Pagine EsteriAd un anno esatto dalle proteste antigovernative che si erano concluse con un bilancio di almeno 65 morti, il Kenya è stato teatro nei giorni scorsi di un’altra ondata di manifestazioni e relativa repressione.
Secondo i conteggi realizzati da
Amnesty International si conterebbero finora almeno 16 vittime a Nairobi ed in altre località del paese, e 400 feriti, di cui 83 gravi. Gli arresti sarebbero un centinaio.

In poche ore, riportano i media locali, l’ospedale Kenyatta di Nairobi ha segnalato l’ammissione di 56 pazienti, diversi dei quali con ferite di arma da fuoco, mentre almeno due manifestanti sono morti per gravi emorragie prima di arrivare al pronto soccorso.

Il quotidiano “The Nation” ha confermato che la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti, mentre diversi video circolanti sui social testimoniano di giovani malmenati e picchiati da agenti in divisa. Le mobilitazioni, che hanno coinvolto almeno 27 dei 40 distretti del Kenya, erano state indette per commemorare le vittime delle proteste scoppiate lo scorso anno, proprio il 25 giugno, contro la proposta di riforma finanziaria del governo e l’aumento delle tasse, accusate di aggravare il caro-vita.

Gli scontri si sono verificati, in particolare, lungo le arterie principali che costeggiano il palazzo del Parlamento e la presidenza, già presi d’assalto lo scorso anno mentre i deputati votavano la contestata legge finanziaria, poi approvata e firmata dal presidente Ruto.

Durante le proteste il governo ha imposto alcune misure di censura nei confronti dei media che trasmettevano gli scontri. In una nota ufficiale, l’Autorità per le comunicazioni ha vietato alle emittenti radiotelevisive di fare la diretta delle manifestazioni, minacciando in caso contrario provvedimenti disciplinari. Nonostante il divieto, numerosi media kenioti hanno comunque continuato a trasmettere, mentre il gruppo editoriale “The Standard” – che gestisce emittenti televisive, radiofoniche e un quotidiano – ha denunciato su X un tentativo di “oscuramento delle notizie”. In serata l’Alta corte di Nairobi ha sospeso la direttiva del governo, definendola “punitiva, arbitraria e illegale”.

Da parte sua, il ministero degli Esteri ha messo in guardia gli inviati internazionali dall’interferire negli affari interni del Kenya, accusandoli di essere “eccessivamente prescrittivi” e “insensibili” al contesto nazionale keniota. Nairobi ha anche respinto l’appello dei diplomatici alla moderazione nelle azioni di polizia e l’invito a tutelare il diritto alla protesta, affermando che in Kenya le forze dell’ordine operano sotto un rigoroso controllo legale.

In una nota comune, i diplomatici di Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Canada, Svezia o Danimarca avevano precedentemente esortato Nairobi ad agevolare lo svolgimento di manifestazioni pacifiche e a rispettare pienamente una sentenza dell’Alta Corte che vieta l’uso di agenti di polizia in borghese a bordo di veicoli non identificati durante le proteste. Le rappresentanze hanno inoltre condannato l’uso di mercenari per interrompere le manifestazioni e hanno rinnovato le richieste di indagini indipendenti sulla violenza della polizia durante le proteste dello scorso anno.

La repressione ordinata dal governo Ruto contro i manifestanti pacifici è stata condannata anche dai “Combattenti per la libertà economica” (Eff) del Sudafrica, un partito d’ispirazione marxista all’opposizione nel Paese. La formazione, nata alcuni anni fa da una scissione di sinistra dell’African Nation Congress, ha espresso solidarietà ai giovani kenyoti ed ha denunciato la “brutale repressione di manifestanti pacifici” e la “censura sui media indipendenti”, segno del “crescente autoritarismo del regime” di Ruto.

William Ruto è stato eletto nel 2022, presentandosi come un riformatore e un modernizzatore, capace di dare stabilità al grande paese africano. Allora il candidato uscito vincitore promise di risanare i conti pubblici, di ridurre l’enorme debito pubblico, il deficit fiscale e soprattutto di migliorare le condizioni economiche dei più poveri e della classe media in difficoltà per l’aumento del costo della vita. Ma le sue promesse si sono subito tradotte in una serie di misure che hanno fatto aumentare il costo della vita, la povertà e la precarietà, spingendo decine di migliaia di giovani a scendere in piazza. Particolarmente contestate sono state le leggi che hanno eliminato una parte dei sussidi statali per l’acquisto dei carburanti e fatto aumentare notevolmente il prezzo del pane e di altri generi di prima necessità.

Le massicce proteste dello scorso anno avevano convinto Ruto a ritirare la maggior parte dei provvedimenti contestati, che però sono stati inseriti nella Legge di Bilancio di quest’anno, scatenando nuove mobilitazioni.

Nei mesi scorsi ha suscitato un’ondata di indignazione e di proteste la morte, in un commissariato di polizia di Nairobi, del blogger politico Albert Ojwang, arrestato con l’accusa di aver diffamato un agente sui social.

Negli ultimi mesi il governo guidato da William Ruto sta cercando di riposizionarsi a livello internazionale. Nell’aprile scorso il presidente keniota si è recato in visita in Cina per innalzare le relazioni bilaterali con Pechino ad un “nuovo livello”, con l’obiettivo di creare una comunità Cina-Africa “adatta a tutte le turbolenze” di fronte al “caos” internazionale.

L’incontro tra Xi e Ruto ha rappresentato l’occasione per stipulare 20 accordi di cooperazione incentrati sui progetti legati alla Nuova via della seta e sui settori alta tecnologia, cultura, media, economia e commercio. All’inizio della sua presidenza Ruto aveva privilegiato i legami con l’Occidente – e in particolare con gli Stati Uniti – venendo ricevuto alla Casa Bianca nel maggio 2024 dall’allora presidente Joe Biden, che in quell’occasione annunciò il conferimento al Kenya dello status di “alleato primario non membro della Nato”, assegnato ai Paesi che hanno una cooperazione militare privilegiata con Washington. Tuttavia, dopo l’entrata in carica di Donald Trump, i dazi statunitensi e la riduzione degli aiuti Usa hanno spinto Nairobi a cercare nuovi mercati e investimenti da Pechino.

Ma il ruolo del Kenya si è fortemente accresciuto, sotto la presidenza Ruto, anche a livello regionale. Il governo di Nairobi ha infatti sostenuto – almeno indirettamente – la nascita di un “governo parallelo” in Sudan nei territori controllati dalle Forze di supporto rapido (Rsf), che da oltre due anni sono in guerra con le Forze armate sudanesi (Saf). Un fatto che ha mandato su tutte le furie le autorità di Khartum, che soltanto pochi giorni fa hanno nuovamente accusato il Kenya di sostenere attivamente le Rsf, avvertendo che le azioni di Nairobi minacciano la sicurezza regionale e l’integrità degli Stati africani. Secondo il ministero degli Esteri sudanese, Nairobi ha inoltre svolto il ruolo di “principale canale di approvvigionamento militare degli Emirati Arabi Uniti verso le milizie terroristiche”.

Anche nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) il Kenya è accusato dalle autorità di Kinshasa di sostenere i ribelli del Movimento 23 marzo (M23), avendo ospitato nel dicembre 2023 la cerimonia di lancio ufficiale dell’Alleanza del fiume Congo (Afc), una piattaforma che riunisce gruppi armati, milizie e organizzazioni sociali e politiche congolesi tra cui gli stessi ribelli M23, che da anni combattono contro le forze armate congolesi nell’est del Paese con il sostegno del Ruanda. Pagine Esteri