Non è solo un’operazione umanitaria. Non è beneficenza. E’ una sfida nonviolenta a un assedio che dura da diciotto anni. Oggi, mentre nel cielo sopra Gaza continuano a volare droni e gli aerei da combattimento, la barca “Madleen” della Freedom Flotilla prende il largo da Catania e punta verso la costa palestinese. A bordo, dodici attivisti e attiviste per i diritti umani, tra cui Greta Thunberg, l’avvocata Huwaida Arraf e l’europarlamentare Rima Hassan, e il carico massimo di aiuti salvavita che lo scafo può sostenere: latte artificiale per neonati, forniture mediche, e altro ancora.

 

La missione, che giunge dopo l’attacco il mese scorso compiuto da “droni sconosciuti” ad un’altra nave della Freedom Flotilla nelle acque di Malta, è chiara e dichiarata: infrangere con la forza della legge internazionale e della solidarietà civile l’assedio imposto da Israele alla Striscia di Gaza, definito da diverse organizzazioni umanitarie e giuristi come una violazione sistematica dei diritti umani e un possibile crimine contro l’umanità.

«Questo non è un gesto di carità – affermano gli organizzatori – ma un’azione diretta, nonviolenta, in piena conformità con il diritto internazionale, per sfidare illeciti sempre più gravi: la negazione della libertà di movimento, l’impedimento sistematico all’accesso agli aiuti umanitari, e la soppressione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese».

In un momento in cui la situazione nella Striscia è precipitata a causa dell’offensiva israeliana in una catastrofe umanitaria senza precedenti – con oltre 54mila palestinesi uccisi, due milioni di sfollati e un’infrastruttura sanitaria collassata – la “Madleen” rappresenta un messaggio al mondo: non è sufficiente deplorare, bisogna agire. E l’azione, in questo caso, assume la forma di un viaggio via mare, attraverso acque internazionali, fino a quelle palestinesi di Gaza.

L’equipaggio è composto da attivisti esperti, medici, volontari umanitari. Ma la forza dell’iniziativa sta anche nel vasto sostegno che ha raccolto. Un elenco eterogeneo di figure pubbliche – artiste, attori, scrittori, attivisti, intellettuali – ha prestato il proprio nome per rafforzare la legittimità e la visibilità dell’impresa. Tra questi Alana Hadid, Susan Sarandon, Abby Martin, Brian Eno, Max Porter, Aiysha Hart, Liam Cunninghan e Susan Abulhawa. Voci autorevoli, unite da un filo comune: il rifiuto dell’inerzia e la volontà di amplificare la richiesta di giustizia e libertà dei palestinesi.

I rischi sono alti malgrado in carattere pacifico dell’iniziativa, Israele ha più volte dimostrato di non tollerare intrusioni via mare verso Gaza, anche quando si tratta di imbarcazioni civili. Nel 2010, la Freedom Flotilla – che comprendeva la nave turca Mavi Marmara – fu attaccata dalle forze israeliane in acque internazionali: nove attivisti furono uccisi, uno morì successivamente per le ferite riportate. L’operazione scatenò un’ondata di condanne internazionali, ma nessuna conseguenza tangibile per Tel Aviv.

 Con il conflitto in corso e la Striscia tagliata fuori dal mondo, ogni iniziativa che tenta di forzare il blocco diventa potenzialmente esplosiva. Ma proprio per questo la “Madleen” si presenta come un’azione esemplare di disobbedienza civile. «Qualsiasi attacco o interferenza contro questa nave – sottolineano i promotori – costituirà un’aggressione deliberata e illegale contro civili disarmati, un crimine di guerra sotto la Convenzione di Ginevra».

In questo contesto, l’azione della “Madleen” rappresenta una delle poche iniziative realmente indipendenti, mosse da una logica umanitaria e politica insieme. Non è soltanto l’invio di aiuti, è l’affermazione di un principio: che la popolazione di Gaza non è sola, che il blocco non può essere normalizzato, che la legalità internazionale non è carta straccia.