di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 25 febbraio 2022 – Non avrà sovranità reale l’«entità» palestinese, non uno Stato, che forse sorgerà un giorno in porzioni di Cisgiordania, almeno nell’idea che il ministro della difesa israeliano Gantz ha enunciato l’altro giorno alla conferenza di Monaco. Quell’«entità» palestinese – aggiungiamo noi – sarà un insieme di piccoli cantoni e probabilmente ospiterà un casinò al quale potranno accedere solo gli israeliani e gli stranieri. I palestinesi hanno già un casinò, l’Oasis, all’ingresso di Gerico, nella Valle del Giordano. Ma è chiuso dalla fine del 2000. Ed è a quello che si è riferito nei giorni scorsi Nir Dvory, corrispondente per gli affari militari della tv israeliana Canale 12, quando ha rivelato che sono in corso delle «ricognizioni», con l’ingresso di gruppi di turisti israeliani a Gerico in coordinamento con l’esercito e i servizi di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Al termine dei «test», l’intelligence militare valuterà se permettere agli israeliani di entrare a Gerico e di tornare a giocare nel Casinò dopo 22 anni.
Perché proprio ora si torna a parlare di quel casinò? La ragione è semplice. All’Anp con le casse vuote servono disperatamente fondi. Inoltre, in linea con la «pace economica» (in sostituzione di quella politica) con i palestinesi che ispira il governo di Natfali Bennett, l’Oasis è una soluzione che soddisfa chi vuole far cassa e chi vuole giocare. Nello Stato ebraico il gioco d’azzardo è vietato ma gli israeliani amano roulette, blackjack, chemin de fer e slot machine e a Gerico potrebbero alimentare a pochi chilometri da casa una passione che ora possono sfogare solo all’estero. «Il casinò di Gerico è amato dagli israeliani – ha spiegato Nir Dvory nel suo servizio – gli apparati di sicurezza tuttavia esitano. L’Anp però fa molte pressioni per riaprirlo perché garantisce un sacco di soldi». Le autorità palestinesi tacciono sull’indiscrezione giunta da Israele. In ogni caso la voce a Ramallah gira da tempo e qualcosa di concreto deve esserci.
L’Oasis, con un pizzico di Las Vegas e una spruzzata di Abu Dhabi, aprì nel 1998 grazie al primo grande investimento privato internazionale (50 milioni di dollari) nella Cisgiordania palestinese sotto occupazione. E dal 1998 al 2000 generò ingenti introiti – si parlò di incassi per quasi due milioni di dollari al giorno –, a vantaggio della società Casinò Austria che lo gestiva, dell’Anp e di una serie di personaggi, palestinesi e israeliani, interessati ad accumulare ricchezze approfittando delle illusioni create di fallimentari Accordi di Oslo firmati da Israele e Olp nel 1993 e sfociati sette anni dopo nella seconda Intifada. Tra i nomi più chiacchierati legati alla storia dell’Oasis ci sono quelli di Mohammed Dahlan, allora capo della sicurezza preventiva e ora reietto della politica palestinese, di Mohammed Rashid (noto anche come Khaled Salam) «architetto» delle finanze occulte dell’Anp; e un «uomo d’affari» israeliano di origine irachena, Ovadia Koko il cui ruolo nel casinò non è mai stato chiarito del tutto.
Dovesse riaprire, l’Oasis avrà ancora di fronte un misero campo profughi palestinese abitato da 25mila rifugiati. E dovrà fare i conti con Gerico dove la popolazione, oggi come allora, disapprova il gioco d’azzardo per motivi religiosi e che non riceverà alcun beneficio economico dalla presenza del casinò. Come nel 1998 migliaia di israeliani desiderosi di puntare al tavolo verde arriveranno in autobus, giocheranno e torneranno a casa senza entrare nella città palestinese. Pagine Esteri