La città di El Fasher, capoluogo del Nord Darfur e ultima roccaforte ancora controllata dall’esercito sudanese nella regione, è stata conquistata dalle Forze Rapide di Supporto (Rsf), guidate da Abdul Rahim Dagalo, fratello di Mohamed Dagalo, capo delle Rsf. La guerra in Sudan ha assunto una dimensione apertamente etnica, e nel Darfur la popolazione non araba viene sistematicamente presa di mira. Le prime stime diffuse da fonti governative parlano di oltre duemila civili uccisi nell’arco di appena ventiquattr’ore. I filmati pubblicati sui social dagli stessi miliziani documentano una violenza di proporzioni raccapriccianti: esecuzioni sommarie, case rastrellate, persone investite dalle auto delle milizie, famiglie intere trucidate. Intorno alla città, le milizie hanno distrutto villaggi abitati dalle comunità Massalit e Zaghawa, costringendo migliaia di persone a fuggire verso i campi profughi o a cercare rifugio nelle rovine. La logica è la stessa che nel 2003 aveva insanguinato il Darfur: isolamento, fame, deportazioni. Oggi come allora, i racconti dei sopravvissuti parlano di bombardamenti su mercati, ospedali, scuole, case.
La risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite già nel giugno 2024 chiedeva la fine dell’assedio e avvertiva del rischio di un “massacro imminente”, ma gli appelli sono rimasti lettera morta. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, la popolazione della città è crollata da oltre un milione a poco più di quattrocentomila abitanti, mentre la fame e la mancanza d’acqua aggravano la situazione. Nel grande campo profughi di Zamzam, alle porte della città, le persone sopravvivono nutrendosi con alimenti destinati agli animali, mentre le strutture sanitarie, bombardate o prive di rifornimenti, non riescono più a curare feriti e malati.
Il conflitto tra le forze armate sudanesi del generale Abdel Fattah al-Burhan e le RSF di Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, prosegue ormai da un anno e mezzo, ma la battaglia per il Darfur ha un peso strategico particolare: la conquista di El Fasher significa per le milizie assicurarsi il controllo di una regione ricca di oro e di corridoi logistici che collegano il Sudan al Ciad e al Sudan del Sud.
La caduta di El Fasher segna l’avvio di un nuovo ciclo di pulizia etnica nel Darfur, vent’anni dopo quella che aveva portato la Corte penale internazionale a incriminare l’allora presidente Omar al-Bashir. Oggi la comunità internazionale resta quasi immobile: gli appelli dell’Onu, di Amnesty International e delle organizzazioni umanitarie non si sono tradotti in corridoi di evacuazione o in protezione effettiva per i civili. Le RSF, nel frattempo, continuano a bloccare gli aiuti e a colpire indiscriminatamente. il generale al-Burhan, ha dichiarato di “aver accettato il ritiro da El-Fasher verso un luogo più sicuro per evitare la distruzione totale della città e salvare la vita dei civili ancora presenti”. L’ong Sudan Doctors Network ha dichiarato che le Rsf stanno compiendo da domenica “un orribile massacro su base etnica”. Pagine Esteri














