Un operaio italiano di grande esperienza, che vede le cose “dall’alto” perché, da scalatore professionista, fa lavori in quota, ha commentato l’attribuzione del Nobel alla golpista venezuelana, Maria Corina Machado, servendosi di un proverbio turco: “E gli alberi votarono ancora per l’ascia, perché l’ascia era furba e li aveva convinti che era una di loro, in quanto aveva il manico di legno” .

Identica saggezza si riscontra anche “dal basso”, qui in Venezuela: fermo restando che il termine “dal basso”, riferito alle classi popolari, farebbe inorridire gli storici che si dedicano al recupero della “historia insurgente”, intesa come scontro materialistico di interessi di classe, soggetta a vittorie e sconfitte, ma non al confinamento di chi produce la ricchezza nella categoria rassegnata di quelli “che stanno in basso”, giacché lottano per farsi potere popolare.

A certe latitudini dove i “dannati della terra” hanno la pretesa di governare, non è una sottigliezza ideologica: qui, una scure è una scure. Lo sanno i lavoratori argentini, che cercano di rovesciare la “motosega” calata sui diritti dal trumpista Milei. E lo sanno i lavoratori venezuelani, che ben intendono il programma politico della trumpista Machado, ammiratrice di Netanyahu, al quale ha pubblicamente chiesto di fare contro i chavisti, “lo stesso lavoro che ha fatto a Gaza”. Infatti, si sa che le bombe distinguono tra i bambini dei chavisti e quelli di opposizione, che si devono preservare…

E, infatti, il popolo identifica Machado, che da anni chiede e organizza violenze e “sanzioni”, con il personaggio della Sayona, una delle figure più famose e terrificanti del folklore venezuelano. Un’apparizione spettrale che fa parte delle leggende metropolitane e rurali del paese, rievocata a ogni apparizione di Machado sui palcoscenici internazionali per chiedere ai suoi padrini occidentali: “Più sanzioni”. Ovvero, più sofferenze da infliggere al popolo venezuelano per spingerlo a rinnegare il socialismo, a cui rinnova la fiducia da 26 anni.

Come ogni giornalista rigoroso dovrebbe riportare, il “programma di governo” presentato l’anno scorso da Machado per la cosiddetta “transizione”, è stato stilato a Washington. È di una tale chiarezza neoliberista in economia e autoritaria in politica da rendere un delirio fuori contesto le dichiarazioni entusiastiche di certe deputate della “sinistra radicale” per il premio dato “a una donna”, a prescindere dalla sua collocazione politica.

Una collocazione ben visibile dall’essere Machado fondatrice (insieme agli spagnoli di Vox, ai francesi di Le Pen, ai Fratelli d’Italia di Meloni, eccetera) di quella nuova internazionale “nera”, nata con la Carta di Madrid, e già arrivata al suo terzo congresso in Europa. E, infatti, appena ricevuto il Nobel per la Pace, ambitissimo anche da un altro “pacifista” di prim’ordine com’è Donald Trump, che si è lagnato sui social per essere stato scavalcato, Machado si è affrettata a chiedere scusa, premurandosi di dedicarglielo.

Poco dopo l’annuncio, il governo Usa ha reagito in modo critico: “Il Comitato Nobel ha dimostrato di anteporre la politica alla pace”, ha affermato Steven Cheung, direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, in una pubblicazione sui social media. Da parte sua, Trump ha confermato di aver parlato con Machado, ha definito la conversazione “molto piacevole”, e così si è espresso: “La persona che ha vinto davvero il Premio Nobel mi ha chiamato oggi e ha detto: ‘Lo sto accettando in tuo onore, perché te lo saresti meritato davvero’. È stato un gesto molto gentile. Non le ho detto: ‘Allora dallo a me’, anche se credo che lei avrebbe potuto farlo. È stato molto piacevole”, ha scherzato a denti stretti il tycoon, che solo poco tempo addietro aveva redarguito l’estrema destra venezuelana per la voracità con cui s’intasca le mancette delle varie amministrazioni Usa.

“Ho sostenuto Machado nel suo cammino” – ha aggiunto Trump – il Venezuela ha bisogno di molto aiuto, la situazione è molto complicata”, ha detto. Per ora, Trump e la sua “eminenza grigia”, Marco Rubio, portavoce dell’anti-comunismo più sguaiato di Miami, hanno deciso di complicarla ulteriormente inviando, a seguito di un decreto presidenziale che equipara a organizzazioni terroriste fantomatici cartelli del narcotraffico, navi da guerra, e persino un sottomarino nucleare, nelle acque dei Caraibi, antistanti il Venezuela: con il pretesto della “lotta al narcotraffico”.

Il presidente Nicolas Maduro

Finora, la flotta nordamericana ha dichiarato di aver “eliminato” quattro lance (21 persone) che, per gli Usa, trasportavano droga, provocando le proteste del presidente colombiano Gustavo Petro, a cui Trump non ha rinnovato il certificato di buona condotta antidroga, scaduto il 15 settembre.

Per Daniel, che coordina varie comunas di pescatori in Venezuela, e che abbiamo incontrato al Congresso Mondiale in Difesa della Madre Terra, che si è appena concluso a Caracas, gli Stati uniti usano, come a Gaza, “la fame come arma di guerra”, impedendo ai pescatori di uscire a lavorare. “Ma noi – aggiunge il comunero – siamo organizzati e non ci lasceremo intimidire. E se provano a invaderci, reagiremo come i pescatori di Chuao”.

L’episodio dei pescatori di Chuao che hanno respinto un’invasione mercenaria si è verificato all’inizio di maggio 2020, come parte di un’operazione nota come “Operazione Gedeone” (Operación Gedeón). L’evento è considerato un simbolo della difesa popolare della sovranità venezuelana. Le incursioni mercenarie via mare, che miravano a rovesciare il governo di Nicolás Maduro, ebbero luogo tra il 3 e il 4 maggio 2020 lungo la costa settentrionale del Venezuela. L’Operazione Gedeone fu un tentativo fallito di sbarco anfibio organizzato da un gruppo di circa 60 mercenari, composto principalmente da oppositori venezuelani e da due ex berretti verdi statunitensi (Luke Denman e Airan Berry), sotto contratto (firmato dall’autoproclamato “presidente a interim”, Juan Guaidó per conto dell’estrema destra venezuelana),  con la società di sicurezza privata americana Silvercorp USA.

L’obiettivo era quello di stabilire delle teste di ponte lungo la costa per avviare un colpo di stato. I primi tentativi di sbarco a Macuto (vicino a Caracas) furono rapidamente intercettati e neutralizzati dalle forze di sicurezza venezuelane. Il giorno successivo, il 4 maggio 2020, l’attenzione si spostò sulla località costiera di Chuao, nello stato di Aragua. Mentre alcuni mercenari tentavano di sbarcare in quella zona, tanto attrattiva quando remota, furono i membri della comunità locale a individuarli e reagire.

Furono, infatti, i pescatori e gli abitanti del luogo a notare i movimenti sospetti delle imbarcazioni e degli uomini armati. Invece di scappare, la comunità si mobilitò rapidamente. I pescatori, in particolare, circondarono i mercenari con le loro piccole imbarcazioni. Gli assalitori furono sopraffatti e catturati dagli stessi civili, che li disarmarono. Le immagini di quei pescatori, donne e uomini in ciabatte, e i video della popolazione che circonda e cattura i mercenari divennero virali, trasformando Chuao in un simbolo della resistenza e dell’unione civico-militare venezuelana contro l’aggressione esterna. Il richiamo alla resistenza vietnamita e all’ “esercito di tutto il popolo” di Ho Chi Minh come l’intende il socialismo bolivariano, fu evidente allora e ritorna anche ora nelle comunità organizzate.

In questi giorni di massima allerta e di mobilitazione costante delle milizie popolari, che si esercitano alla vigilanza insieme alla Forza armata nazionale bolivariana, il Ministro degli Interni, Giustizia e Pace, Diosdado Cabello si è recato proprio nello Stato Aragua per dirigere, sul piano politico e militare, le operazioni di sicurezza dei cittadini. La consegna è sempre la stessa: “Nervi di acciaio, calma e saggezza, e massima mobilitazione popolare”, diffusa dal presidente Maduro, e collaudata nel corso dei precedenti attacchi e sabotaggi organizzati da Machado e soci.

Una dettagliata inchiesta del New York Times spiega come, a differenza degli anni ’80 e ’90, quando i Caraibi erano la rotta principale dei contrabbandieri che portavano cocaina negli Stati Uniti, ora, la maggior parte di quel traffico si sposta attraverso il Pacifico. I Caraibi rimangono solo un punto di passaggio secondario. E alcuni paesi della regione affermano che, in risposta all’aumento della presenza militare statunitense in mare, i trafficanti hanno iniziato a spostare il loro prodotto per via aerea attraverso la zona.

Negli ultimi anni – aggiunge il NYT–  gli alti funzionari statunitensi hanno raramente menzionato la cocaina come una priorità. Si sono concentrati sul fentanil, la droga legata a una crisi nazionale di overdose. Il Venezuela non svolge praticamente alcun ruolo nella produzione o nel contrabbando di fentanil. Secondo la Drug Enforcement Administration, il Dipartimento di Giustizia e altre agenzie, la droga viene fabbricata quasi totalmente in Messico con sostanze chimiche importate da paesi asiatici.

Maria Corina Machado

A volte, la cocaina viene mescolata con il fentanil, ma questo avviene, secondo gli esperti, soprattutto dopo che entrambe le droghe arrivano negli Stati uniti. I cartelli messicani, inclusi alcuni designati come organizzazioni terroristiche dagli Stati uniti, controllano in gran parte il modo in cui droghe come il fentanil, la cocaina e la metanfetamina attraversano il confine. (Le sostanze entrano soprattutto via terra, a volte nascoste in auto o camion, non via mare).

L’inchiesta statunitense avanza, quindi, la spiegazione che quello del narcotraffico sia un pretesto per rovesciare il governo Maduro, e assecondare i desiderata vicari di Machado che, nel suo “programma di transizione” ha promesso a Trump di spalancargli le porte sulle immense risorse petrolifere del paese. E, comunque, conclude il NYT citando fonti della stessa amministrazione Usa, “l’afflusso di droga negli Stati uniti non si fermerà attaccando imbarcazioni venezuelane”.

Dati che il governo bolivariano diffonde, inascoltato, da anni. E che Samuel Moncada, rappresentante del Venezuela all’Onu, ha ripreso e sviluppato durante la seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. “Signor Presidente – ha esordito Moncada -, veniamo a questo Consiglio di Sicurezza per fare una delle denunce più gravi possibili, poiché si tratta di allertare su un insieme di azioni che minacciano non solo la pace e la sicurezza della nostra Nazione, ma anche di tutta la regione dell’America Latina e dei Caraibi”.

Quindi, pacato e diretto, Moncada ha spiegato in cosa consista, concretamente, l’escalation militare contro il suo paese: nella mobilitazione offensiva di oltre 10.000 effettivi militari, di aerei da combattimento, di cacciatorpediniere missilistici e incrociatori lanciamissili, di truppe d’assalto, di mezzi utilizzati in operazioni speciali e in missioni segrete, e persino di un sottomarino nucleare.

“Le azioni e la retorica bellicista del governo statunitense – ha aggiunto – indicano oggettivamente che siamo di fronte a una situazione in cui è razionale pensare che a brevissimo termine verrà eseguito un attacco armato contro il Venezuela. Per questo siamo qui, perché questo Consiglio di Sicurezza dispone dei mezzi necessari per evitare che la situazione si aggravi ulteriormente”. Quindi, Moncada è andato diretto al punto, evidenziando che, oltre a quella dalla droga – contro cui il Venezuela bolivariano sempre farà la sua parte – esiste “un’altra pericolosa dipendenza di cui nessuno parla”.

Si tratta – ha detto – “della dipendenza dal petrolio. Gli Stati uniti sono disperati per voler controllare tutte le fonti di petrolio del mondo e credono che il petrolio del Venezuela gli appartenga. La loro dipendenza disperata li porta a violare ogni norma del diritto internazionale. Lo abbiamo visto in Iraq, in Siria, in Libia, in Afghanistan, ma questo è il momento di evitare una guerra contro il Venezuela. Se il Venezuela non avesse petrolio, la minaccia militare che è in procinto di essere eseguita non esisterebbe”.

Una minaccia sempre più incombente, contro la quale hanno allertato anche Cina e Russia nei loro interventi all’Onu. Tanto più che gli Stati uniti hanno creato una nuova Task Force congiunta per “combattere il narcotraffico nei Caraibi”. Il Comando Sud (SOUTHCOM) ha annunciato che questa starà sotto il comando della II Forza di Spedizione dei Marines (II Marine Expeditionary Force), con partner interistituzionali, rappresentati dal Gruppo di Lavoro per la Sicurezza Nazionale, diretto da Marco Rubio.

In una intervista rilasciata alla Bbc, durante la quale ha cercato di dribblare tutte le domande dirette, Machado ha inneggiato a Trump e alle sue pratiche di “lotta al narcotraffico” nei Caraibi. “Quando Maduro cadrà ,vedremo come cadrà il regime cubano e come cadrà il regime del Nicaragua e avremo tutte le Americhe libere dalla tirannia, dalle dittature, dal narcoterrorismo”, ha vaticinato la Sayona, dopo aver attaccato anche la destra moderata in Venezuela, che – conoscendo dall’interno le politiche di Machado e avendo deciso di disertarle – sta inanellando le dichiarazioni contro la decisione di insignirla del Nobel.

Intanto, le inchieste dicono che oltre l’84% dei venezuelani e venezuelane si ritiene indignato per il Nobel, e solo il 2% lo approva, mentre gli altri non si pronunciano, ma respingono un’invasione armata del Venezuela. Le reti sociali s’infiammano. In molti invitano a non avere la “memoria corta” e tornano a postare le immagini del giovane venditore ambulante venezuelano che fu brutalmente pugnalato e dato alle fiamme, e che morì in seguito alle ferite riportate. Fu ucciso così durante le violente proteste dell’opposizione – “la Salida”, organizzata da Machado – nel 2017. Si chiamava Orlando Figuera, aveva 24 anni, fu aggredito da un gruppo di manifestanti nella zona agiata di Altamira, un quartiere orientale di Caracas perché aveva la maglietta rossa e la pelle scura, dunque era “chavista”.

I filmati e le inchieste giudiziarie mostrarono che a condurre l’attacco fu l’italiano Enzo Franchini Oliveros, accusato di aver cosparso Figuera di benzina prima che venisse appiccato il fuoco. Franchini è riparato in Spagna, inseguito da un mandato internazionale: “Ci aspettiamo un deciso intervento umanitario della sinistra italiana per liberare questo pacifico manifestante in lotta contro la dittatura”, commenta ironicamente una giovane, che ha parenti italiani. E un altro ragazzo con la kefia le fa eco: “A quanto il Nobel per la Pace al genocida Netanyahu”?