“L’università ci ha mandato delle e-mail. Ci ha detto che se ci avesse mai fermato la polizia statale avremmo dovuto subito chiamare le autorità del nostro campus per chiedere aiuto, senza mai dare i documenti a nessuno”. A.C. è un ragazzo italiano che si è trasferito due anni fa negli Stati Uniti per studiare. Laureatosi, ha iniziato a collaborare con le università americane.

L’ondata di deportazioni cominciata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha già coinvolto centinaia di persone. In un Paese in cui il 13.7% dei cittadini sono nati all’estero, le discriminazioni razziali portate avanti dal governo, con espulsioni che hanno incluso anche cittadini americani sospettati di essere clandestini, non sono state accettate di buon grado. Dopo le operazioni dell’Ice (l’agenzia federale nata con l’obiettivo di far rispettare le leggi sull’immigrazione all’interno del territorio americano) condotte sui posti di lavoro, che hanno portato all’arresto di circa 118 persone sospettate di non essere in regola, sono scoppiate molte proteste. “Chicago è notoriamente la città con più immigrazione negli Stati Uniti e da un giorno all’altro, quando è salito al governo Trump, abbiamo visto interi quartieri popolati da cittadini messicani svuotarsi”, ci racconta A.C. “Le nuove linee guida accademiche scoraggiano gli studenti stranieri a tornare a casa per paura che non li facciano rientrate negli Stati Uniti, anche se hanno accordi con l’università”.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso, e che ha portato il 6 giugno alle rivolte, è stato il crescente controllo in scuole e chiese e le deportazioni a El Salvador senza alcuna accusa, che hanno separato intere famiglie. Dopo le già denunciate condizioni disumane in cui venivano detenute le persone e i richiedenti asilo si è accesa la miccia in un territorio tradizionalmente progressista come la California, così come a Los Angeles e alcune cittadine limitrofe, per poi espandersi nella città di San Francisco. Tutte le città hanno protestato contro l’amministrazione Trump e la stretta repressiva sul fronte immigratorio. La risposta della Casa Bianca è stata brutale: il presidente ha promesso rastrellamenti e deportazioni di massa e ha schierato la Guardia Nazionale, che solitamente non è coinvolta in questioni di ordine pubblico, bypassando il governatore democratico della California, Gavin Newsom, che definisce questi episodi “uno sfacciato abuso di potere, contro il quale faremo causa”. Newsom ha citato in giudizio l’amministrazione americana per aver dispiegato, senza previa autorizzazione statale, duemila agenti della Guardia nazionale: è infatti la prima volta dal 1965 che la Guardia nazionale viene schierata contro la volontà del governatore. “Il livello di allerta è alto – ha aggiunto A. C. – Se vai alle manifestazioni ti controllano il viso, ogni volta che entri in metro ti scannerizzano il volto, cercano le persone. A molte persone hanno revocato il visto con l’accusa di aver semplicemente partecipato a delle manifestazioni, solo partecipato. Hanno revocato il visto alla futura regina del Belgio”. Al centro di Los Angeles gli agenti, in assetto antisommossa, hanno attaccato i manifestanti con gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma. Oltre 200 persone sarebbero già state fermate. Gli arresti, denunciano le associazioni, sarebbero avvenuti senza mandati giudiziari, spesso all’interno di fabbriche, magazzini e persino centri commerciali. Inoltre, Lauren Tomasi, una giornalista australiana dell’emittente televisiva 9News, è stata colpita da un proiettile di gomma sparato dalle forze dell’ordine mentre svolgeva il suo lavoro, inerme, armata di microfono e telecamera. Un episodio che ha causato la reazione del premier australiano, Anthony Albanese, che ha definito “orribile” quanto accaduto. Tomasi non è l’unica cronista finita nel mirino. Sempre a Los Angeles, una troupe della Cnn è stata fatta allontanare dal centro della città, con i giornalisti scortati dagli agenti con le mani dietro la schiena. Intanto le manifestazioni si espandono: nonostante l’arresto, in sole 24 ore a San Francisco, di 150 persone, in centinaia hanno continuato a scendere in strada anche ad Atlanta, Seattle, Dallas, Louisville e New York. Un movimento che condanna i mesi di propaganda razzista e omofoba, ordini esecutivi firmati senza tenere conto del Congresso, dichiarazioni contraddittorie sul destino dell’economia globale, dove l’opposizione politica è fortemente ostacolata e molto altro, a cui si aggiunge la militarizzazione e la repressione nelle strade. “Le persone sono sempre libere di esercitare i loro diritti garantiti dal Primo Emendamento a San Francisco”, ha dichiarato la polizia cittadina in un comunicato. “Ma la violenza, soprattutto contro gli agenti della polizia di San Francisco, non sarà mai tollerata”. Ma tra gli uomini delle forze dell’ordine ci sarebbero due feriti in modo lieve contro centinaia di feriti gravi tra i manifestanti. “La nostra situazione non è come quella di molti cittadini di altre parti del mondo – ammette A. C. – che non possono uscire dall’America da anni perché non rientrerebbero mai più. Noi europei siamo privilegiati e tutelati, ma un po’ d’ansia c’è sempre, il mio visto può essere revocato in ogni momento, soprattutto non ho mai la certezza di rientrare, un funzionario può sempre impedirti l’accesso nel Paese, devi scegliere tra rivedere la tua famiglia o restare per non rischiare di vederti negato il visto”.

Dopo la mobilitazione della Guardia Nazionale, il presidente Usa ha chiesto “l’arresto di chiunque indossi una mascherina”. E la polizia ha dichiarato il centro di Los Angeles zona di “assembramento illegale”. Inoltre, il procuratore federale del Central District della California, Bill Essayli, ha annunciato che le autorità stanno visionando registrazioni di telecamere a circuito chiuso, fotografie e riprese delle bodycam delle forze di polizia per identificare le persone sospettate di aver commesso atti violenti durante le proteste di Los Angeles dichiarando: “Stiamo dando la caccia a queste persone, voglio essere chiaro: questo non è che l’inizio”. È stato poi stabilito un coprifuoco che interessa circa cinque chilometri quadrati del centro città si sono congregati i manifestanti. Il divieto è di circolazione dalle 20 alle 6, in modo da porre fine ai confronti fra manifestanti e forze dell’ordine. “Oggi è necessario pesare ogni tua azione: io sono sempre stata una persona attiva politicamente ma da quando c’è Trump evito ogni genere di espressione politica perché non è ben vista dal governo, limito la mia politicizzazione anche sui social”. Conclude A.C.

Mentre 8 milioni di statunitensi continuano a scendere in piazza per manifestare contro l’autoritarismo di un presidente ormai percepito come un despota, Trump spende 45milioni per una sfilata militare e valuta di espandere il travel ban e vietare l’ingresso ad altri 36 Paesi.