Di Ibtisam Mahdi

+972mag

(traduzione di Federica Riccardi)

Alla fine di un tappeto rosso improvvisato, steso tra gli edifici distrutti nel centro di Deir Al-Balah, nella Striscia di Gaza, alcune decine di palestinesi erano seduti davanti a un grande schermo televisivo. Quando è iniziato il film, è calato il silenzio e i presenti hanno alternato momenti di concentrazione cupa a singhiozzi mentre guardavano le loro esperienze degli ultimi due anni riflesse sullo schermo per l’ora e mezza successiva. Il film era “The Voice of Hind Rajab” e la proiezione ha segnato l’apertura del primo Festival Internazionale del Cinema Femminile di Gaza.

“Ho pianto mentre guardavo il film”, ha detto Nihal Hasanein, una delle partecipanti, alla rivista +972 Magazine dopo la proiezione del 26 ottobre. All’inizio di quest’anno ha perso tre dei suoi figli in un attacco aereo israeliano sulla sua casa a Beit Lahiya; ora vive nel campo di Al-Jazaeri a Deir Al-Balah, dove è stato proiettato il film. “Mi ha rievocato il dolore di aver perso tutti i miei figli in un colpo solo, insieme alla mia casa”, ha detto Hasanein.

Diretto dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania, “The Voice of Hind Rajab” ricostruisce l’ assassinio della piccola Hind Rajab, di cinque anni, e di sei membri della sua famiglia da parte dei soldati israeliani mentre tentavano di fuggire dalla città di Gaza in auto nel gennaio 2024. Presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia a settembre, ha ricevuto il Gran Premio della Giuria e una standing ovation di 23 minuti da parte del pubblico. Successivamente ha vinto numerosi altri prestigiosi premi, diventando una delle opere arabe più acclamate dell’anno. La proiezione poco più a sud di Gaza, la città natale di Rajab, è stata la prima nel mondo arabo.

Il Festival Internazionale del Cinema delle Donne di Gaza è stato lanciato dal regista e ricercatore palestinese Ezzaldeen Shalh, ex presidente dell’Unione Internazionale del Cinema Arabo, in collaborazione con il Ministero della Cultura palestinese e istituzioni cinematografiche locali e internazionali. Secondo lui, il festival mira a presentare film prodotti, diretti o scritti da donne – in particolare in Palestina, ma anche in tutto il mondo arabo e oltre – che affrontano tematiche di donne.

L’edizione inaugurale, organizzata con lo slogan “Donne leggendarie durante il genocidio”, ha cercato di far luce sulle sofferenze delle donne palestinesi negli ultimi due anni e di ricostituire la vita culturale di Gaza. “C’era bisogno di una piattaforma artistica che rappresentasse le donne palestinesi e consentisse loro di raccontare le loro storie al mondo attraverso la loro lente”, ha affermato Shalh.

Nel corso dei sei giorni dal 26 ottobre – che segna la Giornata Nazionale delle Donne Palestinesi e l’anniversario della prima Conferenza delle Donne Palestinesi del 1929 – al 31 ottobre, il festival ha presentato quasi 80 film provenienti da oltre due dozzine di paesi del Medio Oriente, Nord Africa, Europa e Americhe. Le proiezioni hanno attirato oltre 500 spettatori, un numero che stride se paragonato alle cifre prebelliche, quando oltre 2.000 persone al giorno affollavano festival culturali simili a Gaza.

Oltre a Ben Hania, il festival inaugurale ha reso omaggio ad altre due donne il cui lavoro ha contribuito alla lotta popolare palestinese: la regista palestinese Khadijeh Habashneh e la defunta regista libanese Jocelyne Saab. La giuria comprendeva registi di spicco come Annemarie Jacir, la regista Céline Sciamma e l’attrice Jasmine Trinca.

Yusri Darwish, capo dell’Unione Generale dei Centri Culturali in Palestina, ha celebrato il festival come “una nuova affermazione che Gaza ama la vita nonostante il genocidio, che può trasformare le macerie in uno schermo e la tristezza in un messaggio di speranza”.

Darwish ha sottolineato che tenere il festival in questo momento è “un tributo alle donne palestinesi che hanno sopportato gli orrori della guerra – dalla perdita e la detenzione allo sfollamento – e che meritano che le loro storie siano raccontate al mondo con onestà e giustizia”.

Superare gli ostacoli

Secondo Shalh, la sfida più grande nell’organizzazione del festival è stata trovare una sede, poiché “tutte le strutture di questo tipo a Gaza sono state distrutte”. Il team ha dovuto montare delle tende temporanee sullo sfondo di edifici parzialmente crollati; senza elettricità, hanno dovuto ricorrere a un generatore per proiettare i film. “Anche la comunicazione con i registi e la giuria è stata difficile”, ha aggiunto.

Le condizioni a Gaza hanno reso impossibile la partecipazione a chi doveva percorrere lunghe distanze. Niveen Abu Shammala, una giornalista che prima della guerra viveva nel quartiere di Shuja’iya, nella parte orientale della città di Gaza, ma che ora è sfollata in una tenda nella parte occidentale della città, era solita occuparsi degli eventi culturali, in particolare sui festival cinematografici, in tutta la Striscia. Tuttavia, l’alto costo dei trasporti, oltre all’orario tardivo (il festival iniziava dopo le 15:30), le hanno impedito di partecipare a questo evento.

“Anche se la guerra è finita, fa ancora paura muoversi di notte”, ha spiegato. “Mi sarebbe piaciuto vedere i film in concorso, ma è difficile scaricarli con una connessione internet così debole”.

Nelly Al-Masri è riuscita a partecipare, guardando tutti e tre i film proiettati il secondo giorno del festival, che si è tenuto presso la sede del Sindacato dei giornalisti. È rimasta particolarmente colpita dal cortometraggio giordano “Hind Under Siege”, che parla anch’esso di Hind Rajab. “Questo film mi ha colpito profondamente”, ha detto Al-Masri a +972. “Parla a nome di tutti i bambini di Gaza, non solo di Hind”.

Al-Masri avrebbe voluto partecipare a più eventi del festival, ma i costi di trasporto, la continua difficoltà di procurarsi cibo e acqua potabile a sufficienza e la cura dei suoi figli lo hanno reso impossibile. “Molte donne stanno vivendo la stessa situazione”, ha detto. “Speriamo che le condizioni a Gaza migliorino”.

Hamsa Mahmoud, dieci anni, non sapeva nulla del festival prima dell’evento, ma ha finito per partecipare a diverse proiezioni dopo aver notato la folla che si radunava intorno alle tende vicino a dove vive. “È la prima volta che partecipo a un festival”, ha spiegato. “Sono felice di essere qui e ancora più felice di avere la possibilità di guardare qualcosa sullo schermo. Dall’inizio della guerra e delle interruzioni di corrente, non abbiamo potuto guardare nulla. Mi piacerebbe che ci fossero più festival come questo”.

Un’altra partecipante, l’attivista comunitaria Faten Harb, vede il cinema come un mezzo importante per rafforzare la determinazione delle donne palestinesi a Gaza. “L’arte è un messaggio nobile e il modo più facile e semplice per raggiungere il mondo senza dire troppo”, ha affermato.

“Il mondo è stanco di sentire notizie di uccisioni, distruzione e feriti”, ha continuato Harb. “Ecco perché dobbiamo cercare altri modi per trasmettere la sofferenza della popolazione di Gaza. Abbiamo urgente bisogno di eventi come questo per far luce su ciò che è accaduto nella Striscia di Gaza durante la guerra genocida, soprattutto per le donne, che sono state le più colpite”.

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*Ibtisam Mahdi è una giornalista freelance di Gaza specializzata in reportage su questioni sociali, in particolare riguardanti donne e bambini. Collabora anche con organizzazioni femministe di Gaza nel campo del giornalismo e della comunicazione.