Pagine EsteriSin dalla sua indipendenza, l’Unione Indiana ha a lungo sostenuto la lotta del popolo palestinese per la sua autodeterminazione, votando la risoluzione 3379 delle Nazioni Unite che nel 1975 designò il sionismo come un’ideologia razzista. Ma a partire dal 1992 Nuova Delhi ha normalizzato i suoi rapporti con Israele, e da allora i due paesi si sono gradualmente avvicinati.

Da alcuni anni Israele può contare sull’India come proprio alleato. Nel 2017 il nazionalista di destra indiano Narendra Modi è stato il primo premier del suo paese a visitare lo “stato ebraico”, firmando una “partnership strategica” e inaugurando una cooperazione militare che da allora è fortemente cresciuta.

Lo scorso 8 settembre, poi, l’India ha firmato con Israele uno storico accordo economico, denominato “Accordo Bilaterale di Investimento” (BIA), diretto a facilitare le transazioni commerciali tra i due paesi. Una boccata d’ossigeno per il gigante asiatico, alle prese con i pesanti dazi imposti alle merci indiane da Donald Trump.

Durante la relativa cerimonia a Nuova Delhi, il Ministro delle Finanze di Israele Bezalel Smotrich ha affermato che il patto «aprirà nuove porte agli investitori israeliani e indiani, rafforzerà le esportazioni israeliane e fornirà alle imprese dei due paesi certezze e strumenti per sviluppare l’espansione nei mercati in più rapida crescita al mondo». «L’India è una potenza economica in crescita e la cooperazione con questo paese rappresenta una straordinaria opportunità per Israele» ha aggiunto l’esponente dell’ala più estremista del governo Netanyahu sul quale pende un mandato di arresto per crimini contro l’umanità della Corte Penale Internazionale.

L’accordo economico, secondo vari esponenti dei governi dei due contraenti, potrebbe aprire la strada alla firma nei prossimi anni di un accordo di libero scambio, da qualche anno oggetto di un negoziato tra i due governi, e quindi ad un ulteriore approfondimento delle relazioni economiche strategiche.

Nell’immediato, intanto, il BIA sostiene l’acquisizione del porto di Haifa da parte del miliardario indiano Gautam Adani (noto per le strette relazioni con il premier indiano) che nel gennaio del 2023 ha acquistato il 70% delle quote dell’infrastruttura appena privatizzata dal governo israeliano e precedentemente gestita da un’impresa cinese invisa a Washington.

L’Accordo Bilaterale consentirà a Modi di mantenere in vita l’India Middle East Corridor (IMEC), un corridoio economico e commerciale che collega il gigante asiatico ai mercati occidentali, finanziato in gran parte dagli Stati Uniti allo scopo di contrastare la Belt and Road Initiative di Pechino. Sul fronte opposto il BIA aiuterà Israele ad espandere la propria proiezione economica nell’Asia Meridionale e Orientale.

Il patto giunge proprio mentre, con grande lentezza e fatica, alcuni governi stanno frenando le relazioni con Israele a causa del genocidio in corso a Gaza. Invece l’India non ha operato alcun rallentamento dei legami economici e culturali tra i due paesi.


Al contrario, Nuova Delhi si propone come partner privilegiato dello “stato ebraico” in Asia, inviandovi una quota crescente di lavoratori per rimpiazzare i manovali e gli operai palestinesi (ai quali Israele ha revocato i permessi di lavoro), firmando un nuovo memorandum d’intesa tra le università dei due paesi e sostenendo attraverso i propri media le ragioni di Netanyahu. Da parte sua Israele accoglierà un centro culturale indiano a Tel Aviv.

Formalmente l’India continua a sostenere la cosiddetta “soluzione dei due Stati” per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese, ma si è astenuta su diverse risoluzioni delle Nazioni Unite che condannavano le violazioni dei diritti dei palestinesi da parte di Israele.

Dopo il 7 ottobre del 2023, inoltre, i due paesi hanno firmato vari accordi nel campo della tecnologia idrica, della sicurezza informatica e dell’agricoltura. Nuova Delhi è ormai tra i principali acquirenti mondiali delle armi prodotte da Israele: dal 2020 al 2024 l’India ha ricevuto il 34% delle esportazioni di armi israeliane, per un valore complessivo annuo di due miliardi di dollari.

Nel 2024 il commercio tra Tel Aviv e Nuova Delhi ha toccato quota 4 miliardi. Dall’ottobre del 2023, le imprese indiane del comparto militare hanno aumentato l’invio di droni, razzi, esplosivi e software, utilizzati da Israele contro la popolazione di Gaza. Contemporaneamente i due paesi hanno incrementato la co-produzione, in varie imprese sparse in India, di armi con brevetto israeliano, destinate agli eserciti dei due paesi e all’esportazione. Ad esempio Israele fornisce molti dei componenti essenziali utilizzati dall’India per realizzare il Tejas LCA, un caccia da combattimento “made in Delhi”.

Dietro la scelta da parte del governo Modi di sostenere Israele non ci sono solo motivazioni economiche, ma anche la “difesa dell’interesse nazionale” e una spiccata consonanza ideologica tra i due regimi.

Entrambe le correnti politiche al potere – ovvero il sionismo e l’Hindutva – considerano l’islamismo un pericoloso nemico e si appoggiano alla difesa di un nazionalismo estremo intriso di suprematismo e di fondamentalismo religioso e messianico.
Negli ultimi anni, inoltre, il governo e l’esercito indiano hanno preso a modello le strategie di repressione e controllo adoperate da Israele contro i palestinesi per rafforzare la colonizzazione del Kashmir, al quale Modi ha revocato già nel 2019 lo status di territorio autonomo.

Consonanze ideologiche e coloniali a parte, l’India sembra cercare in Israele un alleato contro il vicino – e da sempre nemico – Pakistan. È ad esempio grazie alla collaborazione tra l’Adani Group e l’israeliana Elbit Systems che l’esercito indiano ha potuto utilizzare i droni Hermes 900 – oltre ai droni suicidi Harop – contro le truppe pakistane nel breve ma sanguinoso conflitto del maggio scorso.
Più recentemente l’ex viceministro israeliano della Difesa, Meir Masri, ha parlato apertamente della necessità di ottenere la “smilitarizzazione nucleare del Pakistan”,

Alcuni media indiani hanno rilanciato queste dichiarazioni con grande enfasi, citando anche l’esistenza di un piano per la distruzione dei siti nucleari pakistani da parte delle forze armate indiane coadiuvate da quelle israeliane. Non ci sono conferme dell’esistenza di questi piani, che però sono stati nuovamente citati da Julian Spencer-Churchill su Modern Diplomacy, affermando che Israele potrebbe utilizzare delle basi indiane per distruggere le infrastrutture nucleari del Pakistan. Un indebolimento dello storico rivale potrebbe servire a Nuova Delhi anche per contrastare la penetrazione economica cinese in Pakistan, ridisegnando gli equilibri geopolitici della regione. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, si occupa di geopolitica e movimenti sociali. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria.