È l’alba quando migliaia di coloni israeliani, scortati dalla polizia, fanno irruzione nella Spianata delle Moschee, il terzo luogo santo dell’Islam. Tra loro, in prima fila, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir. Indossa una kippah bianca, cammina a passo sicuro verso moschea di Al-Aqsa. L’obiettivo è chiaro e dichiarato: commemorare il Tisha B’Av, il giorno che ricorda la distruzione del Tempio biblico, ma con un’agenda politica che va ben oltre il rituale religioso. È un assalto al cuore simbolico della presenza musulmana a Gerusalemme Est, un gesto calcolato per sovvertire lo status quo e riaffermare la pretesa israeliana di sovranità totale sulla città occupata.
La scena che si è svolta domenica mattina ha il sapore della sfida. Non solo verso i palestinesi e il mondo arabo-musulmano, ma anche verso l’intera comunità internazionale. Secondo gli accordi in vigore da decenni, frutto di un delicato equilibrio diplomatico, la Spianata è amministrata dalla fondazione religiosa giordana (Waqf), e solo ai musulmani è concesso pregare al suo interno. Gli ebrei possono visitare, ma non compiere riti religiosi. Una regola che vacilla sotto l’azione continua e sistematica dei coloni e dei loro sponsor politici.
I numeri parlano chiaro. Il Dipartimento delle dotazioni islamiche ha denunciato l’ingresso di 3.023 coloni nella sola giornata di oggi, attraverso la Porta Mughrabi, che collega direttamente il Muro Occidentale con la Spianata. Tra canti, prostrazioni, “benedizioni sacerdotali” e preghiere talmudiche, l’intera area sacra è stata trasformata in un palcoscenico per le rivendicazioni messianiche del movimento del “Monte del Tempio”. Gli estremisti hanno invaso tanto i cortili orientali quanto quelli occidentali della moschea, mentre la polizia israeliana imponeva restrizioni all’ingresso dei fedeli palestinesi, chiudeva accessi, presidiava la Città Vecchia con decine di agenti e blindati.
È la seconda volta nel 2025 che l’estrema destra religiosa batte ogni record di presenze a Al-Aqsa. Dopo le massicce irruzioni durante Pesach, Purim e Shavuot, il mese di aprile aveva già visto un picco senza precedenti. Ora, con la ricorrenza del Tisha B’Av, le “Organizzazioni del Tempio” puntano a una nuova svolta. Non si tratta solo di un raduno religioso, ma di un progetto dichiarato di “vittoria completa” sul Monte del Tempio – così i religiosi ebrei considerano la Spianata in nome di un futuro “terzo Tempio” da costruire al posto delle moschee di Al Aqsa e della Roccia.
Un volantino diffuso nei giorni scorsi mostrava un disegno del presunto Tempio eretto dove oggi sorge Al-Aqsa, circondato da soldati e accompagnato dalla scritta: “La vittoria completa non è ancora stata ottenuta”.
Itamar Ben-Gvir non si è limitato a partecipare. Ne è stato regista e protagonista. Prima dell’alba aveva già guidato una marcia provocatoria di coloni attraverso la Città Vecchia, fino alle porte del complesso sacro. Poi, durante l’incursione di oggi, ha dichiarato: «Non ci accontentiamo del lutto. Pensiamo alla costruzione del Tempio, alla sovranità, all’imposizione del potere. Lo abbiamo fatto in molti luoghi e lo faremo anche a Gaza». Parole che rivelano il disegno ideologico che anima l’ultradestra israeliana: trasformare una commemorazione religiosa in una prova di forza politica, espandere il dominio israeliano su ogni centimetro dei territori occupati, distruggere ogni traccia della presenza palestinese e musulmana.
Nel corso dell’incursione, i video pubblicati dall’organizzazione ebraica “Amministrazione del Monte del Tempio” mostrano Ben-Gvir mentre guida un gruppo di uomini nel complesso e, in altri filmati diffusi online, mentre prega. Di certo, la violazione del “divieto di preghiera” nel sito è ormai diventata routine, coperta e protetta dalla polizia israeliana.
A fare da cornice all’irruzione di domenica, le gravi restrizioni imposte ai fedeli palestinesi. Le forze israeliane hanno impedito a molti di loro di accedere alla moschea, bloccando gli ingressi principali, pattugliando la Città Vecchia e imponendo un clima di militarizzazione.
Nel mondo musulmano, questo ennesimo affronto rischia di accendere una nuova ondata di tensioni. Le incursioni a Al-Aqsa sono state in passato la miccia per gravi escalation. Le insinuazioni, o peggio le azioni concrete, volte a modificare le regole del complesso hanno già provocato rivolte popolari, scontri a fuoco e campagne di protesta internazionali. Ma a Gerusalemme Est, chi governa oggi sembra considerare la crisi permanente una risorsa politica.