Altri feriti – giornalisti e giovani manifestanti – si sono aggiunti in questi giorni a Lima, a seguito dei violenti scontri con la polizia, che ha duramente contrastato la manifestazione del movimento “Generazione Z”. A scendere in piazza sono stati i ragazzi cresciuti nell’era digitale che si organizzano attraverso piattaforme virtuali, innalzando simboli culturali come la bandiera di One Piece. La bandiera di One Piece, o Jolly Roger, è l’emblema del protagonista dell’omonima serie manga e anime giapponese, creata da Eiichiro Oda. Nella serie, è il simbolo della ciurma di pirati guidata da Monkey D. Luffy. Indica libertà, avventura e ribellione contro il potere costituito dal governo mondiale, che i pirati li considera criminali.
L’elemento scatenante è stato, però, quanto mai concreto: la Legge n.º 32123, approvata dal Congresso, che obbliga i giovani sopra i 18 anni ad affiliarsi a un’AFP o all’ONP. Le sigle AFP e ONP indicano i due sistemi principali di gestione delle pensioni e della sicurezza sociale. Le AFP sono le Amministratrici di Fondi Pensione, e rappresentano il sistema previdenziale a capitalizzazione individuale.
Si tratta di società private che gestiscono i fondi dei lavoratori per metterli a profitto, investendoli sui mercati finanziari (azioni, obbligazioni, ecc.) al fine di generare “rendimenti per i futuri pensionati”. Il rischio, però, ricade interamente sul lavoratore. La pensione finale dipende direttamente dall’ammontare totale dei contributi versati.
Questo sistema è il pilastro del modello neoliberista, introdotto negli anni ’90: gli anni di Fujmori, che pagò il pedaggio al Fondo monetario internazionale portando a termine il suo “auto-golpe” con cui, nel 1992, sciolse il Congresso e sospese la Costituzione, per introdurre drastiche riforme economiche neoliberiste, e stroncare l’opposizione con il terrore.
In base all’idea (tutt’ora pervicace) che la previdenza debba essere gestita dal mercato per garantire maggiore efficienza e rendimenti, Fujimori affiancò allora l’AFP al sistema pubblico. Fino a quel momento, vigeva il Sistema Nazionale di Pensioni (SNP), basato sul principio della solidarietà e della ripartizione, in cui tutti i lavoratori venivano inseriti e dove i contributi dei lavoratori attivi finanziavano le pensioni.
Fu stabilito nel 1973, durante il Governo Rivoluzionario delle Forze Armate, guidato dal Generale Juan Velasco Alvarado (1968-1975). Un governo d’impronta nazionalista e riformista che riunì la miriade di casse pensionistiche e di sicurezza sociale frammentate che esistevano in Perù fino a quel momento. Nel 1992, Fujimori creò però un ente specifico, l’ONP, come gestore di quel sistema: per dare ai lavoratori peruviani l’illusione di poter scegliere tra due modelli di tutela, in realtà per smantellare il sistema pubblico e incanalare enormi capitali privati (i contributi dei lavoratori) verso il settore finanziario.
Bouluarte sta procedendo sulla stessa strada, giacché deve rispondere alle stesse forze che l’hanno messa a governare, disarcionando il maestro Castillo, inviso alle oligarchie che tengono in pugno il paese. Ora, uno dei dibattiti più accesi riguarda la possibilità per i lavoratori di ritirare parte dei loro fondi AFP, com’è accaduto durante la pandemia, per far fronte alla crisi, ma le società private si oppongono ferocemente.
Le proteste dei giovani, a cui si sono uniti altri settori della società colpiti dalle politiche neoliberiste, non sono solo di carattere economico, chiedono la rimozione di Bouluarte e la chiusura del Congresso. La popolarità dell’”usurpatrice” è ai minimi storici, il suo governo è scosso da accuse di corruzione alla stessa Bouluarte per il possesso di costosi orologi, e sgambetti fra “fratelli-coltelli” in vista delle elezioni fissate per il 12 aprile del 2026. In quella data i cittadini dovranno eleggere, oltre al presidente della Repubblica, i vicepresidenti e i deputati al Congresso e al Parlamento andino, per il periodo 2026-2031.
Di certo non potrà competere Castillo, che si è visto rifiutare definitivamente la richiesta di libertà dal carcere preventivo in cui si trova. Rischia, anzi, di vedersi rivolgere accuse ancora più pesanti, che comportano decenni di prigione. A spiccargliele potrebbe essere lo stesso Giudice Supremo Provvisorio (un magistrato che ricopre temporaneamente una posizione vacante nella Corte Suprema) che gli ha negato la libertà. L’uso di simili artifici giuridici, come quello di prolungare oltremisura un ruolo provvisorio, occupato da figure evidentemente più maneggevoli, è uno degli aspetti del lawfare dilagante in Perù: ovvero l’uso della magistratura a fini politici.
L’abuso del meccanismo istituzionale della “Vacancia presidencial”, che permette al Congresso di dichiarare la fine anticipata del mandato presidenziale anche in base a una vaga definizione di “incapacità morale”, ha infatti caratterizzato la scena politica, consegnandola a una cronica instabilità.
Dopo aver eliminato l’outsider Castillo, il Congresso, composto in maggioranza da forze di destra e centro-destra, ha però resistito a tutti i tentativi messi in atto dalle proteste sociali, che chiedevano di anticipare le elezioni. Con l’invisa ma utile Bouluarte e mantenendo l’attuale Congresso, il sistema mira a stabilizzare il modello economico prima di affrontare un nuovo ciclo elettorale potenzialmente sfavorevole.
Intanto, in un quadro politico frammentato in cui la destra cerca un candidato forte, mentre le forze che chiedono un cambiamento strutturale lavorano a unire i vari gruppi in un’unica piattaforma anti-neoliberale, i movimenti sociali e indigeni acquistano forza e voce. Sebbene non siano un partito politico, la loro mobilitazione (come quella della “Generazione Z”), mira a spostare i rapporti di forza.
Il loro sostegno sarà fondamentale per qualsiasi candidato alternativo: che incarni l’opposizione al modello estrattivista imposto dalle transnazionali e dalla élite compradora di Lima; porti avanti la necessità di una redistribuzione delle risorse; e prometta una nuova Assemblea Costituente per abolire la Costituzione di Alberto Fujimori.
La crisi non è solo istituzionale, ma riflette l’incapacità della classe dominante peruviana, in conflitto costante tra le sue diverse fazioni, di stabilire un blocco di potere egemone stabile. Per le forze popolari, si tratterà però di fare un bilancio dall’esperimento di Castillo, che pur avendo avuto una origine popolare e rurale, è fallito perché non è riuscito a costruire una vera egemonia operaia-contadina basata su una solida direzione politica, né a spezzare il controllo istituzionale ed economico della élite di Lima.
Il potere è passato così alla borghesia tecnocratica e conservatrice rappresentata dal Congresso e da Bolouarte, assai più presentabili per chi muove i fili a livello internazionale: repressivi nei fatti, ma con un discorso stracolmo di proclami democratici, basati sulla moderazione e sui diritti umani.
Lo si è visto a New York, dove Bolouarte si è recata per partecipare all’evento in occasione del trentesimo anniversario della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne, organizzato dall’ONU. Durante il suo intervento, la governante si è presentata come vittima di quelle che ha definito “informazioni false” e di una presunta “ideologia dell’odio” che, a suo dire, cercano di screditarla.
Il suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU è stato ampiamente criticato, sia in Perù che a livello internazionale, come un esercizio di cinismo e ipocrisia politica, in contrasto con la realtà politica e giudiziaria del Perù. È apparso soprattutto un altro tentativo, dopo quello della partecipazione alla cerimonia di insediamento del nuovo papa in Vaticano, di rifarsi un’immagine politica presentabile a livello internazionale.
Sul palco globale, il suo discorso è stato in gran parte centrato sul Perù, con l’obiettivo di proiettare una falsa immagine di stabilità economica e istituzionale. Rispetto al tema centrale dell’Assemblea, ovvero il genocidio in Palestina, ha mantenuto un tono estremamente vago e diplomatico, condannando genericamente la violenza e la guerra. Un approccio in netto contrasto con la forte condanna esplicita proveniente dai leader socialisti e progressisti latinoamericani come i presidenti di Colombia e Venezuela, Cuba.
Un discorso che riflette la dipendenza di Bolouarte e il suo allineamento subalterno agli interessi politici ed economici occidentali che sostengono il regime sionista. È stata bene attenta a non danneggiare i legami economici cruciali per il capitale peruviano.
Dopo che, il 29 di agosto, la presidenta del Messico, Claudia Sheinbaum – nota per le sue posizioni a favore della libertà femminile -, aveva ricevuto l’avvocato di Pedro Castillo, Guido Croxatto, dichiarando che l’ex presidente era stato ingiustamente incarcerato e che Bolouarte era una usurpatrice, il Congresso peruviano ha dichiarato Sheinbaum persona non grata.
Il Perù ha tassi di violenza di genere fra i più alti della regione. Le donne peruviane affrontano una significativa segregazione e precarietà nel mercato del lavoro. Nelle aree rurali e andine, sono la spina dorsale dell’agricoltura, ma spesso non possiedono la terra e hanno un accesso limitato al credito e alla formazione, perpetuando la povertà.
Eppure, Bolouarte, presentandosi come “prima donna Presidente del Perù”, ha voluto apparire come un modello di emancipazione femminile, tessendo le lodi delle donne e del loro ruolo nella società peruviana e globale. Davanti al Palazzo di vetro, intanto, le immigrate che manifestavano al grido di “Fuori l’usurpatrice”, la mostravano adornata dei suoi costosi orologi Rolex (oggetto dell’indagine per corruzione), e innalzavano le foto delle donne contadine e indigene da lei fatte uccidere durante le proteste.