Pagine Esteri – Sulla guerra in Ucraina il presidente degli Stati Uniti Donald Trump continua ad oscillare tra le minacce di nuove sanzioni alla Russia e dichiarazioni di sostanziale sostegno alle richieste di Mosca.
A 100 giorni dal suo secondo insediamento, il tycoon ha fretta di portare a casa un risultato – “la fine della guerra in Ucraina” – che aveva promesso di garantire subito dopo la presa di possesso dello studio ovale e che invece non sembra esattamente a portata di mano.
E non solo per il carattere ondivago della linea dell’amministrazione Trump e per le continue rimostranze da parte del recalcitrante leader ucraino Zelenski, ma anche a causa di una strategia russa che sembra voler approfittare della situazione di indubbio vantaggio per accrescere il bottino finora conquistato.
Donald Trump è «sempre più frustrato» dal mancato accordo per una pace definitiva tra Russia e Ucraina, ha affermato ieri la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, aggiungendo che «non c’è molto altro tempo o sforzi che gli Stati Uniti possono dare, quindi abbiamo bisogno che entrambe le parti vengano al tavolo a negoziare».
Mosca annuncia una tregua…
Nei giorni scorsi Vladimir Putin ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale di tre giorni – dall’8 al 10 maggio – in occasione della celebrazione dell’80° anniversario della vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista.
«La proposta del presidente Putin (…) rappresenta l’inizio di negoziati diretti con Kiev senza precondizioni» ha spiegato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov al termine di un incontro dei responsabili delle agenzie di politica estera dei Brics in Brasile.
La reazione di Kiev è stata molto fredda. «La Russia ha costantemente respinto tutte le proposte e continua a manipolare il mondo, cercando di ingannare gli Stati Uniti» ha scritto lunedì, in un post su X, il presidente ucraino secondo il quale Putin vuol dare la sensazione alla Casa Bianca di venire seppur parzialmente incontro alle richieste di cessate il fuoco e al tempo stesso presentarsi da leader vincitore alla parata sulla Piazza Rossa.
…ma ribadisce le richieste russe
Del resto nei giorni scorsi Lavrov ha confermato in un’intervista al quotidiano brasiliano “O Globo” che non accetterà un accordo di pace che non contempli il riconoscimento dell’annessione alla Federazione Russa di tutti i territori conquistati, oltre alla rinuncia da parte di Kiev all’ingresso nell’Alleanza Atlantica, alla fine delle sanzioni e alla restituzione dei beni russi confiscati all’estero.
Poco prima era stato Trump a dichiarare di considerare scontato che la Crimea resterà alla Russia attaccando Zelenski per essersi finora rifiutato di accettare la realtà dei fatti. D’altronde il piano di pace presentato dalla Casa Bianca a Kiev nei giorni scorsi prevede il riconoscimento da parte di Washington della cessione alla Russia della penisola, che Zelenski è tornato a condannare, anche perché il progetto rimane molto vago sulle “garanzie di sicurezza” offerte dalla Casa Bianca all’Ucraina, che dovrebbero sostanzialmente essere assicurate dalla presenza di truppe europee con il sostegno americano.
Pesa nel rapporto tra i due paesi anche la pretesa statunitense di ottenere lo sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo ucraino, al centro di una difficile trattativa che procede da settimane tra alti e bassi. Secondo il “piano di pace” di Washington, Kiev dovrebbe assicurare agli USA la metà dei ricavi derivanti lo sfruttamento delle sue risorse, mentre la centrale nucleare di Zaporizhia rimarrebbe nelle mani ucraine ma gestita dagli Stati Uniti e dovrebbe fornire energia elettrica sia all’Ucraina sia alla Russia.
Mosca all’offensiva ringrazia la Corea del Nord
Anche sul campo, dopo l’assai traballante breve tregua di Pasqua, le forze armate russe hanno ripreso a martellare le prime linee e le città ucraine, conquistando nuovo terreno in Donbass, espellendo quasi completamente gli occupanti ucraini nella regione russa del Kursk e aumentando sensibilmente il numero di vittime civili, probabilmente allo scopo di fiaccare ulteriormente un’opinione pubblica ucraina sempre più vicina al punto di rottura.
Ieri Vladyslav Voloshyn, portavoce delle Forze di Difesa ucraine del Sud, ha dichiarato che la situazione sul fronte si è fatta più critica, con le truppe russe che avanzano verso la zona di confine tra le regioni di Dnipropetrovsk, Zaporizhia e Donetsk. Per precauzione le autorità ucraine hanno ordinato l’evacuazione forzata di sette villaggi nella regione di Dnipropetrovsk. Il portavoce ha aggiunto che anche lungo il fiume Dnipro, nella zona di Kherson, la situazione si è deteriorata, con le forze russe che provano a prendere il controllo delle isole.
Nel frattempo, prima il Cremlino e poi la dirigenza nordcoreana hanno deciso di confermare apertamente la collaborazione militare tra i due paesi che include l’invio nel Kursk di alcune migliaia di soldati di Pyongyang per sostenere l’offensiva russa contro le truppe ucraine ormai quasi del tutto ricacciate indietro.
Un video diffuso dal ministero della Difesa ha mostrato l’addestramento nelle basi russe dei militari nordcoreani dopo che un comunicato del Partito del Lavoro della Corea del Nord ha rivendicato il proprio contributo alla vittoria riportata nel Kursk nell’ambito del partenariato strategico complessivo firmato da Kim Jong-un e Vladimir Putin.
Sabato scorso era stato per la prima volta il Cremlino a dichiarare la presenza di truppe nordcoreane nella regione russa occupata dallo scorso agosto, che fino a quel momento non era mai stata né confermata né smentita né da Mosca né da Pyongyang.
Washington spera in una svolta
É in questo contesto che la Casa Bianca cerca di portare a casa al più presto qualche risultato all’interno di una strategia – per ora abbastanza confusa – diretta a indebolire ulteriormente l’Unione Europea e a tentare di allontanare la Russia dalla Cina, quest’ultima considerata il principale e più pericoloso nemico degli interessi e della potenza americana.
A Donald Trump basterebbe, almeno per ora, un cessate il fuoco stabile e prolungato, indispensabile per avviare vere trattative. «Siamo vicini, ma non abbastanza» aveva dichiarato lo scorso fine settimana il Segretario di Stato americano Marco Rubio, sottolineando che il suo paese è pronto a «tirarsi indietro» in mancanza di una svolta.
Un certo ottimismo è stato però destato dal breve colloquio diretto tra Trump e Zelenski a margine dei funerali di Papa Francesco, il primo dopo il violento scontro di febbraio nello Studio Ovale davanti alle telecamere. Entrambi i presidenti hanno definito l’incontro “produttivo”, dopo che nei giorni precedenti Washington l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, aveva incontrato Putin.
Sempre la scorsa settimana, però, di fronte all’ennesima strage di civili causata dal più mortale attacco russo sulla capitale ucraina dalla scorsa estate, il tyconn si era mostrato spazientito e aveva minacciato la Russia di nuove sanzioni. Impaziente di ottenere risultati immediati, il miliardario ha di fatto emarginato e ridotto le prerogative del suo inviato per l’Ucraina, Keith Kellogg.
I paesi europei, con in testa il francese Macron e il britannico Starmer, continuano a puntare sul sostegno militare ed economico all’Ucraina, pur sapendo che molto difficilmente i “volenterosi” potranno sostituire gli aiuti statunitensi e invertire il corso della guerra, proprio mentre all’interno dell’opinione pubblica e del panorama politico ucraino – tra questi il sindaco di Kiev Vitali Klitschko – aumentano le richieste di trovare al più presto un accordo con Mosca anche a costo di accettare la dolorosa cessione di alcune porzioni di territorio.
Gli imperativi russi
La già citata dichiarazione di Lavrov ha definito un “imperativo” il riconoscimento della sovranità russa sulle porzioni di territorio ucraino conquistate da Mosca dal febbraio del 2022. Quei territori sono importanti per Mosca per motivi storici e ideologici, in quanto abitati in maggioranza da popolazioni etnicamente russe o comunque russofone; per motivi economici, vista la consistente presenza di terre rare e altri materiali preziosi; per motivi strategici, considerando la rilevanza militare e geopolitica della Crimea e delle costa ucraina sul Mar Nero.
Al Cremlino, che punta ad una Ucraina neutralizzata e depotenziata (per quanto sempre più soggetta al controllo occidentale) interessa però anche portare a casa lo stop all’allargamento ad est della Nato, mentre rafforza le sue installazioni militari presenti vicino al confine con la Finlandia, paese tradizionalmente neutrale entrato nell’Alleanza Atlantica nel 2023. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria