di Orly Noi – +972

(Traduzione di Federica Riccardi)

(Il leader laburista Yair Golan nella foto fermo immagine da YouTube)

“Cosa vi sta succedendo?”. Questa è la domanda che Yoana Gonen ha posto, nella sua recente rubrica su Haaretz, ai cosiddetti “militanti di sinistra” che hanno giurato di votare per l’ex primo ministro di destra di Israele, Naftali Bennett. Il fatto che esista una tale tendenza è sconcertante, ma la risposta alla domanda di Gonen è chiara. Ciò che sta accadendo a questi “militanti di sinistra” è la stessa cosa che sta accadendo a tutta la società israeliana: un profondo e accelerato scivolamento verso il fascismo.

A nove mesi dall’inizio di una guerra che non ha fine, la campagna di vendetta israeliana nella Striscia di Gaza, assediata, affamata e devastata, continua senza sosta. Questo nonostante il numero senza precedenti di vittime, il costo diplomatico significativo e i crimini di guerra di genocidio a Gaza, per i quali aleggiano mandati di arresto per il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant.

È molto difficile per una società bloccata in un continuo stato di trauma valutare o anche solo notare le trasformazioni che sta subendo in tempo reale. L’opinione pubblica israeliana si sta ancora riprendendo dallo shock del 7 ottobre e, mentre il mondo tiene gli occhi puntati su Gaza – e giustamente – l’attenzione degli israeliani rimane concentrata altrove: sugli ostaggi ancora intrappolati a Gaza e sui soldati uccisi lì, sulle persone evacuate dalle loro case nel nord e nel sud, sull’economia in frantumi e su una guerra nel nord che potrebbe scoppiare in qualsiasi momento.

Ma è impossibile ignorare come Israele abbia adottato un nuovo ethos nazionale sotto gli auspici di questa guerra – un ethos che abbandona completamente qualsiasi formalismo democratico a favore di valori fascisti.

Dall’inizio della guerra, la Knesset ha sfruttato il caos e la confusione del pubblico per promuovere una serie di leggi estremamente antidemocratiche. La “Legge sulla certificazione dell’IDF e dello Shin Bet” rende più facile per questi organismi penetrare nei computer privati utilizzati per gestire le telecamere a circuito chiuso e cancellare, alterare o distruggere i materiali in essi contenuti, all’insaputa del proprietario del computer e senza l’autorizzazione di un tribunale. Un recente emendamento alla “Legge sulla lotta al terrorismo” criminalizza il consumo prolungato di contenuti prodotti da Hamas o dall’ISIS, punibile con un anno di carcere.

La legge sui “Mi piace” mira a penalizzare il semplice atto di “apprezzare” i post sui social media che “incitano al terrore”, mentre un’altra proposta di legge amplierebbe la sorveglianza degli insegnanti da parte dello Shin Bet. A ciò si aggiunge la chiusura forzata degli uffici di Al Jazeera, che non ha fatto altro che aumentare la voglia dei ministri israeliani di promuovere una legge che permetta loro di chiudere i media israeliani senza alcuna limitazione.

Un’altra manifestazione particolarmente allarmante di questo scivolamento verso il fascismo è la trasformazione della polizia in un corpo di scagnozzi che serve quasi esclusivamente gli interessi del governo e della sua visione del mondo. Invece di proteggere i cittadini israeliani, la polizia sta reprimendo coloro che protestano contro il governo e la guerra – anche quelli che chiedono di riportare a casa gli ostaggi -, infliggendo anche orribili violenze ai manifestanti durante la detenzione e l’incarcerazione.

La polizia ha arrestato centinaia di cittadini palestinesi di Israele per aver espresso solidarietà con il loro popolo a Gaza, per essersi opposti alla guerra o per aver partecipato a proteste non violente. Lo spaventoso trattamento dei prigionieri e dei detenuti palestinesi è una categoria a sé stante, con prove sempre più agghiaccianti di ciò che avviene all’interno del centro di detenzione Sde Teiman e di altre strutture carcerarie.

Una trasformazione altrettanto preoccupante si sta verificando tra i cittadini comuni, che denunciano alle autorità i loro colleghi, vicini, compagni di classe, insegnanti e professori che hanno osato deviare dalla monolitica narrazione nazionale. Insegnanti come Meir Baruchin sono stati licenziati; la dottoressa Anat Matar ha dovuto affrontare una campagna spregevole contro di lei per aver elogiato il prigioniero palestinese Walid Daqqa; e l’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani sta proponendo una legge per imporre il licenziamento di qualsiasi accademico che metta in dubbio il carattere di Israele come “Stato ebraico e democratico”.

Gli esempi di dichiarazioni genocide da parte di funzionari eletti sono troppo numerosi per essere contati, ma molti di essi sono stati presentati dal Sudafrica nel suo caso di genocidio contro Israele all’Aia a gennaio. Più recentemente, il rabbino Eliyahu Mali – direttore di una scuola religiosa di Jaffa – ha suggerito a marzo che l’ebraismo impone di uccidere tutti i residenti di Gaza (la polizia ha raccomandato di chiudere il caso). E proprio il mese scorso, l’ex deputato del Likud Moshe Feiglin ha sostenuto che, come Hitler disse di non poter dormire finché un solo ebreo fosse rimasto nel mondo, così anche gli israeliani “non possono vivere in questo Paese se un solo islamico-nazista rimane a Gaza”.

Poi c’è il linguaggio esplicitamente fascista che è diventato parte del linguaggio quotidiano della maggior parte degli israeliani: gli appelli alla violenza genocida inondano i social network in ebraico, e le autorità israeliane non si oppongono e non muovono un dito per cercare di fermarli.

Un giorno – e chissà quanta distruzione e morte ci sarà ancora prima che arrivi questo giorno – la guerra finirà. La società israeliana emergerà più violenta, più nazionalista, più militarista e più apertamente fascista. Ma ora dobbiamo iniziare a prepararci a questo giorno costruendo un ampio fronte antifascista che possa frenare gli impulsi peggiori di questa nuova società e tracciare un percorso diverso.

Il centro-sinistra ebraico deve capire che ciò che è stato non può più essere. Il campo che ha reso un servizio formale all’idea di democrazia solo per stabilire più saldamente la supremazia ebraica tra il fiume e il mare è quasi del tutto scomparso dalla mappa politica. Non è certo all’altezza di guidare un fronte antifascista.

Non potrà essere guidato da Benny Gantz, il bellicoso generale che più volte ha salvato la carriera politica di Netanyahu e che si è unito al gabinetto di guerra del primo ministro in ottobre solo per lasciarlo in ritardo e senza alcun serio rimprovero. Non sarà guidato nemmeno da Yair Golan, nuovo presidente della fusione Labor-Meretz nota come “I Democratici” e astro nascente della sinistra sionista, che si è affrettato a precisare di essere pronto a sedersi a parlare con il Likud e Mansour Abbas, ma non con altri partiti arabi. E non sarà guidato da Yair Lapid, per il quale nemmeno Abbas è abbastanza buono per fare il ministro, e che respinge tutti i partiti palestinesi in blocco.

Il fronte antifascista che deve sorgere qui può essere guidato solo dai cittadini palestinesi – non solo perché nessun altro schieramento politico si avvicina al loro passato di lotta contro il fascismo israeliano, ma perché nessun altro ha una visione politica coerente, basata sui valori della democrazia sostanziale e della piena uguaglianza, come i cittadini palestinesi hanno articolato in varie piattaforme partitiche e dichiarazioni della società civile.

Oggi, dopo lo shock del 7 ottobre che ha sconvolto la società israeliana, i cittadini onesti si trovano di fronte a una scelta esistenziale. Possono continuare ad aggrapparsi all’idea di un Israele “ebraico e democratico”, un pericoloso inganno che maschera uno Stato etnocratico sempre più fascista. Oppure possono lottare per una democrazia sostanziale, senza la quale la società israeliana precipiterà inesorabilmente nell’abisso.