di Patrizia Zanelli* –
Pagine Esteri, 1 dicembre 2021 – Nel gennaio del 1959, l’opposizione di sinistra egiziana veniva colpita da un’ampia campagna di arresti. Tra le vittime del regime nasseriano c’era anche l’allora ventunenne Sonallah Ibrahim, uno degli scrittori più famosi e autobiografici dell’Egitto e del mondo arabo, che ricorda quell’evento del passato nel suo settimo romanzo, Warda, del 2000, pubblicato in traduzione italiana da Ilisso nel 2005.
Rushdi, protagonista e narratore del racconto, milita nel movimento comunista egiziano e, dopo essere stato arrestato appunto nel ‘59, non sa più nulla di due amici omaniti. Aveva conosciuto Ya‘rub e la sorella Shahla, mentre studiavano al Cairo, e si ricorda di loro alla fine del 1992, quando va in Oman a trovare un cugino immigrato nel ricco Sultanato petrolifero. Rushdi è ormai uno scrittore affermato e a pochi giorni dall’arrivo a Mascate viene intercettato da un misterioso omanita che gli consegna il primo quaderno del diario di Warda, nome di battaglia di Shahla, e gli chiede di leggerlo per scoprire che fine avesse fatto quella mitica eroina della Rivoluzione del Dhofar. Così, per il protagonista, un semplice viaggio di piacere si trasforma in un tuffo nel passato, un’avventurosa ricerca della donna di cui si era innamorato da giovane e che continuava ad apparirgli in sogno. E come dimenticarla?!
La protagonista è bella, perspicace, coraggiosa e piena di voglia di libertà. Nel 1960, lascia il Cairo per andare a studiare medicina all’Università Americana di Beirut. Nella capitale libanese comincia a tenere un diario in cui ricorda le sue esperienze sia personali sia politiche, tra cui gli incontri con certi compagni borghesi e maschilisti. Lei ama soprattutto i caffè di al-Hamra. “Grandi raduni in cui si discute di tutto. Frenetica attività di traduzione. Poesie di Nàzim Hikmat e di Majakovskij. Il rock ed Elvis Presley. Film di Truffaut e Godard […] Psycho di Hitchcock. Impressionante. Non vedo l’ora di vedere La dolce vita di Fellini”. A un certo punto, lascia medicina per iscriversi a scienze politiche. Studia meglio la storia e le teorie del socialismo, consultando anche testi di Che Guevara che diventa il suo vero modello. Nel diario, infatti, lei annota gli sviluppi dei movimenti rivoluzionari di sinistra non solo del mondo arabo, ma del globo intero da Cuba al Vietnam.
In Libano segue un durissimo corso di addestramento militare e si rende subito conto della difficoltà di confrontarsi con gli uomini in un campo tradizionalmente precluso alle donne. La giovane entra nel Fronte di Liberazione del Dhofar, fondato nel 1962 e che lotta per l’indipendenza della regione dal Sultanato di Mascate e Oman. L’Inghilterra appoggia il sultano Sa‘īd bin Taymūr, un ultraconservatore al potere dal 1932, mentre lo Yemen del Sud e l’Egitto di Nasser sostengono la nuova organizzazione indipendentista formata da elementi tribali e da militanti marxisti-leninisti.
Nel 1965, Warda va nei monti del Dhofar, dove diventa il capo di una brigata della guerriglia a cui parteciperanno altre donne. Nelle zone conquistate il Fronte applica sia il marxismo-leninismo sia i principi del femminismo: parità di genere in tutti i campi, incluso il diritto al divorzio, abolizione della poligamia e campagna di sensibilizzazione contro le mutilazioni sessuali femminili. Warda abbandonerà l’attività armata per dedicarsi all’istruzione soprattutto di donne e bambine. S’innamora di un compagno da cui avrà una figlia. Wa‘d è ormai una bellissima diciottenne quando consegna a Rushdi gli ultimi quaderni del diario di Warda. Altro incontro pieno di sorprese durante un viaggio che avviene dopo la crisi del Golfo del 1990-1991, prima guerra dell’era post-ideologica.
Nel romanzo, Sonallah Ibrahim rileva le contraddizioni della sinistra araba per spiegarne il fallimento, e parallelamente denuncia gli effetti dell’unipolarismo statunitense e del neoliberismo globalizzato sul Vicino Oriente. Rushdi osserva la modernizzazione parziale e deturpata avvenuta in Oman dopo il colpo di Stato del 1970 e l’ascesa al potere del sultano Qābūs che allora aveva avviato una serie di riforme socioeconomiche per guadagnare il consenso popolare e lanciato contro i ribelli del Dhofar non solo una feroce campagna militare ma anche un’efficace propaganda anti-comunista e anti-femminista, riuscendo a soffocare la rivoluzione nel 1976.
L’autore si è basato su varie fonti storiche per creare questo testo ricco di citazioni, in cui confonde realtà e fantasia per unire il passato e il presente. Significativi in tal senso sono i nomi della protagonista del racconto e di sua figlia: Warda significa “rosa” (fiore simbolo dell’amore per eccellenza), e Wa‘d “promessa”. Dunque, un passato promettente messo a confronto con un presente deludente; gli ideali rivoluzionari degli anni ’60 contrapposti al conservatorismo della fine del XX secolo; eroine ed eroi invece dell’anti-eroe tipico della produzione di Sonallah Ibrahim, esordito in campo letterario con Tilka al-Rā’iḥa (Quell’odore, 1966), un romanzo di denuncia contro la detenzione politica. Da allora lo scrittore è noto per lo stile asciutto, talvolta crudo e sempre provocatorio delle sue opere narrative.
Riguardo a Warda, va aggiunto che quando il testo comparve nel 2000, l’Egitto era in subbuglio per le proteste islamiste contro la ripubblicazione di un romanzo definito “blasfemo” da un giornalista dei Fratelli Musulmani: Walīma li-a‘šāb al-baḥr (Un banchetto per le alghe, 1983) dell’autore siriano Haydar Haydar (n. 1936). Il ministero della Cultura egiziano bandì il libro, scatenando le contestazioni di vari intellettuali laici. In quella situazione tumultuosa Warda non ricevette l’attenzione meritata. Nel romanzo, infatti, Sonallah Ibrahim descrive i paesaggi e gli stati emotivi dei protagonisti con un’inedita poeticità, regalandoci, a parere di molti, le pagine più belle che abbia mai scritto. Ma in questo decimo anniversario della primavera araba non si può concludere una recensione di Warda, senza ricordare una frase pronunciata dall’autore appunto nel 2011:
“Una rivoluzione è un progetto”.
Altri romanzi di Sonallah Ibrahim tradotti in italiano: Quell’odore (De Martinis & C., 1994); La commissione (Jouvence, 2003); Le stagioni di Zhat (Calabuig, 2015). Pagine Esteri
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Oltre a Warda ha tradotto diverse altre opere letterarie, tra cui la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad e il romanzo Memorie di una gallina (Istituto per l’Oriente “C.A. Nallino”, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī.