di Marcelo Caruso Azcárate* –
Pagine Esteri, 8 giugno 2021 –
“Lo sciopero nazionale continua e dobbiamo anzi rafforzarlo e ampliarlo con l’appoggio effettivo a tutti i punti e luoghi di resistenza, in considerazione dell’atteggiamento bellicoso del governo di Ivàn Duque che continua la sua offensiva fatta di repressione e di morte, determinando l’aumento del numero di assassinati, feriti e persone scomparse, calpestando i diritti umani dei manifestanti con i tentativi di impedire con la forza gli scioperi e le azioni di lotta, violenza che dimostra la crescita della lotta popolare”.
Comando Nacional de Paro (CNP), Bogotá, mayo 20 de 2021
Con il diffondersi, attraverso le reti sociali globali, delle notizie sugli esiti della ribellione popolare in Colombia, sulla brutale risposta istituzionale e sui possibili passi in avanti rispetto alla costituzione a breve di un tavolo di trattativa, è nato e persiste un dibattito tutt’ora aperto per comprendere quale sia lo sbocco dell’organizzazione e la sua leadership sociale e politica. Nulla a che vedere con un presupposto complotto della sinistra mondiale per segnare punti di avanzamento, in forma molecolare e clandestina, nella destrutturazione del capitalismo, così come affermato dalle destre.
In Colombia stiamo assistendo a un tipo di mobilitazione collettiva la cui guida sociale orizzontale, seppur non organica, presenta punti di avanzamento importanti nella propria articolazione.
Quelli che cercano di far crescere l’appello del Comando Nacional de Paro, CNP, composto dalle organizzazioni sindacali, dalle organizzazioni nazionali dei pensionati, dei contadini e dalle organizzazioni sociali, (articolazioni quasi tutte con un passato storico di lotte eroiche ma con un presente in costante declino sia in termini di forza d’azione che di autorevolezza), sono le persone più duramente colpite da un capitalismo selvaggio pronto a tutto pur di assicurare riproduzione del capitale; un capitalismo che ha violato il patto sociale. Questo arretramento ha portato una parte considerevole della leadership storica alla burocratizzazione, nonché all’incapacità di analizzare le dinamiche delle nuove forme di lavoro e della disoccupazione generate dalla deregolamentazione dell’economia di mercato.
Coloro che si ribellano oggi in Colombia e sono disposti a rischiare la vita di fronte alla repressione, sono i rappresentanti della generazione nata e cresciuta sotto il marchio della mondializzazione e finanziarizzazione del capitale, la quale, parafrasando Marx, non ha nulla da perdere all’infuori dell’emarginazione e della disoccupazione.
Chi attua la repressione esegue ordini precisi e fa crescere la cifra agghiacciante di assassinii (51), persone scomparse (più di 150), decine di donne torturate, abusate e violentate dalla polizia nazionale, come risulta dall’ultimo allarmante rapporto del CIDH – Commissione Interamericana dei diritti umani (organo autonomo della Organizzazione degli Stati Americari – ndr).
Gli autori di queste barbarie sono le élite della estrema destra, aiutate dal silenzio dei rappresentanti finanziari, delle banche e delle grandi imprese internazionali: questi attori hanno un ruolo determinante nell’impedire con tutti i mezzi la formazione di una forza popolare, radicata territorialmente, addirittura in grado di mettere in campo un progetto nazionale che guardi alla tornata elettorale del 2022 e che possa portare alla vittoria un governo progressista e di sinistra.
Nel dinamismo delle proteste il CNP è stato superato dalla migliore capacità di azione delle nuove generazioni, che hanno dato vita a presidi in quasi tutte le regioni rurali e nei quartieri popolari del Paese. Presidi che sono diventati spazi di dibattito quotidiano, luoghi in cui dare spazio all’arte, mense di comunità che funzionano grazie alla solidarietà della popolazione.
Di fronte a questa chiara dimostrazione di forza sociale, la direzione sindacale non ha potuto fare altro che riconoscere tale esperienza e integrarla al CNP, mantenendo le sue specifiche caratteristiche (per il 90% giovani e in gran parte donne). Data la grande capacità di mobilitazione e di coesione, molte sono le similitudini con le assemblee di quartiere del 2000-2001 in Argentina e le lotte giovanili in Cile.
Il risultato di questo rapporto conflittuale, che ha creato dibattito, ha portato il CPN a riconoscere l’esperienza informale, incorporandola nel suo spazio dirigenziale, riconoscendo i delegati di queste assemblee territoriali e accettando l’esigenza che tutto ciò che si negozia debba essere oggetto di confronto con la base, così come si legge nel documento inizialmente citato da questo articolo.
Per comprendere questi processi di esplosione sociale che attraversano il mondo nel contesto neoliberista globale, pur con le dovute differenze nazionali e territoriali, è necessario trovare i tratti comuni e particolari, le storie di resistenza e la diversità dei protagonisti. Come ebbe a dire 44 anni fa Felix Guattari, che affermava:
“La crisi economica globale ci mostra che la disoccupazione esistente nel mondo è un problema che va oltre il semplice stare ai margini della forza lavoro collettiva, creando così una nuova forma di emarginazione simile a quella degli studenti in Italia e Francia, quelli che, non potendo entrare nelle élite, costituiscono una sorta di sottoproletariato”. (Guattari, in Revolución molecular y lucha de clases. 1977, p.58).
“La prima di queste contraddizioni è che, accanto alle lotte dei lavoratori nei paesi capitalistici sviluppati, appaiono nuove lotte che generalmente non sono comprese dallo stato maggiore dei partiti e dei sindacati. Queste lotte includono, tra le tante, le lotte per l’emancipazione femminile, quelle dei disoccupati; quelli dei giovani che rifiutano il lavoro come lo conoscono, ad esempio quello dei giovani lavoratori italiani per un nuovo modo di vivere; lotte contro l’inquinamento nucleare e ambientale; contro un certo modello economico e culturale centralista; quelli che nascono da regioni completamente allagate ecologicamente, e le lotte delle “minoranze” sessuali che culminano nell’illegalità. Con alti e bassi sta prendendo forma un nuovo panorama politico, dove questo tipo di lotta non costituisce più un’avanguardia – una minoranza – (Guatari, 1977, p. 60 e 61). In Colombia, in coerenza con il pensiero neoliberista, si è assistito alla sempre più esacerbata esclusione di giovani e adulti dal mondo del lavoro, cosa che ha portato a ribellioni sociali con una grande varietà di soggetti territoriali che combinano l’azione alla formazione politica. E infatti, dopo oltre un mese dall’inizio della protesta, essa continua nonostante il protrarsi della brutale repressione. Le proteste evidenziano, però, anche la classica autoreferenzialità dei partiti di sinistra e delle direzioni sindacali, che si considerano avanguardie rivoluzionarie. Questo ha ostacolato la loro capacità di concepire un processo di unità collettiva finalizzato a costruire un Fronte Programmatico per l’Azione sociale e politica. E sebbene, recentemente, si sia concretizzato un Patto Storico intorno alla candidatura presidenziale di Gustavo Petro, tale sforzo non sembra andare oltre la dinamica elettorale.
Sarà dunque questo Patto Storico la nuova avanguardia, o sono, almeno transitoriamente, questi giovani e queste donne che guidano la protesta indignata, coloro che, in qualità di membri della prima linea della resistenza stanno determinando importanti sconfitte per il governo e i settori dell’imprenditoria che lo appoggia? Si criticano i fattori soggettivi ed emotivi che muovono l’azione di questi soggetti sociali, dimenticando che proprio questi furono i fattori che consentirono le grandi rivoluzioni; si sostiene la mancanza di una strategia di lungo periodo, come se le forze di sinistra invece ne avessero. Occorre chiaramente interrogarsi sui fattori che generano interazioni articolate tra le assemblee che si svolgono nei vari punti e la capacità di trasferire le azioni nei territori dove vi è meno fermento. Allo stesso tempo, occorre riflettere insieme a loro, e nel “disordine ordinato” delle loro azioni, su quale possa essere la capacità di resistenza e persistenza per diventare un “doppio potere” che riesca a mantenersi nel tempo. E sebbene non vi sia ancora la possibilità di trovare una risposta strategica chiara, spetta ai sindacati, partiti e gruppi di sinistra consultare questi nuovi attori che danno vitalità alla lotta di classe, per capire come sostenere i loro sforzi per rafforzare le strutture in costruzione e, insieme, riflettere sulle soluzioni trasformative alla crisi sistemica. Intanto, mentre i blocchi alle arterie stradali strategiche hanno paralizzato l’economia colombiana, e non c’è niente di più doloroso per il capitale, finanza compresa, si annunciano misure per tagliare diritti e libertà, con la giustificazione che questi blocchi violino i diritti umani, seppur consentono corridoi umanitari e il passaggio di generi alimentari e di necessità. Ma l’aumento della repressione e della violazione dei diritti dei manifestanti implicherà ulteriore benzina sul fuoco della rivolta sociale.
* Professore Universidad Colegio Mayor de Cundimarca, doctor en filosofia
Traduzione Gabriele Gesso