L’ 11 luglio, nella zona di Sinjil, a nord-est di Ramallah, si è consumato un nuovo crimine  compiuto da coloni israeliani contro i civili palestinesi. Due giovani, Mohammed Shalabi e Saif al-Din Maslat, quest’ultimo anche cittadino statunitense, sono stati uccisi: il primo colpito da un proiettile al torace, il secondo percosso selvaggiamente e deceduto poco dopo per le gravi ferite riportate. Ventisette altri palestinesi sono rimasti feriti durante l’attacco, che ha preso di mira una manifestazione pacifica contro l’espansione delle colonie israeliane.

La protesta era stata organizzata dagli abitanti dei villaggi di Sinjil e al-Mazra’a ash-Sharqiya, assieme ad attivisti per i diritti umani, palestinesi e internazionali. Dopo la preghiera del venerdì, decine di persone si erano radunate nella zona di Jabal Tal al-Baten per opporsi alla recente creazione di un nuovo avamposto coloniale. Ma poco dopo l’arrivo sul posto, un gruppo di coloni, molti dei quali armati, ha aggredito violentemente i manifestanti con bastoni, pietre e manganelli. Una seconda ondata di aggressori, giunti in veicoli fuoristrada, ha circondato i partecipanti, trasformando il sit-in pacifico in una caccia all’uomo.

Secondo i testimoni raccolti dal Palestinian Centre for Human Rights (PCHR), durante la fuga i manifestanti sono stati inseguiti e assaliti da altri gruppi armati di coloni. Le ambulanze palestinesi che cercavano di raggiungere i feriti sono state attaccate: una è stata colpita con pietre e bastoni e le sono stati infranti i vetri. Diverse squadre mediche sono state bloccate e picchiate, mentre alcuni attivisti internazionali venivano arrestati o trattenuti.

Mohammed Shalabi, 23 anni, è stato dato per disperso nel caos seguito all’aggressione. L’ultima comunicazione con la madre è stata una telefonata di appena venti secondi, durante la quale si sono udite solo urla e colpi, poi il silenzio. La sua famiglia, inizialmente informata che era stato arrestato dall’esercito, ha poi ricevuto la smentita: il suo nome non figurava tra i detenuti. Solo dopo una lunga ricerca, il corpo senza vita del giovane è stato ritrovato alle 22:15 nell’area di Bir al-Tal, a quattro chilometri di distanza dal luogo dove poche ore prima era stato trovato, in gravissime condizioni, Saif al-Deen Maslat.

Maslat, 23 anni, cittadino statunitense e residente a al-Mazra’a ash-Sharqiya, era tornato in Palestina solo tre settimane prima per una visita familiare. Ritrovato con segni evidenti di percosse alla testa, al petto e alla schiena, ha perso conoscenza durante il trasporto verso l’ambulanza, ed è morto poco dopo essere giunto al Palestine Medical Complex di Ramallah.

Un testimone oculare, anch’egli ferito, ha riferito agli operatori del PCHR di aver visto Saif al-Din aggredito da coloni armati, e di aver udito spari provenienti dall’area in cui più tardi sarebbe stato ritrovato anche il corpo di Mohammed Shalabi. Lo stesso testimone ha raccontato che i coloni gli avevano intimato di informare il villaggio che “avevano già ucciso due persone”.

Il PCHR denuncia come questo massacro non sia un episodio isolato, ma parte integrante di una strategia sistematica volta a svuotare i villaggi palestinesi nei pressi delle colonie per favorire l’espansione degli insediamenti coloniali.

Non è la prima volta che un cittadino statunitense di origine palestinese viene ucciso in Cisgiordania. Nel maggio 2022, l’esercito israeliano ha colpito a morte la giornalista Shireen Abu Akleh mentre documentava un’operazione militare a Jenin, nonostante indossasse un giubbotto con la scritta “PRESS”. Nel gennaio dello stesso anno, l’ottantenne palestinese-americano Omar As’ad morì dopo essere stato arrestato e abbandonato legato in strada dai soldati israeliani, durante una notte gelida. Anche in quei casi, nessuna indagine internazionale è stata portata avanti, né si sono registrate reazioni significative da parte dell’Amministrazione statunitense.

Anche il recente omicidio della nota attivista per i diritti umani Aysenur Ezgi Eygi, avvenuto in Cisgiordania nei pressi di Nablus, non ha suscitato alcuna condanna da parte di Washington, nonostante fosse una cittadina americana e figura di rilievo nella mobilitazione internazionale a favore della Palestina.

Secondo il PCHR, il crimine di Sinjil costituisce una grave violazione del diritto internazionale, in particolare della IV Convenzione di Ginevra del 1949 che vieta il trasferimento della popolazione civile dell’occupante nei territori occupati (art. 49) e impone all’occupante l’obbligo di proteggere i civili. Le azioni coordinate tra IOF e coloni, l’uso sistematico della violenza, gli arresti arbitrari e l’impedimento ai soccorsi rientrano nella definizione di crimini di guerra e crimini contro l’umanità secondo lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.