Non è stata l’imboscata tesa, in diretta dallo “Studio ovale”, al presidente ucraino lo scorso febbraio da un Donald Trump rabbioso e aggressivo, ma poco ci è mancato.

«Nessuno ha gridato ma Trump stato duro» hanno raccontato al giornale online “Axios” due funzionari statunitensi commentando il faccia a faccia andato in scena venerdì alla Casa Bianca. Le fonti hanno aggiunto che «Trump ha fatto diverse affermazioni pesanti durante l’incontro (…). Il faccia a faccia sarebbe finito improvvisamente dopo due ore e mezza, con Trump che avrebbe detto: “Credo che abbiamo finito. Vediamo che succede la prossima settimana”».

Dopo mesi di delusioni e di rinvii da parte di Vladimir Putin, che ha più volte chiarito di non essere interessato a sospendere i combattimenti senza portare a casa gli obiettivi prefissati, Volodymyr Zelensky si aspettava finalmente dal presidente statunitense un’accoglienza amichevole e lo sblocco delle forniture delle armi a lungo raggio, che il primo cittadino ucraino non ha mai smesso di chiedere a Washington.

I missili Tomahawk permetterebbero all’esercito ucraino di infliggere una serie di duri colpi alle installazioni e alle città russe, rendendo a Mosca la continuazione del conflitto sempre più costosa, in termini economici e umani. Sviluppati a partire dagli anni ’70, i Tomahawk sono missili da crociera subsonici con una testata da quasi 500 kg, utilizzati principalmente dalla Marina statunitense per attaccare obiettivi terrestri. Hanno una gittata dai 1600 ai 2000 km, fino a otto volte superiore a quella dei missili Atacms già forniti all’Ucraina dall’amministrazione Biden.

Nei giorni scorsi da oltreoceano erano giunti segnali incoraggianti, con una ventilata disponibilità da parte di Trump a concedere a Kiev gli agognati missili e una ripresa – seppure minima rispetto alla presidenza Biden – delle forniture di materiale bellico.

Ma il tycoon ha cambiato di nuovo idea, chiarendo che «I Tomahawk sono missili terribili, armi molto pericolose. La minaccia dei Tomahawk è sempre lì, ma un’escalation può portare a cose molte brutte (…) Non vogliamo dare via cose che ci servono a proteggere il nostro Paese».

Se si tratti di una scusa è difficile dirlo, ma effettivamente nell’ultimo anno Washington di questi missili ne ha utilizzati più di cento per attaccare gli Houthi yemeniti e l’Iran, e le scorte non sono particolarmente abbondanti. I Tomahawk potrebbero servire, inoltre, per bombardare obiettivi in Venezuela se le minacce contro Caracas dovessero avere un seguito.

Comunque, per ora il leader repubblicano sembra considerare una priorità “la pace numero nove” (anche se le otto precedenti sono in gran parte il frutto delle fantasie megalomani del miliardario) e pensa che Putin sia una sponda disponibile, prima o poi, a concedergli questa soddisfazione.
Nelle scorse settimane, frustrato dalla melina del presidente russo, Trump aveva minacciato di fornire a Kiev armi distruttive a lungo raggio e di imporre nuove sanzioni, ma è bastata una telefonata rassicurante con Putin – definita “positiva e produttiva” dalla Casa Bianca – per far recuperare al tycoon la fiducia nel conseguimento di un accordo.

Che, ha fatto presente a un Zelensky sempre più in difficoltà, dovrà passare per una dolorosa ma necessaria cessione alla Russia di territori, in primis quel Donbass che le truppe di Mosca controllano già quasi interamente. Proprio durante il fine settimana il ministro della Difesa russo ha informato che i militari di Mosca hanno preso il controllo della cittadina di Pleshcheyevka, nel Donetsk. Anche se sul terreno l’avanzata dei russi è più lenta rispetto al passato, le difese aeree ucraine sono sempre meno in grado di contrastare i massicci e frequenti bombardamenti di Mosca.

E ora l’incontro tra Trump e Putin fissato a Budapest tra meno di due settimane rischia di stringere Zelensky – e i suoi sponsor europei – in una morsa micidiale.


Se l’accordo tra i presidenti americano e russo dovesse andare in porto – a spese dell’Ucraina, ovviamente – dopo quello su Gaza Donald Trump porterebbe a casa un’altamente simbolica (non importa se superficiale e non duratura) doppietta di successi, mentre Putin potrebbe cantare vittoria contro l’espansione ai suoi confini della Nato e vantarsi di aver recuperato una parte fondamentale dei territori storici che la Russia rivendica.

Anche sul fronte economico ne guadagnerebbero sia Washington che Mosca. Gli Stati Uniti, che hanno già recuperato la propria supremazia militare ed energetica sull’Europa, hanno anche costretto i partner del vecchio continente a comprare ingenti quantitativi di armamenti statunitensi per armare Kiev e attrezzarsi ad un conflitto con la Russia che proprio il riarmo “difensivo” contribuisce in realtà ad avvicinare.

La Russia, anche se dopo quattro anni di dissanguamento economico e umano per una “operazione militare speciale” che doveva durare pochi giorni e si è invece trasformata in una lunga guerra, ha già di fatto ottenuto la conquista di vasti territori ricchi di risorse e minerali preziosi. Mosca potrebbe inoltre ottenere da Washington un accesso privilegiato alle ricchezze del sottosuolo ucraino, che gli Stati Uniti hanno già ottenuto da Zelensky di poter sfruttare in regime di quasi monopolio.

Spiazzato dall’ennesimo voltafaccia di Trump, subito dopo l’incontro alla Casa Bianca Zelensky ha affermato che è in effetti preferibile non puntare ad una ulteriore escalation con la Russia, dicendosi disponibile a negoziare. «Il presidente ha ragione (…) e dobbiamo fermarci dove siamo» è stata la prima e poco credibile reazione del leader ucraino subito dopo il colloquio con il leader repubblicano.

Poi Zelensky ha visto in videoconferenza i principali leader europei, ai quali ha riportato i deludenti esiti del faccia a faccia con Trump. Il primo ministro britannico Keir Starmer e i capi di stato di vari paesi del continente hanno ribadito il loro sostegno “incrollabile” a Kiev e la continuazione delle forniture militari.

Intanto però è trapelata la notizia che la Banca Nazionale dell’Ucraina (Nbu) è stata sottoposta a forti pressioni da parte del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) affinché svalutasse la moneta nazionale. Secondo Bloomberg il Fmi ha fatto presente i potenziali benefici di una svalutazione controllata della grivna come misura che potrebbe contribuire ad alleviare la difficile situazione finanziaria dell’Ucraina, aumentando le entrate di bilancio denominate nella valuta nazionale. Ovviamente la misura avrebbe pesanti ripercussioni sui salari e sulle pensioni di milioni di ucraini che si troverebbero a fare i conti con il crollo del loro potere d’acquisto. Infatti, secondo il media statunitense, i funzionari della Nbu si oppongono a tale mossa, parlando dei rischi di inflazione e della reazione negativa dell’opinione pubblica. L’Ucraina ha ricevuto la maggior parte dei 15,6 miliardi di dollari previsti dal programma del FMI concordato nel 2023 e le due parti stanno ora negoziando un nuovo pacchetto del valore di altri 8 miliardi.

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, si occupa di geopolitica e movimenti sociali. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria.