Pagine Esteri – Congo e Ruanda hanno firmato l’ennesima “pace inutile” impegnandosi a risolvere un sanguinoso conflitto che dura da tre decenni e che cinque accordi simili sottoscritti anche recentemente non hanno disinnescato.

Eppure il presidente degli Stati Uniti ha definito “meraviglioso” l’accordo preliminare, intestandosene il merito. «Non riceverò un premio Nobel per la pace per questo – ha detto Donald Trump, citando poi anche i conflitti tra Russia e Ucraina e tra Israele e Iran – ma le persone sanno, e questo è quello che conta per me».

Il testo è stato firmato il 27 giugno a Washington, dal ministro degli Esteri del Ruanda, Olivier Nduhungirehe, e dalla sua omologa della Repubblica Democratica del Congo, Thérèse Kayikwamba Wagner, alla presenza del segretario di Stato americano Marco Rubio.
La foto di rito nello studio ovale includeva anche il vicepresidente J. D. Vance e Massad Boulos, uomo d’affari di origini libanesi e consuocero di Trump che dallo scorso aprile il presidente ha nominato “consigliere speciale” per l’Africa.

I particolari dell’accordo non sono stati diffusi, ma i paesi firmatari hanno emesso un comunicato congiunto con gli Stati Uniti nei quali si elencano i punti salienti. La genericità degli impegni assunti dalle parti e la mancanza di alcuni capitoli fondamentali evidenziano la provvisorietà e la scarsa solidità del compromesso, utile più che altro a rafforzare le carte di Washington nell’area.

Denis Mukwege, medico e attivista congolese insignito nel 2018 del Nobel per la pace, definisce l’accordo una resa alle forze che hanno causato milioni di morti, aggravata dalla legittimazione della rapina delle risorse minerarie del suo paese nell’ottica di una logica che definisce “estrattivista neocoloniale”. In una dichiarazione, il Nobel ha affermato che l’accordo «equivarrebbe a concedere una ricompensa per l’aggressione, legittimando il saccheggio delle risorse naturali congolesi e costringendo la vittima ad alienare il proprio patrimonio nazionale, sacrificando la giustizia per garantire una pace precaria e fragile».

Eppure è stato lo stesso presidente del Congo, Félix Tshisekedi, a sollecitare l’intervento di Trump per mettere fine al conflitto offrendo in cambio un generoso accesso alle terre rare e ai minerali preziosi i cui giacimenti si concentrano proprio nelle regioni orientali del paese occupate nei mesi scorsi dalle milizie del “Movimento 23 Marzo” (M23), costituito per lo più da ex soldati congolesi Tutsi che affermano di lottare per difendere i diritti della propria comunità etnica.

I critici dell’accordo accusano Tshisekedi di aver svenduto la sovranità del paese in cambio di un tornaconto personale. Pur sostenendo il raggiungimento di un compromesso con l’M23 che porti alla fine delle ostilità, Mukwege ha addirittura avvisato che «Nel caso in cui le nostre autorità non rispettassero la Costituzione o il diritto internazionale, saremo costretti a chiamare il popolo a una vera rivoluzione democratica per esigere il ripristino della nostra sovranità e integrità territoriale».

Alcuni analisti invece spiegano che la concessione dei diritti di sfruttamento delle ingenti risorse minerarie congolesi – controllate e sfruttate per lo più dall’M23 e dal Ruanda che finanzia e arma la milizia – sia stato considerata dal presidente il male minore rispetto ad una situazione del paese ormai disastrosa e all’incapacità da parte dell’esercito regolare di tenere testa all’invasione.
Nei primi mesi di quest’anno l’M23, che si è trasformato ormai in un esercito bene armato e addestrato, ha preso il controllo della maggior parte del Nord e del Sud Kivu, compresi i due capoluoghi Goma e Bukavu.
L’offensiva è avvenuta a poche settimane dalla firma, il 25 novembre 2024, di un’intesa tra Congo e Ruanda analoga a quella sottoscritta pochi giorni fa.

Le risorse minerarie vengono estratte illegalmente e trasportate in Ruanda, che è diventato uno dei principali esportatori dell’area, permettendo alla milizia di riempire le proprie casse e al piccolo paese limitrofo di tramutarsi in paese ricco e moderno sotto il controllo del dittatore Paul Kagame.
Nelle regioni occupate l’M23, supportato da alcune migliaia di soldati ruandesi – di cui però Kigali continua a negare l’esistenza – ha messo in atto una sistematica repressione nei confronti di chi oppone resistenza. Secondo un’indagine dell’Ufficio dell’Onu per i Diritti Umani, gli occupanti compiono sistematicamente crimini di guerra, commettendo stupri, arresti arbitrari e omicidi extragiudiziali. Per non parlare del fatto che l’economia e le infrastrutture della zona sono crollate e più di un milione di persone ha dovuto sfollare dalle proprie case per scampare ai combattimenti e alle persecuzioni.

Incredibilmente l’accordo firmato a Washington contiene l’impegno da parte della Repubblica Democratica del Congo e del Ruanda a rispettare la reciproca integrità territoriale, a salvaguardare i civili, a permettere il ritorno degli sfollati e a garantire la fine delle ostilità ma non menziona mai esplicitamente il ruolo dell’M23 e non riconosce il Ruanda come paese belligerante. Da parte sua la milizia non è stata coinvolta nella trattativa e ha già affermato che non si sente condizionata in alcun modo.

Mentre la longa manus del Ruanda continuerà a occupare e a sfruttare ampie porzioni del Congo, il testo impegna Kinshasa a smobilitare le “Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda”, un movimento armato composto da poche centinaia di hutu ruandesi che secondo Kigali rappresenterebbe addirittura una “minaccia esistenziale” e giustificherebbe le “misure difensive” messe in atto dalle forze armate ruandesi.

Anche se l’accordo prevede un impegno a introdurre una maggiore trasparenza nella filiera delle terre rare e dei metalli preziosi, è l’ingresso delle imprese statunitensi nelle procedure di sfruttamento e commercializzazione il punto dirimente, al centro inoltre di specifiche intese tra Kinshasa e Washington. Lo stesso Trump ha affermato che Washington si è assicurata «una larga parte dei diritti minerari della Repubblica Democratica del Congo», un passo avanti non indifferente nella competizione con la Cina che finora sfruttava una parte consistente dei giacimenti congolesi, in particolare quelli di cobalto, che rappresentano l’80% dele riserve mondiali.

Le imprese statunitensi potranno contare sul Corridoio di Lobito, un collegamento ferroviario lungo 1.500 km che collega lo Zambia settentrionale alla costa angolana passando per il sud della RDC. Per rinnovare l’infrastruttura ed avere a disposizione un proprio corridoio alternativo a quello finanziato dalla Cina verso il Mozambico, l’amministrazione Biden ha investito circa 4 miliardi.

Il presidente congolese spera forse che gli Stati Uniti, per sfruttare i giacimenti del Congo orientale, convincano le milizie tutsi a sloggiare, ma è assai più probabile che Washington trovi un accordo reciprocamente vantaggioso con l’M23 e il Ruanda piuttosto che inimicarsi il regime di Kagame che rappresenta già il più stretto alleato di Israele in Africa.

Ad avvantaggiarsi dei nuovi equilibri sarà anche il Qatar, che sta mediando anche una trattativa parallela tra M23 e Congo e che viene citato come membro del comitato di monitoraggio dell’accordo firmato venerdì. L’emirato ha fortemente investito in Ruanda, finanziando numerose infrastrutture, acquistando il 60% della RwandAir ed acquisendo alcuni degli stabilimenti che raffinano i minerali trafugati nelle regioni congolesi occupate. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria