Di Antonio Mazzeo* –
Pagine Esteri, 17 settembre 2021 – Parigi come Washington ed Emmanuel Macron annnuncia con un twitt l’ultimo atto di guerra francese in terra africana: “Adnan Abou Walid al Sahrawi, capo del gruppo terroristico ISIS-GS (Islamic State in the Greater Sahara) è stato neutralizzato. Questo è un altro grande successo nella nostra lotta contro i gruppi terroristici in Sahel. La nazione stanotte pensa a tutti i suoi eroi morti per la Francia nelle operazioni Serval e Barkhane, alle famiglie in lutto, a tutti i suoi feriti. Il loro sacrificio non è vano”. Top secret le unità francesi impiegate e le modalità con cui sarebbe avvenuta l’uccisione del leader del gruppo armato attivo dal 2015.
Figlio di una famiglia di commercianti rifugiata in un campo profughi saharawi in Algeria dopo l’occupazione marocchina del Sahara occidentale, nel novembre 2010 Abou Walid al Sahrawi si trasferì nel nord del Mali per unirsi ad un’unità combattente federata ad al-Qaeda in the Islamic Maghreb. L’anno successivo è tra i fondatori del Movimento per l’Unicità e la Jihad in Africa Occidentale (Mujao) che riuscì ad occupare per breve tempo la città maliana di Gao prima della controffensiva militare francese del febbraio 2013. Con un video diffuso in internet nel maggio 2015, al Sahraoui si dichiarò alleato di Abu Bakr al-Bahdadi, leader riconosciuto dell’ISIS in Iraq e Siria. Da allora è stato accusato dall’intelligence occidentale di essere il mandante di numerosi attentati contro obiettivi stranieri che gli jhadisti hanno compiuto nella cosiddetta zona dei “tre confini”, tra Niger, Mali e Burkina Faso.
“Egli è stato il responsabile di vigliacchi e sanguinosi attacchi contro civili e le forze sicurezza locali”, dichiara il portavoce della presidenza della repubblica francese. “Nell’agosto del 2020 al Sahrawi ordinò personalmente l’assassinio di sei operatori umanitari francesi, del loro autista e della guida che li accompagnava”. Contro il leader militare era stata messa una taglia di 5 milioni di dollari dall’amministrazione USA, dopo la morte in uno scontro a fuoco di quattro militari nei pressi del villaggio nigerino di Tongo Tongo, al confine con il Mali (4 ottobre 2019). Con l’operazione di giovedì 16 settembre, Macron ottiene un successo d’immagine proprio con Washington e con i partner europei corteggiati da tempo per unirsi – possibilmente sotto la bandiera bianca, rossa e blu – nella pericolosissima e dispendiosissima guerra francese contro le milizie jiadiste in Sahel.
Con l’Operation Barkhane, a partire del 2014 Parigi ha dislocato nell’Africa sub-sahariana un imponente dispositivo militare, composto oggi da 5.100 effettivi, una ventina tra cacciabombardieri e aerei da trasporto, 22 elicotteri, 290 blindati pesanti, 240 blindati leggeri e 380 mezzi logistici. Ad agosto lo Stato maggiore ha reso noto di voler ridimensionare il numero degli assetti schierati, trasferendo una parte degli interventi e relativi costi alla neo-costituita forza multinazionale (a guida francese) Task Force Takuba, a cui partecipa pure l’Italia. In verità più che di uno sganciamento si tratta di una revisione delle tattiche d’intervento bellico, con il crescente e spregiudicato utilizzo degli strike aerei e dei famigerati droni-killer, proprio come gli Stati Uniti hanno fatto e fanno in Afghanistan, Pakistan, Iraq e Somalia.
I primi bombardamenti dei droni francesi in Sahel risalgono a fine 2019: secondo un comunicato del ministero della difesa, il 21 dicembre, nel nord del Mali, un velivolo a pilotaggio remoto “Reaper” dell’Aeronautica lanciò un missile contro un gruppo di “estremisti islamici”, uccidendo sette persone. “I droni sono i protettori delle nostre truppe e sono efficaci contro i nostri nemici”, riporta la nota della difesa. Nelle stesse ore il presidente Emmanuel Macron si trovava in visita ufficiale nella confinante Costa d’Avorio.
La stampa specializzata in questioni militari ha riferito che la scorsa primavera le forze armate francesi hanno avviato nel deserto nigerino i test di lancio da un drone “Reaper” di ultima generazione delle bombe a guida laser GBU12 Paveway II da 500 libbre, armi micidiali già impiegate dalle forze USA e NATO in diversi contesti bellici. “Si tratta di una prima campagna sperimentale in un contesto operativo quale quello dell’Operation Barkhane contro i jihadisti nel Sahel, condotta dall’Armèe de l’Air sulla base aerea di Niamey (Niger)”, riporta Analisi Difesa. I “Reaper” possono volare sino a 13.000 metri d’altezza e con un’autonomia di volo sino a 20 ore, consentendo così alle truppe francesi di operare in un’area vastissima del continente africano.
*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).