Questo articolo è stato pubblicato il 4 giugno dal quotidiano Il Manifesto
Non si parlava da un po’ del villaggio beduino di Khan al-Ahmar, ai piedi di Gerusalemme. Destinato alla demolizione nei piani delle autorità israeliane – e con esso la «Scuola di gomme» costruita dalla ONG italiana Vento di Terra –, in questi ultimi anni è stato risparmiato dalle voraci pale delle ruspe israeliane grazie alle pressioni europee sul governo Netanyahu.
«Non ho mai creduto che il pericolo fosse alle spalle, mi aspettavo le nuove mosse israeliane», dice Eid Jahalin, della comunità beduina che da decenni vive in quella zona. «Se aprono la strada di cui parlano, è finita: quest’area sarà annessa a Israele e faranno di tutto per svuotarla dei palestinesi e per mandarci via, come hanno minacciato tante volte», aggiunge Jahalin, portavoce del piccolo agglomerato di baracche e tende circondato da insediamenti coloniali israeliani.
Dopo il via libera dato a marzo dal governo israeliano alla costruzione, nella zona, di una strada separata per i palestinesi, gli abitanti del villaggio si ritrovano di nuovo con lo spettro dello sgombero davanti agli occhi. Ma sono tutti i palestinesi a dover temere i progetti israeliani. I ministri di estrema destra che affollano l’esecutivo guidato da Netanyahu invocano a gran voce l’accelerazione dell’annessione della Cisgiordania a Israele. Dopo aver ottenuto pochi giorni fa il via libera alla costruzione di 22 colonie, ora insistono per la realizzazione rapida della tangenziale che vedrebbe i palestinesi spostarsi – attraverso gallerie sotterranee – tra le principali città cisgiordane, restando allo stesso tempo a distanza dall’insediamento di Maale Adumim (il più grande, con decine di migliaia di abitanti) e dalla zona est della città, che considerano la capitale del loro futuro Stato indipendente.
Israele intende infliggere un colpo fatale alle rivendicazioni palestinesi su Gerusalemme Est, la parte araba della città. Oltre alla tangenziale, sono già pronti progetti per la costruzione di 4.000 alloggi, scuole, ambulatori sanitari e molto altro nella zona E1: 12 km² di eccezionale importanza politica. Realizzarli significherebbe allungare a est il percorso del Muro israeliano, assorbendo nell’area di Gerusalemme Maale Adumim e il piccolo Khan al-Ahmar.
«Netanyahu e i suoi ministri intendono realizzare un’annessione di fatto, prendendo lo spazio intorno a Maale Adumim e rendendolo parte integrante di Gerusalemme», spiega Aviv Tatarsky, dell’organizzazione anti-insediamenti Ir Amim.
Per Mohammad Mattar, della Commissione per la Resistenza al Muro e agli Insediamenti, la tangenziale approvata da Israele «non serve a rendere la vita più facile ai palestinesi. Gli israeliani, in realtà, realizzano la loro visione: nella zona E1 loro si muoveranno in alto e controlleranno il territorio, mentre i palestinesi viaggeranno sotto, attraverso valli o tunnel».
Costruire in quell’area significa separare definitivamente la Cisgiordania settentrionale da quella meridionale. Inoltre, la rete stradale costruita per connettere le colonie tra loro e con Israele, oltre a separare fisicamente i centri abitati palestinesi, riduce il loro accesso a risorse e servizi. Parte di questa strategia sono anche gli avamposti coloniali, ufficialmente illegali anche secondo la legge israeliana, che poi vengono riconosciuti. Dal 2023 al 2025, il loro numero è cresciuto del 43%.
Quella approvata a marzo non è un’infrastruttura isolata. Rientra in un piano più ampio, iniziato negli anni ’90. Secondo i dati dell’Ong B’Tselem, negli ultimi due decenni Israele ha costruito oltre 800 chilometri di strade in Cisgiordania destinate prevalentemente all’uso dei coloni israeliani, molte delle quali vietate ai palestinesi o accessibili solo con permessi speciali. Un esempio è la cosiddetta «strada dell’apartheid» (la 4370), inaugurata nel 2019 a nord di Gerusalemme: una carreggiata divisa da un muro di cemento alto otto metri, con una corsia destinata agli israeliani e l’altra ai palestinesi, che non hanno accesso diretto a Gerusalemme. Per attraversare la Cisgiordania, un palestinese deve spesso percorrere decine di chilometri in più rispetto a un colono israeliano, affrontare posti di blocco e code interminabili.
Esperti internazionali e palestinesi parlano di una «politica del bantustan», ossia di un sistema di enclavi palestinesi collegate solo da corridoi, ma prive di qualsiasi sovranità. A Khan al-Ahmar, intanto, i bambini giocano felici. «Sono cresciuti qui liberi, sulla base delle nostre tradizioni e del nostro modo di vivere. Non li porteremo via da un’altra parte, resteremo nella nostra terra», promette Eid Jahalin.