di Anthony Samrani – L’Orient Today
Il Medio Oriente ci ricorda continuamente quanto le apparenze possano essere ingannevoli e quanto instabile sia la situazione sul campo. Solo pochi giorni fa, l’inviato speciale degli Stati Uniti Tom Barrack presentava la Siria come modello per il Libano e avvertiva Beirut che l’inazione avrebbe potuto portare al ritorno di “Bilad al-Sham”.
Nonostante le sue fragilità strutturali, la Siria di Ahmad al-Sharaa sembrava finalmente avviarsi verso una forma di stabilizzazione, con, da un lato, la revoca delle sanzioni statunitensi e, dall’altro, l’accelerazione dei negoziati per un accordo di sicurezza almeno minimo con Israele.
Sarebbe esagerato affermare che tutto questo sia andato in fumo negli ultimi giorni, soprattutto considerando quanto sia ancora difficile avere una visione completa della situazione. Ma è chiaro che il presidente siriano è uscito più indebolito da questa vicenda – ammesso che sia finita – e che avrà conseguenze significative su diverse dinamiche in corso.
Damasco ha cercato di approfittare degli scontri tra drusi e beduini a Sweida, scatenati dal rapimento e dalla tortura di un mercante druso presso un posto di blocco improvvisato presidiato da fazioni beduine. Il regime mirava a riaffermare la propria autorità in una regione che rimane ostile a più di sette mesi dalla caduta del regime di Assad.
Ma l’intervento delle forze governative si è rivelato un fiasco: da domenica sono state uccise più di 300 persone, tra cui 165 soldati governativi, innescando il coinvolgimento israeliano, infiammando ulteriormente la tensione tra il regime e le sue minoranze e forse sigillando la rottura tra Sharaa e la comunità drusa.
Il cessate il fuoco annunciato mercoledì pomeriggio, poche ore dopo gli attacchi israeliani sulla capitale, potrebbe contribuire a calmare la situazione sul campo. Ma questo nuovo sanguinoso episodio lascerà profonde cicatrici.
Nella stessa area di Sweida, le voci antigovernative più accese, incarnate dallo sceicco Hikmat al-Hijri e dal consiglio militare, rischiano di guadagnare ulteriore terreno. Le numerose immagini e testimonianze oculari di abusi commessi dalle forze governative non faranno che rafforzare la sensazione che il regime islamista consideri le minoranze come cittadini di seconda classe da reprimere con la forza.
Dopo i massacri che hanno devastato la costa a marzo, i combattimenti che hanno già insanguinato la regione di Sweida ad aprile e la risposta titubante delle autorità dopo l’attacco alla chiesa greco-ortodossa di Sant’Elia a Damasco a giugno, sta diventando sempre più difficile convincere le minoranze che il nuovo regime non è fondamentalmente ostile nei loro confronti.
Sarebbe disonesto ridurre la posta in gioco dei recenti scontri alla sola dimensione comunitaria. Le forze di Hijri hanno costantemente minato i precedenti accordi tra il governo e Sweida e continuano a rifiutarsi di riconoscere l’autorità dello stato su una regione che gode da anni di una forma di autonomia.
Oltre all’attuale tensione, questa violenza è anche il risultato di decenni di manipolazione settaria da parte del regime di Assad, che ha alimentato un chiaro desiderio di vendetta nella maggioranza sunnita nei confronti delle minoranze che, a suo avviso, hanno tratto beneficio da quel sistema e ora continuano a opporsi al nuovo governo.
Ma il modo in cui Sharaa ha gestito queste tensioni per mesi – nonostante le dichiarazioni che chiedevano piena trasparenza sui crimini commessi – ha fatto ben poco per rassicurare entrambe le parti. Affermare l’errore non è più sufficiente.
Tanto più che il comportamento di un esercito nazionale non dovrebbe mai essere paragonato a quello di fazioni settarie. O il presidente ha perso il controllo delle sue forze, o non è del tutto insoddisfatto delle loro azioni, ritenendole l’unico modo per affermare la propria autorità.
La tentazione israeliana
In questo episodio, Sharaa ha perso parte della sua legittimità. Per i non islamisti, il regime appare più che mai guidato da una frangia intransigente che non rappresenta più i valori della rivoluzione che afferma di sostenere. Per le minoranze, ora mostra il volto di un sunnismo vendicativo e fondamentalista, con cui la convivenza sembra impossibile. È probabile che i curdi siano ancora più determinati a non deporre le armi, nonostante l’accordo raggiunto con il governo. Quanto ai drusi, potrebbero essere sempre più tentati di chiedere protezione a Israele.
È l’altro attore principale di questa sequenza. Quello che ha dichiarato di voler firmare un accordo di pace con la Siria, e poi ha bombardato il suo Ministero della Difesa mercoledì. Immagini che, ancora una volta, avranno risonanza ben oltre i confini siriani.
Israele non si è mai fidato di questo regime, nonostante i ripetuti sforzi di quest’ultimo per dimostrare che non rappresentasse una minaccia. Agisce non solo sotto la pressione della propria popolazione drusa per proteggere la minoranza oltre confine, ma anche con altri calcoli in mente: fare il possibile per rendere impotente il governo di Sharaa e usare questa debolezza come leva nei negoziati tra i due Paesi.
In altre parole, più la Siria diventa debole, più Sharaa avrà bisogno di un accordo e meno potrà pretendere in cambio.
Il piano israeliano, tuttavia, è minato dalla volontà degli Stati Uniti – spinta in particolare dalle pressioni dell’Arabia Saudita e, in misura minore, della Turchia – di lavorare per stabilizzare la Siria. Washington sembra aver svolto un ruolo chiave nell’attuale de-escalation, come affermato dal Segretario di Stato americano Marco Rubio, ma avrà difficoltà a “gestire” il suo alleato israeliano se il regime continuerà a offrirle aperture per intervenire.
Il presidente siriano sembra intrappolato. Come può stabilizzare il Paese senza raggiungere un accordo con Israele? E come può raggiungere questo accordo senza alienarsi le fazioni più radicali, gli stessi gruppi che commettono abusi in suo nome, e senza mettere a repentaglio la propria vita?
E che dire del Libano?
Il Libano ha tutte le ragioni di essere preoccupato, data la sua vulnerabilità agli sviluppi oltre confine. Se i drusi si avvicinassero a Israele, come ha apertamente sostenuto l’attivista Wiam Wahab, Walid Joumblatt potrebbe trovarsi in una posizione estremamente delicata; da mesi cerca a tutti i costi di evitare un simile scenario.
Un indebolimento del governo siriano avrebbe ripercussioni anche sulla scena libanese, non solo sulla posizione dei sunniti in patria, rinfrancati dal cambio di regime in Siria, ma anche sulla possibilità che l’asse iraniano e Hezbollah riprendano forza, anche se ciò sembra improbabile data l’entità del “monitoraggio” israeliano.
Infine, il fatto che Israele stia svolgendo un ruolo sempre più attivo in Siria, attraverso azioni militari o tramite un futuro accordo, avrà conseguenze significative anche per il Libano.