di Eliana Riva
Pagine Esteri, 24 settembre 2021 – Save the Children ha pubblicato ieri un nuovo rapporto dal titolo “Quando comincerò a vivere? La necessità urgente di rimpatriare i bambini stranieri intrappolati nei campi di Al Hol e Roj” (When am I going to start to live?”: The urgent need to repatriate foreign children trapped in Al Hol and Roj Camps”), sulla situazione dei minori bloccati nei due campi profughi nel nord-est della Siria.
La stessa sopravvivenza per le persone che vivono nei campi profughi e che spesso si trovano lì per essere fuggiti all’ISIS, è messa in discussione. I bambini, in particolare, vivono in costante ed estremo pericolo, come dimostra l’impressionante numero di morti tra minori, omicidi, malattie, incidenti. Il rapporto di Save the Children specifica, numeri alla mano, i principali problemi di vita quotidiana e le situazioni che si affrontano ogni giorno all’interno dei campi:
- Malattie dovute alle situazioni igieniche, decessi causati da incendi, scarsa acqua e servizi igienici, malnutrizione e un sistema sanitario a malapena funzionante;
- Dall’inizio dell’anno nel campo di Al Hol sono stati 62 (circa 2 alla settimana) i bambini morti, per cause diverse;
- Solo il 40% dei bambini di Al Hol sta ricevendo un’istruzione;
- A Roj, il 55% delle famiglie ha riferito l’esistenza del lavoro minorile per i bambini di età inferiore agli 11 anni;
Con questo specifico rapporto, Save the Children si focalizza sui bambini con cittadinanza straniera che vivono all’interno di questi campi e che potrebbero, anzi dovrebbero essere immediatamente rimpatriati. “È più urgente che mai che i governi stranieri con cittadini ad Al Hol e Roj si assumano la propria responsabilità e riportino a casa i bambini e le loro famiglie”.
Il Regno Unito ha rimpatriato solo 4 bambini a fronte di circa 60 minori con cittadinanza inglese che sono rimasti all’interno dei campi. I bambini con cittadinanza francese sono invece almeno 320 e solo 35 sono stati rimpatriati da Parigi. La Germania, la Finlandia, il Belgio e altri paesi hanno invece completato il rimpatrio di madri e bambini dai campi profughi, dimostrando, dice l’organizzazione, che è possibile salvare vite umane quando c’è la volontà politica.
I bambini, intervistati da Save the Children, hanno tutti raccontato di non sentirsi al sicuro quando camminano per il campo, quando sono al mercato o usano i servizi igienici. Sono all’ordine del giorno omicidi, tentati omicidi, aggressioni e incendi dolosi.
Alcune delle esperienze raccolte dall’organizzazione:
- Maryam (il nome è stato cambiato), 11 anni, libanese, viveva nell’Annex Al Hol, uno spazio di appena 0,5 km2 per 8.800 persone, di cui 6.200 bambini. Nel maggio di quest’anno, Maryam* ha detto a Save the Children: “Non posso più sopportare questa vita. Non facciamo altro che aspettare”. Maryam è stata uccisa, sua madre ferita e suo fratello dichiarato disperso durante un tentativo di fuga nascosto in un camion dell’acqua.
- Bushra (il nome è stato cambiato), 10 anni, dalla Turchia, ha detto: “Ho paura di vivere nel campo. La gente qui continua a combattere. Chiudo le orecchie con le mani ogni volta che li sento litigare. Non permetto nemmeno a mia madre di uscire perché si prendono a coltellate. E poi giurano e si minacciano a vicenda, dicendo cose del tipo: “Ti strapperò la faccia, ti taglierò la testa”.
- Samiya (il nome è stato cambiato), una ragazzina di 11 anni del Tagikistan che vive da due anni nell’Annex di Al Hol con sua madre e quattro fratelli, ha raccontato a Save the Children di una sera di maggio di quest’anno quando ha visto un incendio distruggere o danneggiare 75 tende. Ha detto: “Abbiamo all’improvviso sentito voci di persone che urlavano. Nella nostra sezione era scoppiato un incendio. Le tende hanno cominciato a bruciare una dopo l’altra. Si sono sciolte completamente. Tutti i bambini scappavano, urlavano e piangevano […] Anche la nostra tenda è stata bruciata. I miei vestiti nuovi che mia madre aveva comprato per me si sono bruciati. I miei giocattoli e il nastro per capelli, tutti i dolci per l’Eid, tutto si è bruciato. Adesso dormiamo in cucina e aspettiamo la nostra nuova tenda”.
Anche a Roj il rischio di incendio rimane una minaccia costante. Nel 2020, tre bambini sono morti e due sono rimasti gravemente feriti in due diversi incidenti divampati a causa dei riscaldamenti.
Sonia Khush, direttrice di Save the Children’s Syria Response, ha dichiarato: “Questi bambini stanno vivendo eventi traumatici che nessun bambino dovrebbe affrontare – e tutto ciò dopo aver già vissuto anni in zone di conflitto. Non è accettabile che siano condannati a questa vita.
“È evidente che i governi semplicemente abbandonano i bambini, che sono prima di tutto vittime di conflitti. L’83% delle operazioni di rimpatrio è stato effettuato in Uzbekistan, Kosovo, Kazakistan e Russia. I restanti governi devono assumersi le proprie responsabilità e i propri obblighi, assumersi la responsabilità dei propri cittadini e rimpatriare i bambini con le proprie famiglie così come sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia.
“Ogni giorno che i bambini stranieri e le loro famiglie vivono nei campi è un altro giorno in cui sono stati abbandonati dai propri governi. Ogni giorno che viene loro negata l’opportunità di tornare a casa, negati i servizi di cui hanno disperatamente bisogno e negato loro il diritto di vivere in sicurezza e riprendersi dalle loro esperienze, è un giorno di troppo”.
Al Hol e Roj ospitano oltre 60.000 persone, di cui 40.000 bambini. Oltre ai cittadini siriani e iracheni, molti dei quali sono fuggiti dall’ISIS, ci sono donne e bambini provenienti da circa 60 altri Paesi in tutto il mondo, molti dei quali sono stati costretti a convivere con l’ISIS, sono in alcuni casi stati adescati o portati con la forza in Siria quando erano ancora molto piccoli.
“Save the Children chiede a tutti gli stati con cittadini minori in Siria di:
- Riconoscere e trattare i bambini principalmente come vittime della guerra, anche quelli che erano stati costretti ad unirsi all’ISIS;
- Rimpatriare i cittadini senza ulteriori ritardi e sostenere il loro reinserimento nel paese di origine;
- Garantire i diritti fondamentali e rispondere ai bisogni umanitari urgenti;
- Rilasciare i bambini detenuti arbitrariamente e riunirli alle loro famiglie;
- Impegnarsi per la non discriminazione e per la giustizia equa.
- Oltre al ritorno sicuro e dignitoso dei bambini e delle loro famiglie nei loro luoghi di origine, Save the Children chiede un’ampia risposta umanitaria nei campi, per soddisfare le esigenze dei bambini stranieri in attesa del rimpatrio, nonché per i bambini siriani che potrebbero rimanere nei campi per un po’ di tempo a venire.
Dal 2017 sono stati circa 1.163 i bambini rimpatriati e quasi il 59% di questi sono tornati a casa nel 2019. Nel corso del 2020 si è registrato un forte calo dei rimpatri. Al 3 settembre 2021, quest’anno sono stati effettuati circa 14 rimpatri.
L’interesse superiore del minore è uno dei quattro principi generali della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (CRC), sancito dall’articolo 3, paragrafo 1. Il Comitato sui diritti del fanciullo definisce la triplice natura del concetto: che è un diritto sostanziale dei bambini che il loro interesse superiore sia valutato e preso come considerazione primaria nel processo decisionale; un principio giuridico fondamentale, nel senso che in caso di ambiguità giuridica, qualsiasi disposizione dovrebbe essere letta in modo da soddisfare al meglio il loro interesse; e una regola della procedura in modo che tutto il processo decisionale debba includere una valutazione del possibile impatto di una decisione su un bambino o un gruppo di bambini”.