di Eliana Riva
Pagine Esteri, 28 luglio 2021 – La Tunisia attraversa ormai da anni una pesante crisi economica e di prospettive sociali che rende difficili le condizioni della popolazione e riduce le aspettative dei giovani sul proprio futuro.
Manifestazioni di protesta contro lo stato delle cose e la classe politica si sono tenute come ogni anno anche nel mese di gennaio 2020. Il Covid-19 ha peggiorato la crisi e la gestione della pandemia non è stata certo delle migliori: la Tunisia registra uno dei più alti tassi di mortalità su popolazione al mondo.
Le grandi attese di cambiamento nate dalle enormi e popolari mobilitazioni del 2011 hanno premiato il partito Ennahdha, di ispirazione islamica, e la sua nuova classe dirigente in discontinuità con i regimi del passato. Ma il processo di democratizzazione cominciato non ha trovato un percorso coerente e le politiche economiche dei governi che si sono succeduti, sia quelli legati al fronte islamico che quelli laici, sono state in perfetta continuità tra di loro e con il liberismo. La disillusione dei giovani e di gran parte della popolazione, che si aspettava tanto dalla Primavera Araba, ha portato allo sviluppo di un populismo disincantato sulla scia del quale, nel 2019 è stato eletto Kais Saied quale presidente della Repubblica, un’elezione plebiscitaria di un uomo al di fuori dei percorsi partitici, un tecnico non legato alla classe dirigente. Sono andati avanti per mesi, a colpi di rivendicazioni e pesanti accuse, gli scontri tra Saied e i rappresentanti di Ennahdha, il primo partito tunisino.
Prima di lunedì Saied, nelle sue dichiarazioni, aveva in qualche modo preannunciato la possibilità di una svolta estrema, dichiarando che la costituzione tunisina, nata nel 2014, è imperfetta perché causa una errata distribuzione dei poteri che porta allo stallo politico. Saied ha anche più volte accusato il partito Ennahdha di essere il responsabile della pesante crisi economica e dell’incapacità di affrontare la pandemia.
Domenica 25 luglio, festa della Repubblica in Tunisia, grandi manifestazioni hanno attraversato il Paese e a Tunisi le proteste si sono fermate sotto il parlamento, per chiedere le dimissioni del governo. I manifestanti hanno preso di mira anche le sedi del partito Ennahdha, che sono state in molti casi attaccate e occupate. Il giorno successivo, lunedì, il presidente della Repubblica ha annunciato, con l’applicazione dell’articolo 80 della Costituzione, la destituzione del primo ministro e la sospensione del parlamento, unendo nelle sue mani il potere esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario.
All’annuncio di Saied in molti hanno festeggiato. Ma in tanti rimangono invece con il fiato sospeso ad attendere le prossime mosse del presidente della Repubblica, che sole potranno dimostrare che non si tratti di un colpo di Stato e che sia reale la volontà di tornare alla via democratica.
Tra un mese la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi sull’applicazione da parte di Saied dell’articolo 80 della Costituzione che recita così: “Il Presidente della Repubblica, in caso di pericolo imminente che minacci l’integrità della Patria o la sicurezza e l’indipendenza del Paese, in modo tale da comportare l’impossibilità di continuare il normale funzionamento delle istituzioni statali, può adottare le misure rese necessarie dall’art. quella situazione eccezionale, dopo aver consultato il Primo Ministro e Presidente del Parlamento e informato il Presidente della Corte Costituzionale, per poi annunciare i provvedimenti in un comunicato rivolto al popolo. Queste misure devono mirare a garantire il ritorno al normale funzionamento delle istituzioni statali il prima possibile e il Parlamento è considerato in sessione permanente per tutto questo periodo. In questo caso, il Presidente della Repubblica non può sciogliere il Parlamento né presentare mozione di sfiducia contro il governo”. Tuttavia, il Presidente del Parlamento ha dichiarato di non essere stato informato da Saied sulle sue intenzioni, come specificato proprio nell’articolo 80 della Costituzione. Anzi, a quanto pare, già nella notte tra domenica e lunedì l’esercito gli ha impedito di raggiungere il suo ufficio. Inoltre, l’assenza della Corte Costituzionale (non ancora formata e nominata), che dovrebbe avere un ruolo centrale nel porre controllo e termine alle misure eccezionali adottate, rende il percorso ancora più oscuro e tortuoso.
Il Primo Ministro sospeso, l’impopolare Hichem Mechichi, ha dichiarato che accetterà una transizione pacifica e riconoscerà il nuovo premier che Saied vorrà nominare.
Il capo del partito Ennahdha, invece, presidente (ormai ex) del parlamento tunisino, Rached Ghannouchi, ha parlato di colpo di Stato ma ha chiesto ai suoi sostenitori di ritirarsi dalle strade e fermare le proteste, invitando poi Saied a percorrere la via del dialogo per risolvere la crisi politica. Ennahdha e i partiti che si oppongono a Saied hanno chiesto di indire il prima possibile nuove elezioni, per il bene della democrazia, e affermato che qualsiasi ritardo sarà letto come un pretesto per mantenere il regime autocratico.
I sindacati, da sempre protagonisti nella storia della Tunisia, hanno chiesto al presidente Saied di calendarizzare i prossimi passaggi per garantire in tempi idonei un’uscita dalla fase di emergenza e un ritorno alla democrazia.
Le 12 formazioni partitiche sono divise nel giudizio sulla decisione di Saied. Alcuni, circa la metà, hanno denunciato come illegittima la scelta. Altri, preferiscono rimanere in attesa oppure hanno apertamente offerto il proprio appoggio al presidente della Repubblica.
Kais Saied ha dichiarato di aver applicato l’articolo 80 della Costituzione per il bene del Paese ma ha poi anche ribadito che l’esercito risponderà con i proiettili a chiunque pensi di utilizzare la forza e le armi.
Oggi il ministro degli esteri tunisino ha fatto sapere di aver raggiunto telefonicamente i suoi omologhi europei ma anche la Turchia (storicamente legata al partito Ennahdha) e l’Alto commissariato per i diritti umani per rassicurarli su ciò che sta avvenendo e sul fatto che la transizione democratica ci sarà.
Intanto, le condizioni della popolazione sono sempre più complicate, i prezzi dei generi alimentari continuano a salire vertiginosamente, gli scioperi coinvolgono ormai tutti i settori lavorativi, c’è grande disoccupazione e i giovani fanno fatica persino a continuare gli studi.