Due anni dopo il 7 ottobre e l’inizio della tregua, il mese scorso, a Gaza, un sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR), diretto da Khalil Shikaki, fotografa uno scenario complesso. Il sondaggio, condotto lo scorso mese tra la popolazione di Gaza e della Cisgiordania, rivela una società palestinese divisa tra il desiderio di una fine del conflitto e il sospetto verso qualsiasi ipotesi politica, inclusa quella proposta da Donald Trump.
Secondo i dati del PCPSR, circa il 60 per cento degli abitanti della Striscia sostiene il piano di Trump, un consenso relativamente alto che riflette l’esasperazione di una popolazione stremata da anni di assedio, distruzione e mancanza di prospettive. Tuttavia, la stessa maggioranza che appoggia l’iniziativa americana si dice contraria, nel 55 per cento dei casi, al disarmo di Hamas, considerato da molti come l’unica forza in grado di resistere in qualche mondo all’occupazione israeliana. In Cisgiordania, dove il controllo israeliano è più diretto e la presenza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) più capillare, il sostegno al piano Trump scende al 40 per cento, mentre l’opposizione al disarmo di Hamas cresce fino all’80 per cento.
Circa la metà degli intervistati in entrambi i territori ritiene ancora che Hamas abbia fatto la scelta giusta il 7 ottobre di due anni fa, nonostante le devastanti conseguenze che ne sono seguite per Gaza. Tuttavia, solo il 40 per cento crede che Hamas uscirà vincitore dalla guerra.
L’indagine rivela anche una profonda sfiducia verso l’Autorità Nazionale Palestinese, giudicata corrotta e inefficace. Solo un terzo dei palestinesi desidera che l’ANP assuma il controllo diretto di Gaza dopo la guerra. La proposta di Trump di affidare la gestione dell’enclave a un comitato di tecnici indipendenti da Hamas e dall’ANP divide l’opinione pubblica: il 53 per cento la respinge, mentre il 45 per cento la sostiene. Ancor più forte è il rifiuto dell’idea di uno schieramento di forze arabe nella Striscia, che incontra l’opposizione del 68 per cento degli intervistati.
Alla domanda su chi sia il principale responsabile della catastrofe umanitaria in corso a Gaza, la maggioranza assoluta punta il dito contro Israele, respingendo le accuse contro Hamas.
Sul piano politico, il sondaggio mostra una forte domanda di rinnovamento. Il 65 per cento degli intervistati ritiene che si debbano tenere elezioni presidenziali e legislative entro un anno. Ma solo il 60 per cento crede che ciò accadrà davvero. L’attuale presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) gode del sostegno di appena il 13 per cento degli elettori, mentre il leader di Hamas Khaled Meshaal ottiene il 36 per cento e il carismatico leader incarcerato Marwan Barghouti raggiunge il 49 per cento, confermandosi la figura più popolare tra i palestinesi.
Il giudizio sull’operato delle due principali forze politiche è altrettanto netto: Hamas raccoglie il 60 per cento delle preferenze, mentre Abbas e l’ANP si fermano al 20 per cento. Quasi l’80 per cento degli intervistati chiede le dimissioni immediate del presidente e considera l’ANP un “peso per il popolo”. Nonostante la polarizzazione interna, la maggioranza assoluta sostiene la formazione di un governo di unità nazionale segno di una volontà di superare la frammentazione politica che ha indebolito la causa palestinese.
Sul fronte diplomatico, il pessimismo prevale. Il 53 per cento dei palestinesi dichiara di essere contrario alla soluzione dei Due Stati, giudicata ormai impraticabile a causa dell’espansione degli insediamenti coloniali israeliani e della mancanza di fiducia nelle iniziative internazionali. Gaza e Cisgiordania condividono in gran parte questa valutazione, ma divergono sulla questione della lotta armata: in Cisgiordania il 49 per cento sostiene la necessità di riprendere le armi contro Israele, mentre nella Striscia la percentuale scende al 30 per cento.














