Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto
Frequentatore delle carceri palestinesi, accusato di essere coinvolto nell’assassinio in Malesia nel 2018 di Fadi al-Batsh, un dirigente di Hamas, e allontanato dai servizi segreti dell’Autorità Nazionale di Abu Mazen (Anp), Husam al Astal è il nuovo nome che si aggiunge alla lista di collaborazionisti palestinesi di Israele che affermano di essere a capo di milizie con centinaia di uomini, pronti a prendere il posto di Hamas nel cosiddetto «day after», quando terminerà l’offensiva contro Gaza.
Originario di Khan Yunis, cinquantenne, di famiglia beduina ed ex manovale in Israele, al Astal sostiene di aver dato vita a un gruppo armato: «The Strike Force for the Fight Against Terrorism». Intervistato da vari giornali israeliani, ha detto di aver raccolto centinaia di civili nel villaggio di Kizan al-Najjar, abbandonato dagli abitanti e trasformato in una sorta di «zona umanitaria» sotto la sua responsabilità.
«Abbiamo cibo, acqua e riparo per tutti» ha detto. «Hamas è molto debole oggi» ha proseguito «stiamo cercando di convincere la gente attraverso i media che Hamas è finito e che non ci sarà un Hamas 2». In risposta le Brigate Qassam, l’ala militare del movimento islamico, lo hanno dichiarato una «spia al servizio di Israele» e avvertito che sarà punito severamente. Al Astal ha rivendicato con orgoglio di avere contatti con Israele e di aver ricevuto finanziamenti da Stati uniti, Europa e paesi arabi non specificati. Ha aggiunto che presto farà affidamento sull’esercito israeliano per forniture di elettricità e acqua alla sua «zona umanitaria». Inoltre, ha confermato di coordinarsi con Yasser Abu Shabab, un esperto saccheggiatore di aiuti umanitari di cui si è parlato parecchio nei mesi scorsi perché ha costituito a Rafah, con l’appoggio dell’esercito e dell’intelligence israeliani, una milizia ben armata ed equipaggiata, schierata contro Hamas.
La rete che ruota attorno a queste milizie è fitta e oscura: Israele non esita a pescare nelle bande criminali e nelle organizzazioni sedicenti salafite che negli ultimi due decenni sono emerse nelle zone sud di Gaza. Il vice di Abu Shabab, ad esempio, Ghassan al Dahini, ha fatto parte dell’Esercito dell’Islam, il gruppo «jihadista» che rapì il giornalista britannico Alan Johnston nel 2007 e che in seguito ha giurato fedeltà allo Stato islamico.

Hussam Al Astal
Dahini, hanno detto fonti di Gaza al manifesto, si occupa del reclutamento. In un video è apparso in uniforme militare nei pressi di postazioni israeliane a Rafah, armato di mitra e accanto a un pick-up con targa emiratina. Al suo fianco c’erano Shadi Soufi, condannato anni fa per omicidio, e Issam Nabahin, ex militante dell’Isis fuggito dal carcere di Gaza durante i bombardamenti aerei dopo il 7 ottobre 2023. «Questi uomini» hanno riferito le fonti «per la maggior parte appartengono al clan beduino dei Tarabin, con ramificazioni tra Rafah, il Sinai e il Negev. Un’area che da sempre garantisce traffici, contrabbando e armi ai criminali. A loro pensano di unirsi altri clan: Shawish, Baraha, Abu Tir».
Il parallelo con le milizie mercenarie libanesi create e sponsorizzate in passato da Israele è inevitabile. L’esercito, spiegano gli stessi media israeliani, avrebbe deciso di usare questi gruppi come strumenti utili al proprio progetto per Gaza. «Per spopolare Gaza, per spingere migliaia di persone verso il confine egiziano e prendere il controllo dell’enclave per conto di Israele» prevede l’analista di Gaza, Muhammad Shehada. «Questa strategia israeliana – aggiunge – potrebbe trasformare la Striscia in un mosaico di zone controllate da “signori della guerra”». Altri analisti palestinesi sostengono che le milizie filo-Israele puntano a infiltrarsi nella società, compiere missioni sporche e alimentare conflitti, caos e sfiducia.
Questi gruppi ottengono ciò che vogliono in cambio di compiti di controllo del territorio e della gestione degli aiuti umanitari. Più parti accusano Israele di indirizzare i convogli umanitari in aree dove i miliziani ai suoi ordini possono immagazzinare i generi di prima necessità per poi rivenderli o distribuirli secondo logiche di potere. Testimonianze raccolte dal quotidiano Haaretz rivelano che lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano, sarebbe direttamente coinvolto nel reclutamento dei collaborazionisti, ora sul suo libro paga. Si parla di stipendi mensili che raggiungono i 3.000 shekel (circa 700 euro) per un miliziano e i 5.000 per un ufficiale. Non sono cifre elevate, ma nel contesto di fame e sofferenza creato a Gaza dall’offensiva israeliana riescono a reclutare decine di disperati.
A proporre la soluzione del «governo delle milizie» sarebbe stato per primo l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant nel febbraio 2024. A riformulare l’idea è poi stato il capo dello Shin Bet, Ronen Bar. Tuttavia, le milizie, stando ad Haaretz, sono percepite come un pericolo persino da alcuni alti ufficiali dell’esercito. «Mi ricordano Sabra e Shatila» avrebbe commentato uno di loro.