La Russia torna a contare in Siria, rilanciando il suo ruolo di attrice protagonista in Medio Oriente, peraltro con il sostegno della Turchia.
Mosca per decenni ha sostenuto e aiutato, anche militarmente, la Siria governata e dominata dalla famiglia Assad. Perciò la caduta del presidente Bashar Assad lo scorso dicembre e l’ascesa al potere di forze jihadiste contro cui la Russia aveva combattuto per anni assieme all’esercito regolare siriano, ha fatto immaginare l’uscita di scena del Cremlino e lo smantellamento delle basi militari russe in Siria. Invece la diplomazia russa ha saputo allacciare il dialogo che i nuovi padroni di Damasco, pur di non perdere una roccaforte decisiva in Medio Oriente, facendo offerte, soprattutto di carattere economico, molto allettanti per il regime di Al Sharaa.
Il ritorno a pieno titolo di Mosca nel paese arabo ha suscitato immediate reazioni da parte di Israele, deciso a portare avanti le sue ambizioni e a frenare quelle di Ankara che intravede dietro l’attivismo diplomatico russo.
A Damasco, il presidente autoproclamato Ahmad al-Sharaa ha accolto ieri una delegazione russa di altissimo livello, guidata dal vicepremier Alexander Novak e composta anche dai ministri dell’Edilizia, della Difesa e degli Esteri. L’incontro con il ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shaibani ha segnato, nelle parole dei protagonisti, l’inizio di una “nuova fase storica” delle relazioni tra i due Paesi. La visita ha avuto un obiettivo chiaro: rafforzare la cooperazione in settori strategici come energia, ricostruzione, agricoltura e sanità, con l’idea di rilanciare l’economia siriana in grave crisi.
Al-Shaibani ha sottolineato la necessità di una “cooperazione equa e trasparente con partner sinceri”, una dichiarazione che alcuni hanno letto come un riferimento alla contrapposizione con l’asse israelo-statunitense, sebbene le nuove autorità di Damasco siano impegnate in colloqui “di pace” con Tel Aviv mediati dagli americani. Lo stesso Al-Shaibani ha incontrato nei giorni scorsi il ministro israeliano per gli affari strategici Ron Dermer.

Ahmed al Sharaa
Alexander Novak ieri ha sottolineato che il prossimo 15 ottobre sarà a Mosca lo stesso al-Sharaa, in occasione del vertice arabo-russo, tappa simbolica del nuovo corso bilaterale.
Gli analisti spiegano che Mosca, che negli ultimi mesi ha consolidato le sue basi militari di Hmeimim e Tartus, si propone come forza di equilibrio in Siria e come garante per Ankara, desiderosa di rafforzare l’asse con la Russia per contenere l’egemonia israeliana e americana nella regione. Il presidente turco Erdogan, spingendo Damasco a rinsaldare i legami con il Cremlino, scommette sulla capacità di Mosca di stabilizzare un fronte segnato da tensioni gravi e crescenti a causa dell’aggressività militare israeliana.
Israele non ha atteso a lungo per replicare a questi movimenti di Russia e Ankara. Una serie di raid aerei ha colpito negli ultimi giorni un battaglione della (quasi inesistente) aeronautica siriana a Homs e un sito militare a Sqoubin, nei pressi di Latakia. Gli attacchi hanno voluto inviare un messaggio inequivocabile: Tel Aviv non permetterà che Ankara allarghi la sua influenza sul teatro siriano. Il sito militare di Homs, in particolare, è tra gli obiettivi su cui la Turchia tenta di inserirsi nel quadro di “operazioni congiunte antiterrorismo” con l’esercito siriano. Il governo Netanyahu inoltre sta provando ad imporre una zona demilitarizzata nel sud della Siria e agisce per consolidare un’autorità indipendente nella provincia di Suwaida, area a maggioranza drusa che si sta trasformando in uno dei nodi più sensibili della crisi siriana.
Anche se gli ultimi raid israeliani non hanno provocato danni significativi, la loro valenza politica resta alta. Il ministero degli Esteri siriano ha condannato gli attacchi come una “flagrante violazione del diritto internazionale e della sovranità nazionale”, invocando un’azione immediata del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Il ritorno di Mosca sulla scena, la scommessa di Ankara e le contromosse di Israele confermano che la Siria, a quasi quindici anni dallo scoppio della guerra civile, resta uno dei terreni di confronto principali tra potenze regionali e globali.