“Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete seguire Dio e mammona”. Non si può seguire al contempo il Dio dei cieli e il dio denaro (Mammona, secondo la tradizione religiosa cananea), ossia il profitto, il guadagno e la ricchezza. Così prescrive il Nuovo Testamento (Matteo, 16,13), e così ha predicato Jorge Maria Bergoglio, che aveva scelto non per caso il nome di Francesco per il suo pontificato, per la prima volta nella storia del papato: il nome di San Francesco d’Assisi, il frate che, nel XIII secolo, predicò la povertà, la pace e la cura del “creato”.
La sua voce, già flebile per la malattia polmonare che lo affliggeva, si è spenta il 21 aprile, dopo un ultimo messaggio urbi et orbi, pronunciato per Pasqua in Piazza San Pietro. Aveva 88 anni. Il Conclave lo aveva eletto come 266mo papa il 13 marzo del 2013 raggiungendo la prevista maggioranza di due terzi alla quinta votazione: il primo pontefice latinoamericano, nato a Buenos Aires il 17 dicembre del 1936, figlio di immigrati piemontesi, e membro della Compagnia di Gesù.
Il suo pensiero non era affine a quello della teologia della Liberazione, che ha posto al centro della riflessione i valori dell’emancipazione sociale e politica dei poveri a partire da un’analisi di stampo marxista. Pur riconoscendone “gli apporti significativi”, Bergoglio ne criticava “le devianze” ideologiche e l’incapacità di riformulare, dopo il crollo del “socialismo reale”, una nuova creatività radicale. Una spinta che egli riscontrava piuttosto nella “teologia del popolo” dell’argentino Rafael Tello, che vedeva, appunto, nel popolo il soggettodella storia, e il cui portato culturale doveva riflettersi nella pastorale ecclesiale.
Per questo, il suo pontificato non ha prodotto riforme strutturali della Chiesa, come quelle del Concilio Vaticano II, avviato da papa Giovanni XXIII l’11 ottobre del 1962 e concluso, in modo più misurato, da Paolo VI, l’8 dicembre del 1965. Con l’ironia che lo caratterizzava e che gli ha consentito di far fronte ai numerosi attacchi dei settori più reazionari, Bergoglioci scherzava: “Alcuni – diceva – hanno fatto diverse battute: Tu dovresti chiamarti Adriano, perché Adriano VI è stato il riformatore, bisogna riformare… E un altro mi ha detto: No, no: il tuo nome dovrebbe essere Clemente. Ma perché? Così ti vendichi di Clemente XIV che ha soppresso la Compagnia di Gesù!”.
E confessava di aver recitato per quarant’anni un’orazione che così si concludeva: “Dammi, Signore, il senso dell’umorismo. Fammi la grazia di capire gli scherzi, perché abbia nella vita un po’ di gioia e possa comunicarla agli altri. Così sia”. Una giovialità particolarmente apprezzata dai giornalisti che hanno “bevuto” avidamente i suoi fuori-onda sugli aerei, durante i viaggi apostolici in 66 nazioni, 10 dei quali in America latina e nei Caraibi: Brasile, Ecuador, Bolivia, Paraguay, Cuba, Messico, Colombia, Cile, Perù e Panama.
Il suo più immediato predecessore, il tedesco Benedetto XVI, che rinunciò al papato nel 2013, in 8 anni ne aveva effettuati 3, a dimostrazione dell’eurocentrismo che caratterizzò la sua gestione ultraconservatrice. D’altronde, il lavoro di azzeramento delle istanze trasformative e ribelli presenti nel continente latinoamericano nel secolo scorso – quello del Piano Condor e dei “gorilla” al soldo della Cia -, era già stato compiuto da Giovanni Paolo II.
Il papa polacco, nel corso della sua crociata contro il comunismo e del suo lungo pontificato (durato oltre 26 anni, uno dei più lunghi nella storia della Chiesa cattolica, secondo solo a quello di San Pietro e di Pio X) ha compiuto 14 viaggi apostolici in America latina, sovvertendo nel profondo la natura progressista dell’istituzione permeata allora dalla Teologia della liberazione, e retta dai suoi vescovi “impegnati” a cambiare anche le cose terrene.
Durante il periodo di oscurantismo seguito alla caduta dell’Unione sovietica e al dilagare del neoliberismo in America latina, il peso della chiesa di base si è cosìdrasticamente ridotto. E i presidenti che sono tornati poi a governare, come Daniel Ortega in Nicaragua, hanno dovuto fare i conti con le posizioni conservatrici dei vescovi nominati da Wojtyla, cheintervengono pesantemente nelle scelte politiche e influiscono su quelle del Vaticano, e che hanno spinto per la rottura delle relazioni diplomatiche con il governo di Ortega e Murillo.
Nel 1983, durante la sua tappa in Nicaragua, Wojtyla umiliò ed espulse a divinis il vescovo sandinista Ernesto Cardenal. Nel febbraio del 1980, aveva trattato con freddezza quello salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, venuto a mostrargli un fascicolo con le atrocità commesse dagli squadroni della morte al soldo della Cia. Una denuncia incongrua nei piani del papa polacco, alleato degli Usa nella crociata contro il comunismo, che aveva esortato Romero ad andare d’accordo con il governo. Romero verrà ucciso il 24 marzo del 1980.
Il 14 ottobre del 2018, a Roma, durante una cerimonia presieduta da papa Francesco, Romero è stato proclamato santo. Era stato beatificato il 23 maggio 2015. Il riconoscimento del suo martirio “in odiumfidei” (in odio alla fede) ne aveva consentito labeatificazione senza la necessità di un miracolo.
Il venezuelano José Gregorio Hernández, il “medico dei poveri”, è stato beatificato, invece, nell’aprile 2021, dopo che la Chiesa ha riconosciuto un miracolo nel caso di una ragazza completamente guarita dopo essere stata colpita alla testa, nel 2017. Poco prima di morire, Bergoglio ha avviato il processo di canonizzazione, previo alla sua proclamazione come santo. Una richiesta che il presidente venezuelano, Nicolas Maduro era andato a rivolgere al papa appena eletto, lo stesso anno della morte di Hugo Chávez e della sua successiva elezione alla presidenza della repubblica bolivariana.
La potente Conferenza episcopale venezuelana, schierata con l’estrema destra, ha ostacolato però ogni tentativo di “normalizzare” le relazioni con il governo Maduro, e quelle con il suo predecessore Chávez, contro il quale aveva contribuito a organizzare – insieme alla Cia, ai vertici del padronato e dei media privati – il colpo di stato del 2002. E Francesco ha oscillato tra gesti concilianti e “fuori onda” sugli aerei, e poco o nulla di fatto: in nome della “riconciliazione”.
Così, Francisco si adoperò per favorire la relazione tra gli Usa di Obama e Cuba, nel 2014, e appoggiò i negoziati tra il governo colombiano di Juan Manuel Santos e la guerriglia Farc, che si conclusero con l’accordo del 2016. Ma nel suo viaggio in Colombia, nel 2017, non incluse una tappa nella vicinissima Venezuela.
Nel 2015, durante il viaggio in Bolivia, chiese perdono per i crimini commessi contro i popoli nativi durante la “conquista dell’America”. Otto anni dopo, il Vaticano ripudierà la “dottrina della scoperta” di stampo coloniale, usata per giustificare l’occupazione europea in America e in Africa, ma senza revocare i decreti pontifici sottesi e la superiorità del cristianesimo che li accompagnava.
E se alla redazione dell’enciclica Laudato si’ – un documento che in quell’anno ha denunciato con forza la responsabilità dei paesi ricchi, delle grandi imprese e del sistema economico globale nel furto delle risorse al Sud, e nel processo di impoverimento generale – hanno partecipato anche consulenti dell’allora governo boliviano di Evo Morales, tra i più titolati partecipanti c’è stato il cardinale honduregno Oscar Maradiaga, accusato di aver appoggiato il golpe contro Manuel Zelaya nel 2009.
Più lineare la relazione di Bergoglio con il Brasile di Lula, con cui il papa arrivò a schierarsi, anche politicamente, durante il golpe contro Rousseff e poi durante l’arresto di Lula. Il Brasile fu il primo paese latinoamericano che Francisco visitò, a luglio del2013. Per prima cosa, si recò in una favela, dove incontrò i più poveri fra i poveri, indicando il centro principale del suo pontificato, e l’atteggiamento che avrebbe dovuto seguire la Chiesa, “uscendo per strada”, pena il “trasformarsi in una Ong”. E la Chiesa – disse Francisco – “non può trasformarsi in una Ong”.
Per questo, riunì oltre tre milioni di giovani sulla spiaggia di Copacabana, celebrando a Rio de Janeiro la XXVIII Giornata mondiale della gioventù. Un tema, quello della speranza da trasmettere ai giovani, sempre presente, nello stile e nei messaggi di papa Francisco, amico dei “cartoneros” argentini e nemico della “cultura dello scarto”, di cui si è dibattuto durante i congressi mondiali da lui organizzati, in vista di una nuova “internazionale” degli ultimi.
La Chiesa, disse Bergoglio, deve recuperare il terreno perduto prestando attenzione a quei fedeli che si sono convertiti in evangelici o hanno lasciato una religione cattolica avvertita come inattiva e distante. Una preoccupazione dettata dalle statistiche. Nel 2022, in America latina risiedeva il 64% dei 1.389 milioni di cattolici presenti nel mondo. Nel 2024, erano scesi al 54%: anche in forza degli scandali per pedofilia che, soprattutto in Cile e in Perù, avevano visto coinvolte le curie. Fin dal subito, il papa annunciò che non sarebbe stato a guardare, e prese drastiche misure per inasprire le pene contro i pedofili e anche per permettere ai tribunali vaticani di processare per “abuso di potere” chi li avesse coperti.
Un tema su cui Bergoglio si è sempre schierato con decisione, è stato quello della libera circolazione dei migranti, dall’America latina al Mediterraneo. In Italia giunse a inviare il suo elemosiniere a ripristinare la corrente elettrica in un luogo occupato e autogestito da migranti, a Roma, lo Spin Time. E, nel 2016, durante il viaggio in Messico, celebrò una messa a Ciudad Juárez, città di frontiera con gli Usa e luogo simbolo delle violenze sui migranti, e in particolar modo sulle donne. E si recò anche in Chiapas, dove sancì l’uso ufficiale delle lingue indigene originarie nelle cerimonie liturgiche.
Bergoglio non è stato, dunque, un radicale della coerenza nella fede, come i tanti che, in Argentina, hanno sacrificato le loro vite schierandosi a favore degli ultimi e contro la dittatura civico-militare degli anni ’70. In quel periodo cupo, ha scelto di mettere la testa nella sabbia: da uomo dell’Istituzione. Un’istituzione capace di produrre e gestire nel corso dei secoli le necessarie oscillazioni temporali a seconda delle esigenze generali: in primo luogo la gestione del “gregge”.
La Chiesa, e un papa che pure decide di chiamarsi Francesco come il fraticello di Assisi, non potràseguire fino in fondo il messaggio evangelico del Cristo che invita il ricco a spogliarsi di tutti i suoi averi per ambire al regno dei cieli. Tantomeno potràmettere in discussione la sostanza dello sfruttamento tra capitale e lavoro, arriverà al massimo a consigliare al “servo” più rassegnazione, e al padrone di essere più “buono”. L’istituzione-Chiesa non può andare contro se stessa, contro i suoi dogmi, pena il crollo e la disgregazione.
Il pontificato di Bergoglio, situandosi tra rottura e tradizione, e dopo due precedenti reazionari, ne ha senz’altro evidenziato al massimo le criticità, e ha lasciato un’impronta culturale forte. Molto, ha pesato la sua provenienza dall’America latina, il continente più diseguale, ma in cui la comunità ancora conta: contano le origini solidali, le radici indigene e afro-discendenti, e dove la povertà grida allo scandalo. E le sue grida, con Bergoglio, sono risuonate anche in Vaticano.
L’America latina, ora gli rende omaggio: in forme sobrie e autentiche, come hanno fatto i dirigenti cubani, o addolorate, come Lula in Brasile e Maduroin Venezuela, che ha decretato tre giorni di lutto nazionale, celebrando “l’amico dei popoli, un uomo di Dio che non esitava a turbare i potenti con la verità del Vangelo”.
Un omaggio ipocrita è arrivato anche dal presidente argentino, Javier Milei che, dopo aver definito il papa come “il rappresentante del maligno sulla terra”, si è detto dispiaciuto per la sua morte e ha annunciato la sua presenza ai funerali in Vaticano. In qualche intervista, Bergoglio aveva ammesso di essere “peronista” e di aver a cuore la costruzione della Patria Grande sognata da Bolivar e, forse per le accuse di essere troppo “schierato”, dopo la sua nomina non era più tornato in Argentina.
Difficile dire, adesso, se l’eredità di Francesco riuscirà a permanere nella figura che ne prenderà il posto, imponendosi nell’accesa battaglia in corso per la successione tra progressisti e conservatori. Per ora, in una Roma caotica, rapace e affaristica per questo anno di Giubileo, nell’arrogante ostentazione di super-ricchi, neofascisti e trafficanti di morte a livello internazionale, come si è visto con il voto a Trump e ai suoi epigoni, lo strapotere di Mammona sembracostituire un’attrattiva anche nel mondo degli “scarti”caro a Bergoglio.