Abbiamo già parlato in precedenza del Palestine Museum US e delle mostre di artisti palestinesi che ha portato a Venezia dal 2022, per tre anni consecutivi. Fondato nel 2018 da Faisal Saleh in Connecticut, il museo sta vivendo un periodo di grande espansione: oltre alla nuova sede inaugurata a Edimburgo, in Scozia, e alla mostra di ricami a Venezia (visibile fino al 23 novembre), dal 30 maggio all’8 giugno è presente anche a Bologna con la mostra Il Museo Disperso. Foreigners in Their Homeland.
Il 17 maggio scorso, il Palestine Museum US ha aperto la sua prima filiale artistica europea a Edimburgo.

Sede di Edimburgo del Palestine Museum
L’obiettivo del museo è raccontare la cultura, la storia e l’identità palestinese attraverso l’arte contemporanea. Faisal Saleh, palestinese-americano che ha vissuto direttamente le conseguenze della Nakba del 1948, porta avanti da anni un progetto che mira a costruire spazi museali in grado di narrare una storia alternativa dei palestinesi. Una storia che non li dipinga solo come vittime, ma come persone dotate di grande talento e determinazione, impegnate nella difesa dei loro diritti. Il fine di Saleh è anche quello di contribuire al processo di umanizzazione del popolo palestinese, facendo leva sugli artisti che vivono in Palestina, a Gaza e nell’esilio forzato.
Edimburgo è stata scelta come prima sede europea per via della presenza di comunità che sostengono la causa palestinese e per il suo vivace panorama culturale. Il museo occupa un edificio storico nel cuore della città, in una zona frequentata da visitatori internazionali durante eventi e festival di grande portata.
La mostra inaugurale di Edimburgo presenta circa 65 opere di 35 artisti palestinesi, tra dipinti, sculture, ricami e installazioni. I temi principali esplorati sono l’esilio, la memoria e la resistenza.
Il 10 maggio, a Palazzo Mora di Venezia, nell’ambito della settima edizione di Time Space Existence 2025, Faisal Saleh ha curato un’esposizione dedicata a sei ricami tradizionali palestinesi, parte di una più ampia collezione di opere che celebrano la resilienza delle donne palestinesi e la tradizione del ricamo (tatreez).

Ricamo Palestinian Wedding
Questa mostra fa parte del progetto Palestine History Tapestry, fondato a Oxford nel 2012 e ufficialmente lanciato nel 2018 in collaborazione con il Middle East Monitor a Londra. La collezione comprende oltre 100 pannelli ricamati a mano, che raccontano la storia e il patrimonio culturale della Palestina. Da un anno, questi ricami sono parte integrante delle collezioni del Palestine Museum US e, dal 23 giugno al 3 luglio, alcuni di questi arazzi saranno esposti nella mostra A Stitch In Time alla Palestine House of Freedom di Washington DC.
Nel frattempo, a Bologna, è in corso la mostra Il Museo Disperso. Foreigners in Their Homeland, che trova spazio in una città da sempre impegnata nel sostegno alla causa palestinese, con numerose realtà associative, collettivi e gruppi universitari attivi. L’esposizione, che raccoglie opere palestinesi, rappresenta un ulteriore momento di solidarietà e riflessione sul contesto attuale in ambito artistico.
La rete bolognese k.i.n. – Keep in Network nasce nel 2021 come uno spazio di condivisione e confronto tra diverse realtà artistiche indipendenti, con l’obiettivo di stimolare la riflessione sulla cultura cittadina. In questo periodo, gli artisti della rete hanno deciso di sostenere il progetto Il Museo Disperso. Foreigners in Their Homeland, offrendo i loro spazi per ospitare le opere dei colleghi palestinesi. Questo gesto conferma l’importanza di amplificare le voci palestinesi, in un contesto di genocidio in corso, creando uno spazio artistico di solidarietà e denuncia.
Fanno parte di questa mostra alcune opere già esposte a Venezia durante la Biennale 2024. A Bologna, le opere sono state distribuite in cinque spazi diversi, dando vita a un percorso che esplora l’esilio e la dispersione del popolo palestinese, sia sotto il profilo storico che culturale. I visitatori possono scoprire l’arte palestinese in questi spazi:
- Adiacenze (vicolo Santo Spirito, 1)
- ASAP (ex Casa del Custode della Montagnola, via Irnerio)
- Əkodanza – Centro Culturale Paleotto11 (via del Paleotto, 11)
- Nelumbo (via Arienti, 10)
- Parsec (via del Porto, 48 C/D)
Il team curatoriale, composto da Faisal Saleh, Massimiliano Nicola Mollona, Daria Passaponti, Giulia Rho e Ruba Salih, ha selezionato opere che raccontano storie di resistenza, speranza, rabbia, creatività e fiducia nel cambiamento.

Opera di Maisara Barud
Tra gli artisti in mostra, tre provengono da Gaza: Maisara Barud e Bayan Abu Nahla, che sono riusciti a fuggire e salvarsi, e Mohammed Alhaj, che continua a resistere con la sua pittura, nonostante il genocidio in corso nella Striscia.

Opera di Mohammed Alhaj
La tragedia che si sta consumando sotto i nostri occhi – e di cui siamo spettatori ma anche complici se non esercitiamo una pressione politica incisiva – è alimentata anche dalla propaganda neocon e da una narrazione occidentale che per decenni ha impedito ai palestinesi di raccontare se stessi. Le voci autoreferenziali dell’Occidente hanno spesso mancato di posizionarsi al fianco dei colonizzati, distorcendo la realtà e perpetuando l’oppressione.
L’Occidente, rispetto alla Palestina, sembra rifugiarsi in una posizione ben analizzata e criticata da Fanon e Said: rifiuta di riconoscere il potere della creatività, della storia, della cultura e dell’arte dei popoli colonizzati. Le mostre del Palestine Museum US nel mondo sono lì per affermare la necessità di decolonizzare lo sguardo, invitando a guardare i colonizzati come i protagonisti del cambiamento che è necessario per l’intera umanità.
Mai più oppressione coloniale.