Aleppo torna nuovamente a essere teatro di scontri tra le forze di sicurezza siriane e le SDF (Syrian Democratic Forces), la coalizione a guida curda. Gli scontri sono avvenuti nei quartieri di Ashrafieh e Sheikh Maqsoud, nel nord della città di Aleppo. Entrambi i quartieri sono a maggioranza curda e sotto il controllo delle SDF.

Le sparatorie cominciate il 22 dicembre, proseguite durante la notte, hanno ucciso due persone e ferito almeno 15 civili secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa siriana SANA.

Testimoni hanno riferito che sono state le fazioni Hamzat e Amshat, recentemente unite all’esercito siriano, ad aver attaccato i quartieri di Sheikh Maqsoud e Ashrafieh bombardandoli con carri armati e armi pesanti. Si tratta di milizie armate filo-turche, attive soprattutto nel nord del Paese, nelle aree di Afrin, Azaz, al-Bab e Jarablus. Formalmente ora rientrano nelle strutture dell’Esercito Nazionale Siriano, ma nella pratica continuano a operare anche come gruppi autonomi. Di ispirazione sunnita, si sono distinte per espropri di case e terreni ai danni di famiglie curde, violenze contro donne e civili e per l’inserimento nelle proprie file di ex combattenti jihadisti. Inoltre le forze di sicurezza legate a Damasco avrebbero preso di mira depositi di armi e cercato di intercettare spedizioni di armamenti destinate, pare, alle SDF, come riportato dal giornale libanese The Cradle.

Gli scontri a fuoco seguono quelli verificatisi poco più di due mesi fa sempre ad Aleppo, iniziati l’8 ottobre nell’area della diga di Tishrin e poi estesi al centro urbano. Si conclusero due giorni dopo con la firma di un cessate il fuoco e con l’impegno, da entrambe le parti, a rispettare gli accordi firmati il 10 marzo 2025. L’accordo di marzo stabiliva, tra i vari punti, che le strutture militari delle forze curde si sarebbero dovute integrare all’interno dell’esercito siriano entro la fine del 2025. Un’intesa che, dopo i primi mesi, ha conosciuto una fase di stallo, legata anche alla diffidenza delle istituzioni curde nei confronti del governo centrale di Damasco, a seguito dei massacri perpetrati contro le minoranze alawita e drusa, ma che, dopo gli scontri di ottobre, sembrava aver riaperto uno spazio negoziale, con la ripresa di contatti diretti tra le due leadership.

Nell’attuale partita tra Damasco e le forze curde sta giocando un ruolo importante anche il pressing del governo turco, rafforzato dalla visita del ministro degli Esteri Hakan Fidan, attualmente a Damasco. Ankara ha infatti da sempre considerato le forze curde in Siria come una propaggine del PKK, classificandole come forze ostili e “terroristiche”. È stato proprio il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, a lanciare una velata minaccia alla leadership delle SDF, affermando in un comunicato del 18 dicembre che «la pazienza di Ankara nei confronti delle SDF stava finendo», dichiarando di aspettarsi una piena integrazione delle forze curde nell’esercito siriano entro la fine del 2025.

Nel medesimo comunicato, il ministro aveva inoltre dichiarato, in riferimento all’accordo del 10 marzo: «Tutti si aspettano che venga rispettato senza alcun ritardo o modifica, perché non vogliamo vedere alcuna deviazione da esso», facendo esplicito riferimento alle forze curde.

L’appoggio di Ankara all’attuale governo siriano è un’alleanza nata da tempo, fatta di sovvenzioni e supporto logistico, che ha visto la Turchia tra i maggiori sostenitori del governo di Ahmed al-Sharaa già prima della presa del potere dell’8 dicembre 2024. Non a caso, nel governatorato di Idlib, roccaforte dell’ormai “defunto” (a parole) HTS, la moneta principale è la lira turca, così come le linee telefoniche mobili sono agganciate a ripetitori turchi. A ciò si aggiunge la presenza di diverse basi militari che, anche a seguito dell’occupazione del cantone di Afrin nel 2019 con l’operazione “Ramoscello d’Ulivo”, ha segnato in modo stabile la presenza turca nel nord-ovest della Siria.

Nella giornata del 23 dicembre, il ministero della Difesa siriano e la controparte curda avrebbero ordinato la sospensione degli attacchi. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale dello Stato siriano, l’ordine di sospensione mirerebbe a limitare gli scontri e ad allontanarli dalle aree civili.

Nonostante l’apertura di questa nuova fase di “non aggressione”, appare ancora molto lontana l’implementazione reale degli accordi del 10 marzo, che sembrano configurarsi più come un atto simbolico che come una reale possibilità di accordo.