Pagine Esteri – Nuovo pesante giro di vite contro le opposizioni in Turchia, nel chiaro tentativo di estromettere le opposizioni dalle principali amministrazioni locali per sventare una eventuale sconfitta di Recep Tayyip Erdogan alle prossime presidenziali.
Sabato le forze di sicurezza hanno arrestato i sindaci di tre importanti città. Si tratta di Muhittin Bocek, primo cittadino di Antalya, Abdurrahman Tutdere di Adiyaman e Zeydan Karalar di Adana, tutti e tre membri del Partito popolare repubblicano (Chp) il principale partito di opposizione in Turchia).
Il sindaco di Antalya è stato arrestato insieme ad altre due persone nell’ambito di un’indagine per “corruzione”. Tutdere e Karalar sono invece stati arrestati, insieme ad altre otto persone, nell’ambito di un’indagine della procura di Istanbul per appartenenza alla criminalità organizzata, corruzione e manipolazione delle gare d’appalto.
Nei mesi scorsi la magistratura – da tempo fedele strumento nelle mani del potere esecutivo – ha ordinato l’arresto di decine di funzionari e di eletti, tutti in amministrazioni controllate dal Chp. La scorsa settimana l’ex sindaco di Smirne, Tunc Soyer, e 137 funzionari comunali sono stati incarcerati nel corso di un’indagine su presunti appalti truccati e frodi. La stessa sorte, lo stesso giorno, è toccata al sindaco di Manavgat, una città nella provincia di Antalya, e ad altre 34 persone. Prima ancora erano stati numerosi sindaci curdi ad essere rimossi.
La vittima più illustre della strategia di decapitazione delle opposizioni è stata il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, l’unico sfidante in grado di impensierire il presidente Erdogan alle prossime elezioni. Il primo cittadino della metropoli sul Bosforo è stato incarcerato nel marzo scorso sempre sulla base di accuse di corruzione, generando enormi proteste di massa che però poi si sono placate senza particolari conseguenze.
Dopo il suo arresto, Imamoglu è stato ufficialmente nominato candidato presidenziale del suo partito per le elezioni del 2028.
Su di lui la procura generale di Istanbul ha chiuso le indagini su quello che definisce il “falso diploma” di laurea, decidendo di chiedere per Imamoglu una condanna che può andare dai due anni e sei mesi a ben nove anni di carcere.
L’atto di accusa per “falsificazione di documenti ufficiali”, è stato trasmesso al Tribunale penale di primo grado di Istanbul.
Lo scorso marzo, il giorno precedente al suo arresto, l’ex sindaco si era visto revocare da parte dell’Università di Istanbul il suo diploma di laurea, un requisito necessario per presentare la candidatura alla carica di presidente della Repubblica di Turchia.
All’ex sindaco è contestata la validità del suo trasferimento all’Università di Istanbul, nel 1990, dalla Girne American University, istituto privato dell’autoproclamata Repubblica turca di Cipro del Nord al tempo non riconosciuto ufficialmente neanche dalle omologhe autorità di Ankara.
Imamoglu ha spiegato di essersi iscritto alla facoltà di economia aziendale dell’università cipriota nel 1988, e di aver poi effettuato la procedura di trasferimento dopo aver scoperto che “altri avevano fatto il passaggio alle università in Turchia”. Attualmente, l’ex sindaco resta in custodia cautelare nel carcere di Silivri, in attesa del processo che lo vede imputato come capo di una presunta associazione a delinquere responsabile di manipolazione di appalti pubblici e corruzione.
La repressione non si rivolge solo contro curdi e repubblicani. Alla fine di giugno la polizia ha infatti arrestato 158 persone accusate di avere legami con il cosiddetto “gruppo Feto”, come il regime turco definisce il movimento fondato dall’imprenditore e predicatore Fetullah Gulen, scomparso lo scorso ottobre all’età di 83 anni in Pennsylvania.
Ex mentore politico e religioso di Erdogan, Gulen si era da tempo rifugiato negli Stati Uniti per sfuggire ad un mandato di arresto e da lì manovrava per cercare di rimuovere il suo ex pupillo dal potere.
Nel luglio 2016 il presidente turco lo aveva accusato di essere il mandante del fallito colpo di stato sventato dalle autorità e il movimento di Gulen da quel momento è stato oggetto di una feroce repressione.
Il 23 giugno le procure generali di Istanbul e Smirne hanno ordinato una campagna di arresti che ha coinvolto 41 diverse province, con l’obiettivo di incarcerare decine di ufficiali dell’esercito in servizio e di ex militari.
Salgono così a 25.869 le persone arrestate negli ultimi dieci anni con l’accusa di appartenere al “gruppo Feto”. Tra queste, 9.055 sono state poste in custodia cautelare, mentre 13.972 sono state rilasciate con provvedimento giudiziale. Altre 2.393 persone sarebbero ancora latitanti. – Pagine Esteri