Per quasi venti anni Hezbollah ha rappresentato uno dei perni fondamentali della politica libanese, forte della sua capacità militare e dell’influenza esercitata grazie ai suoi alleati interni e regionali. L’anno trascorso dal cessate il fuoco con Israele, firmato (il 27 novembre) dopo quasi 14 mesi di combattimenti e di pesanti bombardamenti israeliani, ha però aperto una fase segnata da incertezze profonde. Le perdite subite durante la guerra, a partire dall’uccisione del leader Hassan Nasrallah, e le pressioni interne su un eventuale disarmo hanno profondamente scosso il movimento sciita.

Secondo il politologo Hussein Ayoub, esperto di Hezbollah, il Libano vive un passaggio iniziato un anno fa, quando la guerra di sostegno a Gaza ha travolto gli equilibri politici che si erano consolidati dal 2005 dopo l’assassinio del premier Rafiq Hariri e il ritiro dell’esercito siriano. Per quasi due decenni il vuoto lasciato da Damasco era stato colmato dall’asse formato da Hezbollah e dall’Iran, un assetto rimasto stabile pur tra tensioni e crisi ricorrenti. L’ingresso nella guerra l’8 ottobre 2023 ha però inaugurato una fase completamente diversa. Prima di quella data, osserva Ayoub, Hezbollah si muoveva entro un equilibrio consolidato con Israele basato sulla reciproca deterrenza. Dopo la guerra, questo equilibrio è saltato.

Durante il conflitto il movimento ha impedito alle truppe israeliane di penetrare in profondità nel territorio libanese, ma ha pagato un prezzo altissimo. Israele è riuscito a colpire la leadership del movimento sciita, incluso lo storico segretario generale Hassan Nasrallah, a distruggere bunker sotterranei, a eliminare i comandanti della brigata Radwan e, con la misteriosa vicenda delle esplosioni dei cercapersone a penetrare la sua sicurezza. La fine della vecchia deterrenza ha definito un nuovo scenario. Per venti anni Hezbollah aveva imposto condizioni e risposte immediate agli assalti di Israele. Oggi quel modello è superato e la tregua del 2024 è stata accettata più per necessità che per scelta, anche per limitare i danni inflitti al Libano e alla sua popolazione.

A rendere ancora più fragile la posizione del movimento si è aggiunto un evento “sismico”: il crollo del regime siriano di Bashar Assad, avvenuto il 9 dicembre 2024. La Siria è stata per anni il principale corridoio di collegamento tra Hezbollah e Teheran, indispensabile per il rifornimento di armi e per ricostruire capacità militari, come avvenne dopo la guerra del 2006. Con la caduta di Assad, quel corridoio si è interrotto. Oggi, sottolinea l’analista, Hezbollah non ha più la possibilità di far entrare fondi o materiali attraverso l’aeroporto di Beirut. Perfino i rappresentanti iraniani vengono sottoposti a controlli rigidi all’arrivo. Il risultato è una capacità ridotta di ricostruire rapidamente l’arsenale, limitata allo sviluppo di missili di media gittata e droni prodotti localmente.

Questa nuova vulnerabilità ha aperto spazi ai rivali interni ed esterni. Hezbollah ha dovuto accettare decisioni politiche che prima avrebbe respinto, come l’elezione di Joseph Aoun alla presidenza della Repubblica e di Nawaf Salam alla guida del governo, figure considerate vicine all’Occidente. Un anno dopo il cessate il fuoco, la struttura del movimento si è in parte ristabilita, ma resta difficile valutare quali siano al momento le sue capacità militari.

Il disarmo, sul quale insistono Stati Uniti e Israele, rappresenta oggi uno dei nodi più sensibili. Prima della caduta del regime siriano, Washington e Tel Aviv limitavano la richiesta del disarmo di Hezbollah al sud del fiume Litani nel Libano del sud. Ora la linea è più netta e pretende il disarmo totale nel territorio libanese, affidando il possesso delle armi all’esercito regolare. E’ improbabile che l’esercito possa forzare la mano. Un confronto diretto rischierebbe di provocare fratture interne, in particolare la fuoriuscita dei militari sciiti, e aprire scenari da guerra civile. Ayoub considera più probabile che un eventuale disarmo diventi oggetto di negoziati regionali tra Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita, anche se al momento resta solo un’ipotesi.

Sul fronte israeliano, la mancata consegna delle armi offre teoricamente un pretesto per riprendere l’attacco contro il Libano. Tuttavia Israele ha interesse a mantenere l’attuale livello di scontro a bassa intensità, che gli consente di colpire Hezbollah senza subire costi importanti. Una operazione militare israeliana su larga scala vedrebbe inevitabilmente massicci lanci di missili dal Libano e nuovi sfollamenti dal nord di Israele verso il centro del paese.

Le voci su tensioni interne a Hezbollah vengono ridimensionate da Hussein Ayoub, che ricorda come il movimento sia un partito ideologico dotato di una struttura gerarchica rigida e militanti fedeli. Le uccisioni di Hassan Nasrallah e del suo successore Hashem Safieddine hanno colpito duramente la leadership, ma non hanno creato spaccature. Il nuovo segretario generale, Naim Qassem, viene descritto come un amministratore competente, privo del carisma dei suoi predecessori ma capace di gestire le varie correnti interne grazie all’esperienza maturata nelle elezioni parlamentari e municipali. In 43 anni, ricorda l’analista, Hezbollah non ha conosciuto scissioni e la comunità sciita tende a compattarsi nei momenti di difficoltà. Un elemento che probabilmente emergerà nelle elezioni parlamentari previste nella primavera del 2025, quando il movimento potrebbe ottenere livelli di consenso superiori al passato.

In un Libano segnato da crisi istituzionali, pressioni regionali e ferite aperte dalla guerra, Hezbollah resta dunque un attore centrale, ma più vulnerabile e meno sicuro della propria forza rispetto al passato.