Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre dal quotidiano Il Manifesto

Sulla pagina Facebook dell’organizzazione Al Majid, con sedi a Gerusalemme e in Germania, è apparso questo avviso: «Attenzione abbiamo ricevuto segnalazioni di persone che si spacciano per rappresentanti dell’organizzazione. Si tratta di truffatori che non hanno alcun legame con noi». Parole che non hanno convinto nessuno. Resta forte il sospetto che questa opaca «organizzazione umanitaria» stia partecipando a un intricato sistema di intermediari che operano nell’ombra, di voli charter dall’aeroporto israeliano di Ramon nel Negev e di documenti non timbrati in uscita, per favorire la cosiddetta «emigrazione volontaria» dei palestinesi di Gaza, il progetto annunciato a inizio anno da Donald Trump, subito approvato dal premier israeliano Netanyahu e sostenuto da non pochi dei suoi ministri favorevoli a svuotare la Striscia della sua popolazione.

«Desideri viaggiare e iniziare una nuova vita? Siamo qui per aiutarti» c’è scritto all’inizio del modulo di registrazione preparato dalla Al Majid e rivolto solo agli abitanti di Gaza, a chi vuole «fare un passo verso un futuro più sicuro per sé e per i tuoi figli», con l’organizzazione che deciderà la destinazione «più adatta dopo aver considerato sia gli aspetti umanitari che quelli logistici». Tutto ciò combacia con quanto hanno vissuto i 153 palestinesi arrivati a metà settimana in Sudafrica dopo un viaggio che nessuno di loro aveva compreso prima dell’imbarco. Il percorso seguito da questo gruppo, transitato attraverso il valico di Kerem Shalom e poi trasferito all’aeroporto di Ramon, illumina un meccanismo che è parte di un disegno più vasto. I gazawi partiti per Nairobi, all’arrivo sono stati trasferiti immediatamente su un aereo della Global Airways diretto a Johannesburg. È significativo che nessuno di loro avesse un timbro di uscita, biglietti di ritorno o documenti che certificassero il viaggio. Una condizione che ha portato inizialmente il Sudafrica, che pure è vicino ai palestinesi e a Gaza e che alla fine del 2023 ha richiesto alla Corte Internazionale di Giustizia un procedimento contro Israele per il crimine di genocidio, a negar loro l’ingresso per ore e a lasciarli sull’aereo. L’intervento di Gift of the Givers, un’organizzazione umanitaria, e quello successivo del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa hanno permesso di evitare che la situazione degenerasse, fornendo alloggio e mediazione fino al rilascio dei visti temporanei. Imtiaz Sooliman, direttore di Gift of the Givers, ha riferito che i passeggeri hanno scoperto la destinazione solo durante il transito in Kenya. «Non si sa chi abbia noleggiato l’aereo, un primo volo con 176 palestinesi di Gaza era arrivato a Johannesburg a fine ottobre, seguendo esattamente la stessa procedura», ha raccontato.

L’Ambasciata palestinese in Sudafrica ha denunciato l’operato della Al Majid che ha descritto come «un’entità ingannevole che sfrutta la disperazione delle famiglie di Gaza». Un giudizio largamente condiviso tra i palestinesi. «Da qualche tempo organizzazioni come la Al Majid propongono agli abitanti della Striscia che hanno risparmi da parte il trasferimento lontano dalle macerie e dalle privazioni di Gaza. Il costo varia tra 2mila e 5mila dollari. Siamo convinti che dietro ci siano agenti dell’intelligence israeliana», spiega al manifesto Maher Kahlout, un giornalista di Gaza.

Il governo sudafricano ora sta indagando poiché vede in queste operazioni non incidenti isolati, bensì un piano per lo sradicamento su larga scala della popolazione di Gaza. Israele invece sostiene di «coordinarsi» con paesi ospitanti e che l’uscita dei cittadini di Gaza viene approvata solo se lo Stato di destinazione dà il proprio consenso. È una versione che mal si concilia con l’assenza dei timbri di uscita, con l’uso di charter di oscure compagnie aeree e con l’intervento della Al Majid, non registrata negli elenchi delle ong. Funzionari israeliani hanno fatto sapere che, dopo il favore espresso da Trump al «trasferimento» dei due milioni e 300mila abitanti di Gaza, il governo Netanyahu ha allentato le restrizioni all’uscita dei gazawi (a eccezione di quelli ritenuti vicini ad Hamas) e non solo di quelli ammalati o feriti che a piccoli gruppi ogni tanto già lascia passare per Kerem Shalom. Il risultato è stata l’approvazione del 95 percento delle richieste, un salto enorme rispetto alle politiche passate.

Due sono le vie principali delle partenze: l’aeroporto di Ramon o il valico di Allenby tra Cisgiordania e Giordania. Finora circa 7mila abitanti di Gaza sarebbero partiti passando per Kerem Shalom. Altre decine di migliaia sono uscite nei primi mesi dell’offensiva militare israeliana, attraversando il valico di frontiera di Rafah con l’Egitto, fino a quando è rimasto aperto.