Pagine Esteri – «Trascorso oltre un mese dall’annuncio del cessate il fuoco e rientrati in Israele tutti gli ostaggi ancora in vita, le autorità israeliane stanno ancora commettendo il crimine di genocidio nei confronti della popolazione palestinese della Striscia di Gaza occupata, continuando a sottoporla deliberatamente a condizioni di vita dirette a provocare la sua distruzione fisica, senza alcun segnale di un cambiamento nelle loro intenzioni».

È quanto scrive Amnesty International in un documento diffuso ieri, basato sulle testimonianze degli abitanti della Striscia di Gaza e del personale medico e umanitario presente nella Striscia.

«Il cessate il fuoco rischia di creare la pericolosa illusione che la vita nella Striscia di Gaza stia tornando alla normalità. Ma, sebbene le autorità e le forze armate di Israele abbiano ridotto la dimensione degli attacchi e consentito l’ingresso di una limitata quantità di aiuti umanitari, il mondo non deve lasciarsi ingannare: il genocidio non è finito» denuncia Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

Mentre Israele continua a violare quotidianamente il cessate il fuoco – gli attacchi dal 10 ottobre sono stati 500 e hanno causato circa 330 vittime – le tendopoli dove vivono la gran parte dei più di due milioni di sopravvissuti palestinesi intrappolati a Gaza sono in gran parte sommerse dall’acqua dopo le piogge torrenziali dei giorni scorsi.

Intanto le cifre pubblicate martedì dall’UNCTAD, l’agenzia che si occupa di sostenere i Paesi in via di sviluppo, dicono che nel territorio palestinese la devastazione è tale da mettere a rischio la «sopravvivenza stessa di Gaza».

La guerra «ha eroso tutti i pilastri della sopravvivenza» umana facendo «sprofondare il territorio palestinese in un abisso creato dall’uomo». «Data la distruzione incessante e sistematica che ha subito, ci sono seri dubbi sulla capacità di Gaza di ricostruirsi come spazio vitale e come società» sentenzia la “Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo”.

I dati forniti dall’UNCTAD parlano da soli. A causa dei bombardamenti israeliani, il Prodotto interno lordo della Striscia è crollato dell’83% rispetto al 2023, cancellando 69 anni di sviluppo umano e generando la «crisi economica più grave» mai osservata. Il PIL pro capite è sceso ad appena 161 dollari, uno dei più bassi al mondo.

L’inflazione è invece salita al 238%, la disoccupazione ha raggiunto l’80% e la quasi totalità dei 2,3 milioni di abitanti dell’enclave vivono ormai al di sotto della soglia di povertà.

Una stima dell’aprile scorso (ma i bombardamenti e le demolizioni sono andati avanti a ritmo sostenuto fino a metà ottobre e ora proseguono comunque seppure con un andamento più lento) affermava che il
70% di tutte le infrastrutture esistenti nella Striscia – tra cui fabbriche, abitazioni, ospedali, scuole, banche e risorse essenziali per l’energia, l’acqua, le telecomunicazioni e l’agricoltura – fossero state danneggiate o completamente distrutte.

Tra l’ottobre del 2023 e il maggio del 2025 la luminosità notturna, un importante indicatore dell’attività economica, è diminuita del 73%.

L’UNCTAD avverte che anche in scenari ottimistici di crescita a due cifre sostenuta da ingenti aiuti esteri, ci vorranno vari decenni prima che Gaza possa tornare alle condizioni precedenti all’ottobre del 2023. L’agenzia stima che occorrano almeno 70 miliardi di dollari insieme ad uno scenario contraddistinto dalla fine degli attacchi e delle restrizioni e da un immediato e massiccio accesso umanitario.

Ma proprio in questi giorni il “Programma alimentare mondiale” ha fatto sapere che la gran parte dei palestinesi di Gaza non riesce ad acquistare il cibo di base, ma solamente cereali e legumi, spesso cucinati bruciando la plastica per mancanza di gas e legna.

Come se non bastasse, Israele continua ad impedire un accesso continuo e sufficiente degli aiuti umanitari e la situazione sanitaria continua ad essere al collasso. Nonostante il cessate il fuoco prevedesse l’ingresso nell’enclave di almeno 600 camion al giorno, materiali impermeabili e forniture invernali continuano a non arrivare.

La ricchezza prodotta a Gaza rappresenta ormai solo il 4,6% di quella della Cisgiordania, mentre trent’anni fa i due territori erano allo stesso livello e malgrado la Cisgiordania stessa sia stata pesantemente colpita negli ultimi due anni, perdendo il 17% del proprio PILe quasi il 19% di quello pro-capite.

«La violenza, l’espansione accelerata degli insediamenti e le restrizioni alla mobilità dei lavoratori» hanno «decimato l’economia» in Cisgiordania, afferma l’agenzia dell’ONU, che denuncia anche il sequestro delle entrate fiscali destinate all’Autorità nazionale palestinese da parte dello Stato ebraico. In sei anni sono stati infatti confiscati 1,8 miliardi di dollari, pari a circa il 13% del PIL dell’anno scorso e quasi al 45% delle entrate nette.

Anche se i riflettori della stampa e della politica mondiale sui palestinesi si sono in gran parte spenti la situazione, soprattutto a Gaza, rimane drammatica.

Nel frattempo uno studio elaborato da un team di ricerca del Max Planck Institute for Demographic Research (MPIDR) e del Centre for Demographic Studies (CED) di Berlino ha elevato a circa centomila il numero dei morti provocati direttamente da due anni di attacchi israeliani contro la popolazione di Gaza mentre i dati ufficiali forniti dalle autorità della Striscia parlano di circa 70 mila vittime, alle quali occorrerebbe aggiungerne altre 7 mila intrappolate sotto le macerie.

«A causa di questa mortalità senza precedenti, l’aspettativa di vita a Gaza è diminuita del 44% nel 2023 e del 47% nel 2024 rispetto a quella che sarebbe stata senza la guerra, equivalenti a perdite rispettivamente di 34,4 e 36,4 anni», afferma lo studio.

«Le nostre stime dell’impatto della guerra sull’aspettativa di vita a Gaza e in Palestina sono significative, ma probabilmente rappresentano solo un limite inferiore dell’effettivo carico di mortalità. La nostra analisi si concentra esclusivamente sui decessi diretti correlati ai conflitti. Gli effetti indiretti della guerra, che sono spesso maggiori e più duraturi, non sono quantificati nelle nostre considerazioni», ha spiegato Ana Gómez-Ugarte, una delle ricercatrici autrici dello studio. – Pagine Esteri