della redazione –
Pagine Esteri, 6 ottobre 2021 – Non convince le 28 famiglie palestinesi la proposta formulata dalla Corte Suprema israeliana per risolvere la disputa sulla proprietà di terreni e case a Sheikh Jarrah che lo scorso maggio ha incendiato Gerusalemme Est, la zona araba occupata da Israele nel 1967 e innescato scontri anche in Israele e in Cisgiordania oltre a un nuovo conflitto a Gaza tra Israele e il movimento islamico Hamas. Ieri la proposta è stata spiegata dagli avvocati alle famiglie, quattro delle quali sono minacciate di espulsione immediata, che hanno tempo fino al 2 novembre per esaminarla. Ma l’orientamento prevalente è di rifiutarla.
I giudici israeliani, pur offrendo condizioni in apparenza migliori ai palestinesi rispetto ad altre soluzioni rese note nelle settimane passate, comunque assegnano la proprietà delle case alla Nahalat Shimon, la società di estrema destra che rappresenta i coloni israeliani e che afferma di aver acquistato i terreni dove sono stati costruiti gli edifici dai discendenti degli ebrei che li possedevano prima della creazione di Israele nel 1948. Le famiglie palestinesi, profughe di guerra, vivono in quelle case dagli anni ’50 dopo averle formalmente ricevute dalle Nazioni Unite e dalla Giordania che in quel periodo aveva il controllo di Gerusalemme Est.
In sostanza la mediazione riconosce ai quattro nuclei familiari palestinesi a rischio immediato come «affittuari protetti» che potranno continuare a vivere nelle case per 15 anni. Ogni famiglia dovrà versare alla Nahalat Shimon il pagamento anticipato di un anno di affitto pari a 2400 shekel (circa 640 euro). Inoltre potrà riparare, ristrutturare e modificare gli interni della propria casa in qualsiasi momento, senza bisogno dell’approvazione della Nahalat Shimon che però è riconosciuta proprietaria dei terreni in cui si trovano le case. I palestinesi dopo 15 anni potranno avviare un nuovo ricorso legale ma la Corte suprema in ogni caso ha già dato le loro case ai coloni. La soluzione, in sostanza, punta a rinviare nel tempo il contenzioso senza affrontare sulla base del diritto internazionale l’intera questione di Sheikh Jarrah che era e resta di natura politica.
Gli abitanti palestinesi intanto raccontano della loro esistenza condizionata dalla perenne minaccia di espulsione e di come siano imprigionati nelle proprie case sotto costante controllo israeliano e con limitazione dei movimenti. Non possono ricevere visite perché la polizia nega l’ingresso ai non residenti. Lo scorso 16 maggio, quando un palestinese travolse con la sua auto una postazione della polizia, sono stati posizionati blocchi di cemento armato in tre punti intorno al quartiere da allora presidiati da ingenti forze di sicurezza. Gli abitanti palestinesi devono mostrare la carta d’identità anche quando hanno solo bisogno di andare al vicino supermercato. “I posti di sicurezza permanenti hanno trasformato le nostre vite in un inferno” racconta a Pagine Esteri Yacoub, un residente “siamo prigionieri nella nostra stessa casa e soggetti a tante domande da parte dei poliziotti, proprio come un interrogatorio, ogni volta che dobbiamo uscire o entrare. Ma non ci arrendiamo e non rinunciamo alle nostre case”. Pagine Esteri