Pagine Esteri – Ad un anno esatto dalle proteste antigovernative che si erano concluse con un bilancio di almeno 65 morti, il Kenya è stato teatro nei giorni scorsi di un’altra ondata di manifestazioni e relativa repressione.
Secondo i conteggi realizzati da Amnesty International si conterebbero finora almeno 16 vittime a Nairobi ed in altre località del paese, e 400 feriti, di cui 83 gravi. Gli arresti sarebbero un centinaio.
In poche ore, riportano i media locali, l’ospedale Kenyatta di Nairobi ha segnalato l’ammissione di 56 pazienti, diversi dei quali con ferite di arma da fuoco, mentre almeno due manifestanti sono morti per gravi emorragie prima di arrivare al pronto soccorso.
Il quotidiano “The Nation” ha confermato che la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti, mentre diversi video circolanti sui social testimoniano di giovani malmenati e picchiati da agenti in divisa. Gli scontri si sono verificati, in particolare, lungo le arterie principali che costeggiano il palazzo del Parlamento e la presidenza, già presi d’assalto lo scorso anno mentre i deputati votavano la contestata legge finanziaria,
Durante le proteste il governo ha imposto alcune misure di censura nei confronti dei media che trasmettevano gli scontri. In una nota ufficiale, l’Autorità per le comunicazioni ha vietato alle emittenti radiotelevisive di fare la diretta delle manifestazioni, minacciando in caso contrario provvedimenti disciplinari. Nonostante il divieto, numerosi media kenioti hanno comunque continuato a trasmettere, mentre il gruppo editoriale “The Standard” – che gestisce emittenti televisive, radiofoniche e un quotidiano – ha denunciato su X un tentativo di “oscuramento delle notizie”. In serata l’Alta corte di Nairobi ha sospeso la direttiva del governo, definendola “punitiva, arbitraria e illegale”. Da parte sua, il ministero degli Esteri ha messo in guardia gli inviati internazionali dall’interferire negli affari interni del Kenya, accusandoli di essere “eccessivamente prescrittivi” e “insensibili” al contesto nazionale keniota. Nairobi ha anche respinto l’appello dei diplomatici alla moderazione nelle azioni di polizia e l’invito a tutelare il diritto alla protesta, affermando che in Kenya le forze dell’ordine operano sotto un rigoroso controllo legale.
In una nota comune, i diplomatici di Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Canada, Svezia o Danimarca avevano precedentemente esortato Nairobi ad agevolare lo svolgimento di manifestazioni pacifiche e a rispettare pienamente una sentenza dell’Alta Corte che vieta l’uso di agenti di polizia in borghese a bordo di veicoli non identificati durante le proteste. Le rappresentanze hanno inoltre condannato l’uso di mercenari per interrompere le manifestazioni e hanno rinnovato le richieste di indagini indipendenti sulla violenza della polizia durante le proteste dello scorso anno.
La L’incontro tra
Nei mesi scorsi ha suscitato un’ondata di indignazione e di proteste la morte, in un commissariato di polizia di Nairobi, del blogger politico Albert Ojwang, arrestato con l’accusa di aver diffamato un agente sui social.
Negli ultimi mesi il governo guidato da William Ruto sta cercando di riposizionarsi a livello internazionale. Nell’aprile scorso il presidente keniota si è recato in visita in Cina per innalzare le relazioni bilaterali con Pechino ad un “nuovo livello”, con l’obiettivo di creare una comunità Cina-Africa “adatta a tutte le turbolenze” di fronte al “caos” internazionale.
Ma il ruolo del Kenya si è fortemente accresciuto, sotto la presidenza Ruto, anche a livello regionale. Il governo di Nairobi ha infatti sostenuto – almeno indirettamente – la nascita di un “governo parallelo” in Sudan nei territori controllati dalle Forze di supporto rapido (Rsf), che da oltre due anni sono in guerra con le Forze armate sudanesi (Saf). Un fatto che ha mandato su tutte le furie le autorità di Khartum, che soltanto pochi giorni fa hanno nuovamente accusato il Kenya di sostenere attivamente le Rsf, avvertendo che le azioni di Nairobi minacciano la sicurezza regionale e l’integrità degli Stati africani. Secondo il ministero degli Esteri sudanese, Nairobi ha inoltre svolto il ruolo di “principale canale di approvvigionamento militare degli Emirati Arabi Uniti verso le milizie terroristiche”.
Anche nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) il Kenya è accusato dalle autorità di Kinshasa di sostenere i ribelli del Movimento 23 marzo (M23), avendo ospitato nel dicembre 2023 la cerimonia di lancio ufficiale dell’Alleanza del fiume Congo (Afc), una piattaforma che riunisce gruppi armati, milizie e organizzazioni sociali e politiche congolesi tra cui gli stessi ribelli M23, che da anni combattono contro le forze armate congolesi nell’est del Paese con il sostegno del Ruanda. Pagine Esteri