Questo articolo è stato pubblicato in origine sul quotidiano Il Manifesto

Possono volerci anche giorni per ricevere notizie sulla sorte di chi è partito alla ricerca di cibo e non è più tornato. Le famiglie sanno che c’è ogni volta da aspettare, ma sanno anche quando il tempo comincia a voler dire che qualcosa di terribile è accaduto. Diverse persone hanno trovato i cadaveri dei propri familiari dopo ore dagli attacchi israeliani, solo una volta arrivati sul posto a controllare. Perché quando i soldati aprono il fuoco, non si ha altra scelta che provare a trovare un riparo, anche se nella ressa diventa spesso impossibile.

BASSAM ABU SHAAR, un sopravvissuto, ha raccontato all’Afp che non si ha il tempo di soccorrere i feriti: «Non siamo riusciti ad aiutarli, e nemmeno a scappare». Intorno all’una di notte erano già a migliaia nei pressi del sito di distribuzione della Ghf, nel corridoio Netzarim. Tutto è accaduto improvvisamente, come al solito: bombe dai droni, colpi dai carri armati e spari dai fucili. I corpi sono rimasti a terra vicino al punto in cui la fondazione israelo-americana consegna i suoi pacchi di cibo. Ma la Gaza humanitarian foundation, come al solito, nega qualsiasi problema. L’esercito ha detto che la folla si è avvicinata in maniera «sospetta» al punto in cui si trovavano i militari, i quali hanno aperto il fuoco, ma ha dichiarato di non essere a conoscenza di nessun «individuo ferito». La protezione civile ha fatto sapere che 21 persone sono morte ieri mentre tentavano di ricevere cibo.

15 nei pressi del sito Ghf e 6 vicino a un altro nel sud. Le testimonianze sono centinaia: «Era uscito per un sacco di farina, è tornato cadavere in un sacco», racconta un uomo di suo cognato. «Il nuovo sistema di distribuzione alimentare è crudele e pericoloso – ha scritto ieri Haaretz – Finora, circa 400 persone hanno pagato con la loro vita quel fallimento». Il giornale ha aggiunto che le stragi, i saccheggi e la distribuzione secondo «la legge del più forte» hanno fallito anche nell’obiettivo dichiarato di evitare che il cibo arrivi ai combattenti di Hamas. Giustificazione utilizzata da Tel Aviv per estromettere Onu e associazioni internazionali.

ALMENO 72 PERSONE sono state uccise a Gaza dall’alba al tramonto. Luna Rasras è una bambina di 9 anni circa. Si trovava in una tenda con la sua famiglia a Khan Younis quando Israele ha bombardato, uccidendo suo padre e i suoi fratelli e ferendola alle gambe, alle braccia e al viso. L’hanno portata in braccio, piena di garze e sangue, a dare l’ultimo saluto al padre. «Perché non mi rispondi?» chiede tra le lacrime. «Perché è successo a te? Avresti dovuto portarmi alla spiaggia sabato. Perché mi hai lasciato? Dimmelo per favore, dimmelo». Quando le hanno chiesto cosa fosse accaduto, Luna ha spiegato «mio padre non c’è più. E io vorrei essere con lui. Io dovrei essere con lui».

L’AGENZIA palestinese Wafa riporta che nel pomeriggio un raid a Jabaliya ha ucciso 16 palestinesi, tra cui una donna e due bambini. Un altro bombardamento sulle tende degli sfollati, nel campo profughi di al-Shati, sulla costa di Gaza City, ha ammazzato dodici persone, tra cui tre bambini. La stessa cosa è accaduta alle tende sistemate vicino all’ospedale Al-Quds.
Contare il numero di morti, tuttavia, diventa sempre più difficile perché la protezione civile non riesce a raggiungere i corpi sotto le macerie, soprattutto a nord.Intanto, Tel Aviv ha fatto sapere che i combattenti di Hamas hanno ucciso un altro soldato nel sud di Gaza, a Khan Younis. È il dodicesimo dall’inizio di giugno.