di Michele Giorgio –

«La storia di re Davide e le radici della sua dinastia sono qui, tra questi scavi, tra queste pietre. La storia di re Davide è quella di Gerusalemme e di Israele, da tremila anni fa fino ai nostri giorni». La guida, un giovane sulla trentina, sorride, accompagna la sua narrazione con movimenti lenti della testa e delle mani rivolgendosi a un gruppo di turisti seduti sugli spalti che si affacciano sugli scavi. La vista dal “Parco archeologico della Città di Davide” è mozzafiato. In alto si scorgono le mura antiche di Gerusalemme con le cupole delle moschee di Al Aqsa e della Roccia, il terzo luogo santo dell’Islam e, secondo la tradizione ebraica, l’area del biblico Tempio. Di fronte, ad est, dominano il Monte degli Ulivi e l’antico cimitero ebraico. In basso c’è la piscina di Shiloah. La giovane guida, come i suoi colleghi, abbina costantemente archeologia e narrazione delle gesta di re Davide e di eroici combattenti ebrei lanciati alla conquista di Gerusalemme e poi nella difesa della città. Un mix che si può ascoltare anche nei filmati descrittivi disponibili nel parco, visitato ogni anno prima della pandemia da mezzo milione di turisti e gestito interamente, con l’approvazione delle autorità comunali e governative, dalla Elad, società del movimento dei coloni israeliani insediati nella zona araba di Gerusalemme, occupata nel 1967. Guide turistiche e filmati rendono invisibile una presenza ben evidente ma che “stona” all’interno della narrazione ufficiale del luogo: le centinaia e centinaia di case palestinesi del quartiere di Silwan, che avvolgono il “sito archeologico”. Abitazioni che a decine rischiano di essere demolite o confiscate ai loro proprietari palestinesi per far posto ai coloni israeliani.

L’ex ambasciatore Usa Friedman e l’inviato di Trump Greenblatt nel tunnel sotto Silwan

Nella “Città di Davide” non c’è spazio per una storia più articolata. Il resoconto offerto tra leggenda e storia è dominante. Qui il racconto biblico è una verità assoluta, guai a sollevare dubbi perché è considerato una sorta trattato di politica internazionale, di fatto accreditato e firmato anche dagli Stati uniti. L’ex ambasciatore Usa in Israele, David Friedman, partecipando nell’estate di due anni fa alla cerimonia di inaugurazione, nell’area della “Città di Davide”, quella della cosiddetta Via del Pellegrinaggio, il percorso che anticamente avrebbe collegato la piscina di Siloam al Monte del Tempio, ha dichiarato perentorio che «Essa porta alla luce la verità storica di quel periodo cruciale della storia ebraica. La pace tra Israele e palestinesi deve basarsi su un fondamento di verità. La Città di David contribuisce al nostro obiettivo collettivo di perseguire una soluzione fondata sulla verità. È importante per tutte le parti coinvolte nel conflitto». Friedman vuole che «la verità» emerga. La sua verità ovviamente, che è quella dei coloni e di coloro che usano l’archeologia biblica per fini politici e per negare i diritti dei palestinesi.

Sul racconto biblico si fonda il programma politico di diversi partiti israeliani sionisti religiosi. Come Yemina, guidato dal primo ministro Naftali Bennett e dalla sua fedele scudiera e ministra dell’interno Ayelet Shaked. Occorre ricordare che non pochi dei laici fondatori di Israele e alcuni dei primi leader dello Stato ebraico sono stati archeologi con evidenti finalità politiche. Il più noto di una lunga lista di nomi è quello di Moshe Dayan.

Ma re Davide è davvero esistito, le vicende che gli vengono attribuite sono realmente avvenute? E più di tutto, ha davvero vissuto ed esercitato il suo potere nell’area del quartiere di Silwan, tra le pietre della “Città di Davide” allestita dai coloni? «In quell’area hanno scavato famosi archeologi del passato e scavano quelli del presente ma la prova della presenza di re Davide non è mai stata trovata», spiega l’archeologo Yonathan Mizrachi, di Emek Shaveh, una ong israeliana che si oppone a chi usa le rovine del passato come uno strumento politico e per confiscare case palestinesi. «Per prove – aggiunge Mizrachi – intendiamo ritrovamenti materiali e iscrizioni che attestino l’esistenza della tomba o del palazzo di re Davide o che siano inequivocabilmente riconducibili a lui. L’era di re Davide, sulla base della Bibbia, è indicata nel X secolo a.C. ma non si è trovato molto di quell’epoca (nel sito della “Città di Davide”). I ritrovamenti annunciati da alcuni archeologi sono controversi. Un interrogativo grava su tutto ciò che riguarda Gerusalemme ai tempi di re Davide. Quanto fosse grande e quale funzione avesse la città in quel periodo da un punto di archeologico e dei fondamentali di storia, è un’area grigia che non ci permette di affermare nulla con certezza».

Profondi dubbi sulla credibilità storica del racconto biblico vengano sollevati da anni dal professore Israel Finkelstein, archeologo israeliano di fama mondiale (alcuni dei suoi libri sono stati tradotti in italiano). Pur non facendo parte della corrente minimalista, che colloca la composizione della Bibbia nel periodo del rientro degli ebrei dalla Babilonia, il docente sostiene che gran parte di ciò che si legge nel testo sacro è stato scritto tra il VII e il V secolo a.C. e che Gerusalemme nel X secolo a.C. era solo un villaggio o un centro tribale. Non solo. Finkelstein afferma che Davide e Salomone, considerati il seme della civiltà occidentale e spina dorsale della storia antica ebraica, se sono realmente esistiti dovevano essere ben diversi dai personaggi che hanno ispirato scultori, pittori, scrittori, poeti. Davide, sostiene Finkelstein, era a capo di una minuscola e invivibile Gerusalemme. Lui e il suo successore furono trasformati in potenti re e simboli di speranza dagli ebrei nei secoli successivi. «La loro storia è stata scritta in Giudea – ha dichiarato il docente in una intervista di qualche anno fa al quotidiano Yediot Ahronot – per giustificare il dominio su un gran numero di rifugiati arrivati lì dopo la distruzione del Tempio».

Tesi respinta dai coloni e dal faro dell’archeologia biblica Eilat Mazar (deceduta di recente). Il 4 agosto 2005 Mazar, per la gioia degli ultranazionalisti, annunciò di aver scoperto nel sito di Silwan il presunto palazzo del re Davide, un edificio, disse, risalente al X secolo a.C. Nel 2010 proclamò di aver individuato le presunte antiche mura della città di Davide. Scoperte smentite, per scarsità di prove, da specialisti israeliani e stranieri che accusavano la Mazar di credere che la Bibbia sia storia vera dalla prima all’ultima parola. Per la Elad e il movimento dei coloni invece quelle scoperte legittimano le occupazioni di case palestinesi a Silwan cominciate all’inizio degli anni ’90 e l’espansione continua del sito archeologico e il proseguimento degli scavi. Lavori in gran parte sotterranei che, denunciano i palestinesi, mettono a rischio la stabilità delle loro case. Ma le loro voci restano inascoltate.

«Il momento è delicato – spiega Yonathan Mizrachi –  determinate forze politiche spingono per accelerare i progetti di esproprio e di demolizione di case palestinesi nelle aree archeologiche e con essi i piani per una possibile futura spartizione con i musulmani della Spianata delle moschee di Gerusalemme, allo scopo di ricostruire il Tempio ebraico». Pagine Esteri