Pagine Esteri – Dopo un anno di feroci combattimenti le truppe russe sono nuovamente riuscite a entrare a Pokrovsk, dopo aver praticamente quasi circondato la città del Donbass (che prima della guerra aveva 60 mila abitanti) rendendo difficilissimo l’arrivo di rinforzi e rifornimenti ucraini.
Non è ancora chiaro se le forze ucraine siano in procinto di perdere definitivamente la città, strategica per il controllo di ampie porzioni dell’oblast di Donetsk. Anche se negli ultimi giorni è ripreso l’invio di armi statunitensi (pagate per lo più da alcuni paesi europei) i russi continuano a farsi strada anche più a nord, negli oblast di Sumy e Kharkiv.
Intanto ieri a Istanbul si è tenuto il terzo round dei finora infruttuosi negoziati diretti tra Kiev e Mosca. Al centro dei colloqui la ricerca di un accordo per la preparazione di un eventuale incontro tra i leader dei due paesi. In occasione del primo incontro, il 16 maggio, era stata raggiunta un’intesa per un massiccio scambio di prigionieri, mentre nel secondo – il 2 giugno – le due parti avevano concordato il ritorno a casa dei feriti gravi e dei prigionieri con meno di 25 anni, oltre che dei caduti.
I russi hanno di nuovo fatto sapere ieri di non aspettarsi “svolte miracolose” neanche questa volta. Per concedere la fine delle ostilità, Mosca pretende infatti da Kiev il ritiro completo dalle quattro regioni parzialmente annesse dalla Federazione Russa (Donetsk, Lugansk, Zaporizhia e Kherson), il riconoscimento ucraino e internazionale dell’annessione della Crimea e l’impegno a rinunciare all’ingresso nell’Alleanza Atlantica. All’opposto, l’Ucraina chiede un cessate il fuoco incondizionato e il ritiro delle truppe russe da tutti i territori invasi.
Nel frattempo il presidente Volodymyr Zelensky deve fare i conti in patria con le più massicce proteste antigovernative degli ultimi anni.
Nonostante la legge marziale e il coprifuoco, che limitano fortemente la libertà di riunione e manifestazione, migliaia di persone sono scese in strada a Kiev, Leopoli, Dnipro e Odessa contro un disegno di legge approvato dal parlamento che elimina l’autonomia di cui godevano finora due diverse agenzie, l’”Ufficio nazionale anticorruzione” (Nabu) e l’“Ufficio del procuratore specializzato anticorruzione” (Sapo). Questi due enti passano ora sotto il controllo della Procura Generale, i cui vertici sono di nomina politica.
La norma che di fatto permette al governo di sfuggire ai controlli anticorruzione è stata approvata martedì dalla Rada con procedura d’urgenza. Il provvedimento è stato sostenuto da 263 deputati, e solo 26 sono stati i contrari e gli astenuti.
A sostenere il provvedimento è stato innanzi tutto il partito di Zelensky, “Servitore del popolo”, con i suoi 185 voti; ma anche gli ex filorussi della “Piattaforma per la Vita e la Pace” e una parte dei liberali di “Madrepatria” di Yulja Tymoshenko e dei nazionalisti di “Solidarietà Europea” guidati da Petro Poroshenko hanno detto “si”. Le prime proteste organizzate nel paese hanno chiesto al presidente di non firmare il provvedimento ma Zelensky lo ha subito avallato.
I manifestanti accusano il parlamento e il presidente di minare le basi della democrazia e criticano l’eccessivo accentramento dei poteri nelle mani del presidente e del suo entourage, che da parte loro giustificano le ultime misure come indispensabili per rafforzare la capacità di controllo dell’esecutivo nella situazione di conflitto.
La “riforma” approvata martedì – che secondo i detrattori riporta l’Ucraina indietro di 30 anni – conferisce al procuratore generale il potere di «impartire direttive nelle indagini della Nabu o addirittura riassegnarle al di fuori dell’agenzia […] di delegare i poteri della Sapo ad altri procuratori […] e addirittura di chiudere le indagini su richiesta degli avvocati difensori» spiega il Kyiv Independent, il principale media di lingua inglese del paese che da tempo ha puntato il dito contro le ambizioni da autocrate dell’ex attore alla guida dell’Ucraina dal maggio del 2019. Il quotidiano fa notare che ora al presidente basterà chiamare il procuratore generale per bloccare un’indagine non gradita.
Non tranquillizza gli oppositori di Zelensky il fatto che, in un paese dove decine di partiti politici sono stati messi fuorilegge e vige uno stretto controllo governativo sulla stampa, solo un mese fa il presidente abbia nominato a capo della Procura Generale un suo fedelissimo, Ruslan Kravchenko.
Alla vigilia del voto, il 21 luglio, decine di agenti dell’SBU e di altri corpi di sicurezza hanno fatto irruzione negli uffici della Nabu e del Sapo in diverse città – senza mandato e mentre i loro massimi dirigenti si trovavano all’estero – per perquisirli, azione interpretata come una evidente intimidazione e giustificata dalla necessità di sventare presunte ingerenze russe. L’operazione si è conclusa con 15 indagati per vari reati, dalla collaborazione col nemico al traffico di droga a infrazioni banali.
Il direttore del Nabu, Semen Kryvonos, ha denunciato che le perquisizioni sono avvenute con una tale violenza che tre dei suoi dipendenti sono rimasti feriti. L’irruzione negli uffici degli organismi anticorruzione avrebbe consentito agli esponenti dei corpi di sicurezza dipendenti dal presidente di avere accesso alle informazioni relative alle inchieste realizzate dalle due agenzie nei confronti di funzionari e esponenti governativi.
I due enti hanno ad esempio reso nota un’indagine che incriminerebbe un alto dirigente dell’SBU ed altre due persone per avere estorto tangenti, per centinaia di migliaia di dollari, a vari uomini in età di leva in cambio del permesso a espatriare. Alcune settimane fa era stato il vice primo ministro Oleksiy Chernyshov ad essere incriminato per corruzione, ma il presidente si è rifiutato di rimuoverlo dal suo incarico.
Come se non bastasse l’11 luglio vari agenti armati hanno fatto irruzione nell’abitazione di Vitaly Shabunin, controverso attivista e leader dell’Anti Corruption Center (Antac), la più importante organizzazione no-profit del paese nel campo della lotta alla corruzione, che ha esplicitamente accusato Zelensky di muovere «i primi passi (…) verso un autoritarismo corrotto».
Shabunin e l’Antac sono finiti nel mirino del presidente da quando hanno indagato su vari funzionari ed esponenti del governo per appropriazione indebita di fondi destinati all’acquisto delle armi occidentali o per un compravendita immobiliare illecita.
Nelle scorse settimane, infine, il governo ha respinto la nomina, indicata da una commissione indipendente, del nuovo capo dell’Ufficio per la Sicurezza Economica, un’agenzia incaricata anche di indagare sui funzionari della pubblica amministrazione.
Di fronte alle nuove proteste (che ieri si sono tenute in ben 20 città), al ricorso alla Corte Costituzionale di alcuni deputati e alle critiche ricevute da Ursula Von der Leyen ieri sera Zelensky ha riunito i vertici delle due agenzie anti-corruzione, il procuratore generale, il ministro dell’Interno, i servizi segreti e i vertici della polizia e ha promesso che entro due settimane la legge appena varata verrà “migliorata”. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria