Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre dal quotidiano Il Manifesto
La periferia di Betlemme, tra il campo profughi di Dheisheh, la municipalità di Doha e il villaggio di Khader, è una delle aree a più alta disoccupazione della Cisgiordania. E Anwar D. rientra nelle migliaia di palestinesi di questa zona che hanno pagato a caro prezzo le misure punitive varate dalle autorità israeliane in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023. Decisioni che hanno messo in ginocchio la fragile economia palestinese già penalizzata da decenni di chiusure, limitazioni e posti di blocco militari. «A casa mia lavoravamo in due, mio figlio, quello più grande, ed io» ci racconta Anwar ricevendoci a casa sua «io come cameriere in un hotel e lui come muratore in cantiere Israele. A lui hanno subito annullato il permesso di lavoro. Io sono rimasto senza lavoro dopo un paio di mesi, quando l’hotel ha chiuso per mancanza di turisti, Betlemme è isolata». Anwar oggi guadagna qualcosa grazie a lavori occasionali. «Ma – aggiunge – andare avanti così è impossibile, i soldi non bastano, ho già venduto l’automobile per assicurare almeno il cibo al resto della famiglia».
Le difficoltà di Anwar per molti altri palestinesi si sono già trasformate in disperazione. Non pochi in questi due anni non hanno esitato a rischiare la vita, alcuni perdendola, pur di superare il Muro israeliano pur di trovare un lavoro, senza permesso, per sfamare le loro famiglie. E se in passato la legge israeliana puniva con pochi giorni di detenzione, una multa e l’espulsione i «clandestini», adesso un palestinese scoperto «illegalmente» a Tel Aviv e in altre città dello Stato ebraico è considerato un «terrorista». Sanad Hantouli, 24 anni, il mese scorso ha raggiunto Ram, tra Gerusalemme e Ramallah. In quel punto il Muro offre qualche possibilità in più per chi con, l’audacia della disperazione, prova a superarlo con una lunga scala. Il coraggio non è bastato. Allertati dalle telecamere di sicurezza, gli agenti della guardia di frontiera lo hanno individuato e ucciso con colpi d’arma da fuoco. «Il sospettato è stato colpito e neutralizzato», ha riferito un portavoce della polizia. Il corpo di Hantouli è stato portato al Palestine Medical Complex di Ramallah prima di essere consegnato alla famiglia a Silat Al-Dhahr.

foto di Kyle Taylor wikimedia
Gli ultimi due anni sono stati segnati da queste morti silenziose in Cisgiordania. I media internazionali le ignorano, perché impegnati a riferire prima dell’offensiva israeliana a Gaza e ora della fragilità della tregua. Shaher Saad, segretario generale della Federazione sindacale, giorni fa spiegava che da anni i palestinesi sono costretti a tentare attraversamenti pericolosi pur di lavorare. «Decenni di disoccupazione hanno lasciato migliaia di persone senza scelta. Per questo tanti palestinesi sono stati colpiti dalle forze israeliane o sono caduti nel vuoto mentre provavano a superare il Muro», ha detto. Secondo i dati in possesso di Saad, negli ultimi due anni 40 lavoratori cisgiordani sono stati uccisi o sono morti precipitando al suolo lungo la barriera. Un rapporto congiunto della Banca mondiale, della Unione europea e delle Nazioni unite riferisce che oggi circa 27.000 palestinesi lavorano in Israele e nelle colonie ebraiche Cisgiordania, rispetto ai 177.000 dell’ottobre 2023. Il Muro, che Israele sostiene di aver costruito a partire dal 2002 per «fermare i terroristi», corre da nord a sud in Cisgiordania lungo la «Linea verde» dell’armistizio del 1948. Alto fino a otto metri, in alcuni punti entra in profondità in Cisgiordania e i palestinesi lo considerano una «barriera dell’apartheid» che si è appropriata di terre, acqua e risorse naturali e ha tagliato fuori intere comunità contadine dai loro campi coltivati e dai frutteti.
Oltre agli uccisi, sono innumerevoli le storie di chi è rimasto ferito nel tentativo di passare dall’altra parte. Saher, un muratore, ha raccontato alla tv Al Jazeera che una domenica mattina dello scorso giugno pensò di avere una rara opportunità per entrare in Israele e di raggiungere il suo vecchio posto di lavoro a Rishon LeZion. Credendo che le forze israeliane fossero distratte dagli allarmi per i lanci di missili dall’Iran, iniziò a scalare il Muro. Gli ci vollero circa 15 minuti. Mentre saliva, all’improvviso apparve una pattuglia israeliana. Si lanciò dalla cima della barriera. «Per un attimo ho pensato di essere morto. Poi il dolore ha iniziato a insinuarsi nel mio corpo» ha detto. All’ospedale di Ramallah gli sono state diagnosticate fratture multiple alle costole e gli hanno applicato un tutore. Molto peggio è andata al piastrellista Othaman al Khawaja, un trentasettenne padre di tre figli, di Nilin. A marzo mentre cercava di scalare il muro le guardie di frontiera israeliane aprirono il fuoco. Non lo colpirono ma al Khawaja cadde fratturandosi entrambe le gambe. Aveva già scalato il muro diverse volte prima di allora. «A volte la disperazione offusca la ragione», commenta.
Prima del 7 ottobre oltre 160.000 palestinesi attraversavano quotidianamente i checkpoint per lavorare in Israele o negli insediamenti coloniali in settori come l’edilizia e l’agricoltura. Quei salari rappresentavano fino al 30% del reddito totale nei Territori palestinesi occupati. La chiusura ha prodotto un crollo immediato dei redditi familiari e ha colpito soprattutto le zone di Hebron, Jenin, Tulkarm e Betlemme. La Banca mondiale e l’Ilo avvertono che la disoccupazione in Cisgiordania è salita oltre il 30%, mentre il Pil palestinese ha subito una contrazione stimata intorno al 25% nel 2024.














