ieri anche Hamas ha ricordato il papa, definendolo «un fermo difensore dei diritti legittimi del popolo palestinese» e «contro la guerra e gli atti di genocidio». Nei giorni di fine maggio 2014, quando venne in visita in Israele e nei Territori palestinesi occupati, non pregò soltanto al Muro. Visitò anche il campo profughi palestinese di Dheisheh, vicino Betlemme, e pranzò con famiglie palestinesi, ascoltando storie di esilio, occupazione militare e diritti negati. Come quella di Rania, della comunità cristiana di Gaza. Forse le parole di quella donna accesero in lui già allora un forte interesse per la sorte della Striscia.
Non sorprende che i suoi rapporti con Israele, specie dopo il 7 ottobre 2023, si siano progressivamente raffreddati. Peraltro, nel suo libro La speranza non delude mai, il Papa ha sostenuto che è giusto indagare per capire se quanto compiuto da Israele a Gaza possa essere classificato come genocidio, allineandosi così al procedimento internazionale avviato dal Sudafrica nel gennaio 2024 contro Israele alla Corte di Giustizia dell’Aja.
Ha denunciato l’antisemitismo e incontrato gli ostaggi liberati e le loro famiglie, ma ha detto al capo di Stato israeliano Herzog, dopo il 7 ottobre, che è «proibito rispondere al terrore con il terrore».
(il testo è parte di un articolo di Michele Giorgio pubblicato oggi da Il Manifesto)