Pagine Esteri – A inizio settimana il Nepal ha vissuto due giorni di furore popolare, costati la vita a 51 persone, per lo più manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza che hanno sparato contro la folla mentre alcuni gruppi assaltavano e incendiavano sedi istituzionali e politiche (Parlamento compreso), hotel di lusso, residenze di ministri ed ex ministri, sedi di grandi imprese e vari media. Tra le vittime anche tre agenti di polizia e nove detenuti uccisi durante vari tentativi di evasione dalle prigioni.
La protesta è scattata lunedì, con una grande manifestazione – “pacifica e apartitica” – convocata a Kathmandu da una ong contro la corruzione e il nepotismo imperanti nella giovane e instabile repubblica asiatica. Al corteo hanno partecipato migliaia di studenti delle superiori e delle facoltà che, indossando le loro divise, sono scesi in piazza contro il blocco dei social media, considerato da molti un atto di censura. Nei giorni precedenti il governo, formato dal Partito comunista marxista-leninista unificato (Cpn-Uml) e dal Partito del Congresso – entrambe formazioni di centrosinistra – aveva oscurato Facebook, Instagram, Whatsapp e altre piattaforme in nome dell’obbligo a registrarsi nel paese e della necessità di contrastare fake news e truffe online.
La situazione è presto degenerata, trasformando la capitale in un campo di battaglia. Neanche il ritiro del blocco dei social, le dimissioni del ministro degli Interni e poi del premier KP Sharma Oli sono servite a riportare la calma. Lo scenario sembrava simile a quello già visto in Sri Lanka (2022) e poi in Bangladesh (2024) con il rovesciamento dei rispettivi governi da parte di moti popolari.
Martedì sera però è intervenuto l’esercito, che ha dispiegato i propri mezzi in vari quartieri di Kathmandu ed ha imposto il coprifuoco fino a oggi. Le strade sono rimaste perlopiù deserte, a parte qualche scaramuccia e una manifestazione dei parenti dei manifestanti uccisi.
I vertici delle forze armate dicono di voler solo “riportare l’ordine” e di non voler imporre un regime militare, ma non è chiaro se i partiti che hanno governato il paese dal 2008, quando venne spazzata via la monarchia, saranno in grado di riprendere in mano la situazione.
Un gruppo di esponenti del movimento di protesta ha incontrato i vertici militari ed ha proposto l’ex presidente della Corte Suprema, Sushila Karki (nota per la sua inflessibilità contro la corruzione) come capo di un governo ad interim che traghetti il paese verso nuove elezioni. Ma lo scenario è confuso. Una consultazione online organizzata per sondare le preferenze di alcune migliaia di giovani avrebbe premiato Balendra Shah, ex rapper e sindaco indipendente di Kathmandu che per età – 35 anni – e discorso politico sembra incarnare meglio i vaghi obiettivi della Generazione Z nepalese. A quanto pare però Shah avrebbe declinato l’invito a guidare un governo di transizione.
È difficile dire se l’intervento dei militari e l’indicazione da parte dello stato maggiore del movimento – che ha definito “infiltrati” i responsabili degli assalti incendiari dei giorni scorsi – di un capo del governo provvisorio sensibile alle richieste della “Gen Z” sia sufficiente a far rientrare definitivamente la protesta.
I partiti che hanno governato negli ultimi venti anni – il Nepali Congress e il Cpn-Uml, oltre ai maoisti moderati e ad altre formazioni minori – sembrano squalificati. Se è vero che dopo l’abolizione della monarchia l’ex guerriglia maoista e i vari partiti repubblicani hanno cancellato alcune assurde reminiscenze feudali perpetuate dalla casta nobiliare, le riforme politiche ed economiche più importanti non sono andate a buon fine, generando una diffusa disillusione in un paese dove la metà dei trenta milioni di abitanti ha meno di 25 anni.
Le grandi diseguaglianze sociali non si sono ridotte, aggravate dal devastante terremoto del 2015 e poi dallo stop forzato del turismo a causa del Covid nel 2020-21.
La disoccupazione è alta, toccando quota 21% tra i giovani e spingendo molti di loro a cercare un lavoro e una vita dignitosa all’estero, dove negli ultimi anni sono finiti il 7% degli abitanti. Le rimesse degli emigrati rappresentano ormai un terzo del valore del Pil del paese.
Anche se sono state abolite le caste e formalmente le donne hanno ricevuto pari diritti, i redditi – quello medio annuo ammonta a 1400 dollari – rimangono bassi.
Inoltre nei mesi scorsi il governo, formalmente schierato su posizioni di sinistra pur moderata, ha varato una serie di provvedimenti economici di stampo liberista con una procedura d’urgenza, tesi a fomentare le privatizzazioni, ad attirare investimenti stranieri eliminando controlli e condizionamenti e ad aumentare lo sfruttamento del suolo e delle foreste.
Questo mentre i casi di corruzione non si contano, il potere e la ricchezza si concentrano nelle mani di una ristretta oligarchia e i figli dei membri della nuova casta politica ed economica – ribattezzati “nepo kids” da una campagna di denuncia condotta proprio sui social dai promotori delle proteste dei giorni scorsi – non perdono occasione per ostentare lusso e privilegi.
A due decenni dalla rivoluzione democratica la tanto promessa prosperità non si vede. È quindi comprensibile che l’indignazione e la rabbia sociale accumulati siano sfociati nelle proteste di inizio settimana.

Gyanendra accolto dai suoi seguaci
Questo scontento però rischia di essere egemonizzato da spinte conservatrici se non reazionarie, in un paese dove sembra crescere la nostalgia per il ritorno al potere della dinastia reale cacciata nel 2008, quando la rivoluzione democratica pose fine al potere assoluto del re Gyanendra. Il segnale più forte si è visto il 9 marzo scorso, quando diecimila persone hanno sfilato nella capitale per acclamare l’arrivo in città dell’ex sovrano.
Alle nostalgie monarchiche si somma un diffuso scontento per la decisione di fare della repubblica uno stato laico, eliminando l’induismo come “religione di stato”, e l’opposizione degli ambienti nazionalisti alla trasformazione del paese in uno stato federale e al riconoscimento dei diritti e delle tutele delle minoranze etniche e religiose.
Sul paese, inoltre, pesano le interferenze di Cina e India. I due colossi, che apparentemente nelle ultime settimane sembrano avvicinarsi, sono comunque impegnati in una contesa diretta ad aumentare il controllo su vari paesi del quadrante, Nepal compreso.
Gli ultimi governi di coalizione hanno deciso di dare la priorità alle relazioni economiche e commerciali con la Cina, che dal canto suo ha notevolmente aumentato gli investimenti. Proprio alla vigilia dell’esplosione della protesta, il primo ministro ha compiuto un viaggio in Cina, incontrando Xi Jinping, per partecipare al vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.
Ciò ha causato un notevole scontento in certi ambienti. La firma a gennaio di un accordo con Pechino per rilanciare il ruolo di Kathmandu nella Belt and Road Initiative (alla quale il paese ha aderito senza molto slancio nel 2017) ha già scatenato il 28 marzo una violenta protesta con cortei e scontri nella capitale (che causarono due morti), con i manifestanti che inneggiavano al ritorno al potere di Gyanendra e scandivano slogan anticinesi.
Sul fronte opposto, altri ambienti denunciano le ingerenze indiane, compreso il giovane e rampante sindaco di Kathmandu. Il premier dimissionario KP Sharma Oli, poi, ha lanciato mercoledì un duro attacco contro l’India, sostenendo di esser stato estromesso dal potere per aver osato sfidare New Delhi. In una lettera inviata al segretario del Cpn-Uml da una caserma dell’esercito nella quale si era rifugiato, Oli cita la sua rivendicazione di sovranità su Lipulekh, un territorio conteso con l’India. Nella missiva l’ex premier ha rivolto anche un appello ai giovani manifestanti a non farsi strumentalizzare da “forze occulte”. «Si sta tentando di usare i vostri volti innocenti per una politica fuorviante», scrive Oli.
Se Pechino teme che l’instabilità alleanti i suoi legami con il paese, mettendo ad esempio a rischio la realizzazione della linea ferroviaria che dovrebbe collegare il paese con il confine tibetano, all’opposto l’India spera che le turbolenze a Kathmandu riportino il Nepal nella sua orbita. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, si occupa di geopolitica e movimenti sociali. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria.