di Davide Matrone*

Pagine Esteri, 29 novembre 2021 – “Non sono i 30 pesos ma i 30 anni di neoliberismo”. Con questo slogan cominció la sollevazione popolare in Cile nell’ottobre del 2019 con la protesta degli studenti delle scuole medie e superiori che rifiutarono energicamente l’aumento ingiustificato del biglietto della metropolitana da 800 a 830 pesos cileni (+3.75%) da un giorno all’altro. La metropolitana in Cile è statale, tuttavia è sempre stata gestita come se fosse privata e gli aumenti incontrollati erano all’ordine del giorno. Gli studenti da quel 6 ottobre del 2019, organizzarono evasioni massicce per non pagare la metropolitana saltando i tornigli al grido, “evadir, no pagar otra forma de luchar”. Le affermazioni dell’allora Presidente della Metropolitana, Louis de Grange accesero ancor di più la miccia criminalizzando e reprimendo con forza la protesta. Ai giovani in poche ore e giorni si sommarono ben presto i lavoratori e le lavoratrici, gli abitanti dei quartieri popolari della capitale che, stanchi degli abusi e sopprusi subiti da una classe dirigente arrogante e sorda, cominciarono a occupare il suolo pubblico. La protesta rapidamente si estese in tutto il paese e durò oltre 6 mesi, fino al marzo del 2020 quando giunse la pandemia. In questa immensa protesta incontrollata e senza direzione politica si unirono tre fattori: 1) la fame generata dalle politiche neoliberiste che non distribuirono in modo ugualitario in 30 anni di “democrazia” le risorse e gli ingressi del paese, 2) la presenza delle delinquenza comune e spiccia frutto del fallimento delle politiche esclusive ed escudenti del paradigma cileno e infine, 3) gli opportunisti del sottoproletariato che saccheggiando negozi e centri commerciali, evidenziavano il problema del caro vita. In definitiva, le tre componenti che resero chiaro il fracasso di un modello venduto bene da una strategia comunicativa efficiente ma fasulla.

Il Cile del miracolo economico si era sgretolato in poche ore e sotto gli occhi di tutto il mondo. I rapporti della CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi) denunciavano da anni, nel silenzio mediatico, le abnormi disuguaglianze economiche e sociali esistenti nel paese. Solo due anni prima della rivolta, secondo i rapporti della CEPAL, il Cile occupava il 2° posto in termini di disuguaglianze economiche e sociali tra i 35 paesi dell’OCDE (Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico). I guadagni del 10% della popolazione più ricca del paese erano quasi 30 volte maggiori di quelli del settore più povero della popolazione, che per l’82% riceveva pensioni inferiori a un salario base. Inoltre, le privatizzazioni trentennali nel campo della salute, dell’educaziome, dell’acqua e dell’energia elettrica avevano creato un sistema di indebitamento collettivo che soffocava e continua a soffocare il popolo cileno.

La “caduta” di Pinochet non aveva garantito grandi trasformazioni nel campo politico. Dal 1990 si costituisce un patto tra il Pinochettismo e una sinistra venduta al Consenso di Washington che in cambio di legittimità politica, copriva le spalle alla ex dittatura travestita da democrazia. Inoltre, nonostante l’apparente ritorno alla “democrazia” era ancora in piedi la costituzione di Pinochet promulgata nel 1980  e centrata sul paradigma neoliberista. Le oceaniche proteste del 2019 e 2020 portarono, tra le altre cose, all’annuncio di una riscrittura della nuova Carta Magna del Cile non più basata sull’esclusione. Le elezioni del giugno 2021 registrarono una prima vittoria del popolo cileno: l’insediamento della Convezione Costituente, a maggioranza composta da rappresentanti del movimento di piazza con la Presidenza a Elisa Loncón donna della nazionalità Mapuche. Nonostante questo enorme passo in avanti del popolo cileno, nelle ultime elezioni dello scorso 21 novembre si registra la vittoria al primo turno del candidato dell’ex presidente di destra Piñera erede del Pinochetismo.

Gabriel Boric e José Antonio Kast si sfideranno al ballottaggio

Per capirne di più, ho conversato con l’analista politico cileno Leonardo Ogaz sugli ultimi risultati elettorali.

 

Qual è una tua prima analisi dei risultati del voto?

A mio avviso, il fattore determinante è stato l’astensionismo che ha favorito la destra e non il candidato della sinistra. Ha votato solo il 47.34% della popolazione e il restante 52.66% è rimasto a casa. A non votare è stato il popolo della grande sollevazione del 2019/2020. Ricordiamo che nel giugno passato, alle elezioni della Convenzione Costituente, incaricata di scrivere la Nuova Carta Magna del paese sotterrando quella di Pinochet del 1980, il popolo si era espresso chiaramente a favore dei candidati della sinistra, del centro-sinistra, dei popoli originari e dei movimenti sociali che insieme avevano ottenuto ben 118 assembleisti sui 155. In queste elezioni presidenziali di novembre non c’era nessun candidato che fosse espressione del voto dello scorso giugno. Per questo motivo, l’alta astensione. Inoltre, non dimentichiamo che il candidato del centro-sinistra, Gabriel Boric, fu l’unico parlamentare del Frente Amplio che pattuì nel 2019/2020 con Piñera la pace dopo la grande crisi sociale ed economica.

Boric, però ha vinto le primarie del centro – sinistra. Come te la spieghi?

In Cile c’è un anti-socialismo ancora forte all’interno di una buona parte del tessuto sociale del paese. Boris si era presentato come candidato del Frente Amplio per le primarie del centro-sinistra contro il candidato Daniel Jadue della coalizione Cile Degno e componente del partito comunista cileno. Boric nelle primarie ha raccolto ancheil voto di una parte dei settori conservatori e reazionari del paese purché non vincesse il cadidato Jadue, considerato troppo estremista. Nella città di Santiago di Cile, nei quartieri in cui vivono ultra ricchi, come Las Condes, San Miguel e La Providencia, Boric ha raccolto una parte dell’elettorato della destra che strategicamente l’ha scelto come sfidante per le presidenziali. Per i conservatori, meglio un socialista moderato e riformista che un  membro del Partito Comunista di origine palestinese e fedele alleato dei movimenti sociali e popolari del paese.

Cosa dovrebbe fare Boric per sorpassare il cadidato della destra José Antonio Kast?

A mio avviso, rendere prioritari i temi quali le disuguaglianze economiche e sociali, la difesa e l’incremento del lavoro, quelli dell’ambiente e non centrarsi sulle tematiche tanto care alla destra, come l’insicurezza e l’immigrazione. Alla fine, tra l’originale e il falso l’elettorato sceglie il primo. Inoltre, dovrebbe dialogare e connettersi con il popolo della piazza dello scorso ottobre che a queste elezioni gli ha voltato la faccia. La destra ha migliori possibilità di vincere al ballottaggio perchè si compatterà. Per Boric sarà molto arduo il recupero.

Il candidato Franco Parisi ha ottenuto quasi il 13% dei voti rappresentando la grande sorpresa di queste elezioni. Cosa ne pensi?

Sì, la sua è senza dubbio la sorpesa di queste elezioni, anche se nelle precedenti aveva già raccolto un buon consenso elettorale, intorno al 10%. Parisi non ha partecipato attivamente, non è stato presente nemmeno nel paese durante la campagna elettorale in quanto a Miami. Ha fondato il partito della gente ed ha conquistato quasi 1 milione di voti facendo campagna elettorale attraverso le reti social come Facebook, Tik Tok, Instagram e Twitter. Il suo elettorato ha caratteristiche precise: giovane, ricco e della zona nord del paese a confine con la Bolivia e il Perù. Il suo programma elettorale è populista e si colloca più a destra di Kast. Tra i punti più importanti del suo programma c’è la lotta all’emigrazione peruviana e boliviana dalla frontiera nord del paese e ha incrementato un discorso molto reazionario basato sulle applicazioni di misure repressive contro la delinquenza. Al momento, non si è ancora espresso sul ballottaggio. Sulle intenzioni dovrebbe appoggiare il candidato della destra pinochettista, José Antonio Kast.

Cosa succederà con la nuova Costituzione? Quali sono gli scenari?

Kast farà il possibile, a mio avviso, per ostacolare l’applicazione della nuova Carta Magna, molto più  progressista rispetto a quella del 1980. Cercherà in tutti i modi di renderne inutile l’esistenza. Invece, con Boric qualcosa verrebbe messo in atto e potrebbe registrarsi un cambiamento interessante.

 

*Davide Matrone, docente e ricercatore di analisi politica all’Università Politecnica Salesiana di Quito, Ecuador. Blogger e politologo.