di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 10 marzo 2022 – Mentre il ministro degli Esteri Wang Yi, riferendosi agli accordi Quad e Aukus, affermava che «Il vero scopo della strategia degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico è di creare una Nato asiatica» il suo portavoce Zhao Lijian, nel corso del briefing quotidiano, accusava: «Le azioni della Nato hanno portato le tensioni tra Russia e Ucraina ad un punto di non ritorno». «Pechino adotterà tutte le misure necessarie per difendere risolutamente i diritti delle aziende e delle entità cinesi» ha chiarito Lijian dopo aver avvisato che il suo governo «contesta fermamente il ricorso a sanzioni unilaterali prive di fondamento nel diritto internazionale e continuerà ad intrattenere una cooperazione energetica e commerciale con la Russia all’insegna del rispetto reciproco e del mutuo vantaggio». Il ricorso alle sanzioni «non garantirà mai pace e sicurezza, ma creerà soltanto serie difficoltà all’economia e alla sussistenza della popolazione dei Paesi e delle regioni interessate» ha sottolineato il dirigente di Pechino.
La dura presa di posizione della Repubblica Popolare segue di alcune ore l’annuncio, da parte della Casa Bianca, dello stop alle importazioni di gas e petrolio dalla Russia e la minaccia di sanzionare le aziende cinesi che violeranno le misure punitive imposte finora a Mosca.
Il giorno prima, Pechino aveva utilizzato toni assai più concilianti, affermando di apprezzare i tentativi di mediazione di Francia e Germania e di essere disponibile a mantenere aperta la comunicazione con Parigi e Berlino per «svolgere un ruolo attivo con la comunità internazionale secondo le esigenze di tutte le parti interessate». La Cina aveva anche presentato un’iniziativa in sei punti sulla situazione umanitaria in Ucraina dicendosi disponibile «a fornire ulteriori aiuti umanitari al paese».
L’invasione preoccupa la Cina
Man mano che cresce la tensione tra l’Alleanza Atlantica e Mosca, risulta sempre più difficile per Pechino mantenere il ruolo di mediazione che il gigante asiatico ha scelto di intraprendere per tentare di spegnere un incendio che rischia di dilagare mettendo a rischio i suoi interessi e le sue strategie.
Pechino continua a difendere la globalizzazione economica – attaccata dal protezionismo di Washington – e a perseguire la crescita del suo mercato interno e delle sue relazioni economiche con il resto del mondo. Sul piano militare non può ancora neanche lontanamente competere con le due superpotenze nucleari, ma sul piano economico continua a scalare posizioni, a conquistare mercati e ad estendere la propria influenza in Asia, in Africa, in America Latina ed anche in Europa grazie ad un soft power attentamente pianificato. Per continuare ad affermarsi, la Repubblica Popolare ha bisogno però di stabilità: l’internazionalizzazione della sua moneta, il renminbi, non è ancora solida e la sua economia dipende ancora troppo dalle esportazioni verso i mercati occidentali.
Per questo difende tenacemente la coesistenza pacifica tra le potenze e il principio della “non ingerenza” negli affari interni degli stati, pur promuovendo nuovi equilibri mondiali basati sul multilateralismo e non più sulla prepotenza statunitense.
Pechino sostiene Mosca ma non l’invasione
La posizione di Pechino rispetto all’accelerazione del 24 febbraio può essere riassunta dalla formula: “La Cina sostiene la Russia ma non l’invasione dell’Ucraina”.
Il difficile equilibrio di Pechino tra i contendenti si è manifestato in occasione delle votazioni presso le Nazioni Unite delle risoluzioni contro l’aggressione di Mosca a Kiev; la Repubblica Popolare si è astenuta sia il 25 febbraio al Consiglio di Sicurezza – insieme all’India e agli Emirati Arabi Uniti – dove comunque la mozione è stata bloccata dal veto russo, sia il 2 marzo all’Assemblea Generale.
La pretesa neutralità di Pechino e la sua vicinanza nei confronti di Mosca hanno spinto gli Stati Uniti, alcuni paesi europei e lo stesso governo ucraino a chiedere esplicitamente alla Cina di premere su Vladimir Putin al fine di ottenere quantomeno un cessate il fuoco e l’avvio di una trattativa diplomatica risolutiva.
Sin dall’inizio della crisi, il governo cinese ha diffuso dichiarazioni apparentemente contrastanti: da una parte ha difeso la via diplomatica e l’inviolabilità della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni stato, ma dall’altra ha rimproverato agli USA di aver sottovalutato le conseguenze dell’espansione ad est dell’Alleanza Atlantica.
Dopo l’inizio dell’invasione (che secondo molti analisti ha colto Pechino di sorpresa), il ministro degli Esteri Wang Yi ha aggiustato lievemente il tiro, dicendo al suo omologo Sergej Lavrov di comprendere «le legittime preoccupazioni della Russia sulla sicurezza» derivanti da «circostanze storiche complesse e speciali». Poi Yi ha aggiunto che «la Cina sostiene che la mentalità da Guerra Fredda dovrebbe essere del tutto abbandonata e che un meccanismo di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile dovrebbe essere finalmente formato attraverso il dialogo».
Il patto Pechino-Mosca
Le relazioni tra Pechino e Mosca sono gradualmente migliorate negli ultimi anni, e lo scorso 4 febbraio – durante la storica visita di Putin in Cina in occasione dell’inaugurazione delle Olimpiadi Invernali – hanno visto un sostanziale salto di qualità.
I due capi di stato hanno infatti firmato un documento di collaborazione senza precedenti, fondato sull’aumento del coordinamento in politica estera, sulla difesa degli interessi comuni e sulla cooperazione contro le pressioni aggressive esterne. Mentre Pechino si impegna a sostenere Mosca contro l’allargamento della Nato, la Russia si impegna a sostenere la Cina nella rivendicazione della sua sovranità su Taiwan e contro le pressioni militari degli Stati Uniti e dei suoi alleati nel Mar Cinese Meridionale.
Tra i due paesi, affermano gli esperti, è aumentata la coincidenza geopolitica – in nome della comune avversione all’accerchiamento militare, diplomatico e commerciale perseguito da Washington – ma questo non vuol dire che gli obiettivi di Mosca e Pechino coincidano sul piano strategico, e nemmeno su quello militare.
Finora la Cina ha accettato di sostenere la Russia su alcuni fronti. Ad esempio ha rimosso le precedenti limitazioni alle importazioni di grano, orzo e altri cereali da Mosca, ed ha approvato un contratto trentennale che trasferirà ogni anno 10 miliardi di metri cubi di gas, attraverso una nuova condotta che passa per l’estremo oriente russo, dalla Gazprom alla compagnia energetica statale cinese CNPC. I due paesi hanno anche firmato un contratto per l’aumento delle forniture di carbone e petrolio russi a Pechino.
Si tratta sicuramente di un vantaggio per la Cina, che ha sempre più bisogno di forniture di idrocarburi per sostenere la crescita. Ma anche per la Russia, che deve trovare nuovi acquirenti per le sue materie prime sottoposte a embargo da parte degli Usa e della Gran Bretagna mentre molti paesi europei, dopo lo stop al Nord Stream 2, cercano alternative per ridurre la propria dipendenza da Mosca.
La Cina potrebbe anche decidere di sostenere il sistema finanziario russo, duramente colpito dalle sanzioni, ma non al punto da rischiare di compromettere le proprie relazioni economiche con l’Unione Europea e gli Stati Uniti, enormemente più consistenti rispetto a quelle con Mosca. Anche se negli ultimi mesi è sicureamente cresciuto, a fine 2021 il volume degli scambi commerciali tra i due paesi ammontava a circa 147 miliardi di dollari, neanche il 2,5% del totale. Non deve quindi stupire che, al momento, sia la Banca Asiatica per gli Investimenti sia la Nuova Banca di Sviluppo – entrambe controllate da Pechino – abbiano sospeso le proprie attività in Russia.
Del resto, per quanto i due giganti si siano avvicinati, Mosca e Pechino mantengono comunque la competizione su molti fronti. I progetti geopolitici tramite cui i due paesi intendono costruire egemonia – l’Unione Economica Eurasiatica e la Belt and Road Initiative – in parte si sovrappongono, così come rischiano di entrare in contraddizione le rispettive aree di influenza in Africa.
L’Ucraina, tassello fondamentale della “nuova Via della Seta”
Le remore della Cina nei confronti di un sostegno totale alla Russia hanno anche a che vedere con le forti relazioni finora intessute tra Kiev e Pechino. Di fatto al momento la Cina è il principale partner commerciale dell’Ucraina e soprattutto Kiev rappresenta un tassello fondamentale del corridoio economico-infrastrutturale della “Belt and Road Initiative”, la “nuova Via della Seta” fomentata da Pechino. Di fatto l’Ucraina è fondamentale per l’arrivo in Polonia – e quindi nell’Europa centro-orientale – del corridoio ferroviario previsto dalla BRI.
Dall’Ucraina, nel 2021, la Cina ha comprato il 75% del suo fabbisogno totale di grano e Kiev è stata finora un importante fornitore di tecnologia e attrezzature militari. Secondo i dati forniti dal SIPRI di Stoccolma, dal 2016 al 2020 l’Ucraina è stata il terzo esportatore di armi in Cina dopo Russia e Francia. Dall’Ucraina, ad esempio, Pechino ha acquistato la sua prima portaerei – la “Varyag” – modernizzata e ribattezzata “Liaoning” nel 2012. Negli ultimi anni il gruppo cinese Beijing Skyrizon ha tentato, senza però riuscirci perché ostacolato dal presidente Zelenskyi e da Washington, di acquisire una quota di maggioranza dell’azienda ucraina Motor Sich, specializzata nella produzione di motori per gli aerei.
lla vigilia dell’invasione russa, poi, la borsa merci cinese Bohai Commodity Exchange ha acquisito il 49,9% del JSC PFTS Stock Exchange, la società che gestisce il mercato azionario ucraino. Nel 2019 la Bohai CE aveva già acquisito la Banca Ucraina di Ricostruzione e Sviluppo mentre varie imprese cinesi hanno investito centinaia di milini di dollari in infrastrutture – metropolitane, stazioni, porti e strade – destinate proprio a sostenere il progetto di un corridoio stradale e ferroviario alternativo alle rotte già esistenti in Russia e in Bielorussia.
La guerra ucraina: rischi e opportunità
Da un certo punto di vista, come abbiamo visto, la decisione russa di invadere l’Ucraina rompe le uova nel paniere di Pechino. La Cina rischia di essere coinvolta nelle ritorsioni della Nato e la sua economia e la sua espansione commerciale nel mondo potrebbero subire pesanti ripercussioni. Dall’accelerazione militare della competizione tra poli geopolitici concorrenti, inoltre, Pechino ha molto da perdere.
Però è anche vero che la drammatizzazione dello scontro tra Usa e Russia – con l’UE schiacciata nel mezzo – obbliga la Casa Bianca a concentrare le attenzioni su Mosca alleggerendo la morsa su Pechino, che invece era stato il “nemico numero uno” di Washington nell’era Trump. Inoltre la consistente batteria di sanzioni varate da decine di paesi nei confronti della Russia – e della Bielorussia – obbliga Putin a incrementare le relazioni economiche con la Cina, aumentando però di fatto la propria dipendenza da Pechino, il che lo rende più condizionabile dalla strategia cinese.
In attesa di capire se l’incendio ucraino potrà essere domato più o meno in fretta e se lo scenario che ne deriverà sarà più o meno favorevole, la Repubblica Popolare aumenta del 7,1% la sua spesa militare. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.
FONTI E LINK DI APPROFONDIMENTO
https://www.agenzianova.com/news/la-presenza-cinese-in-ucraina/
https://www.limesonline.com/rubrica/cina-russia-xi-putin-olimpiadi-pechino
https://www.limesonline.com/cartaceo/la-cina-non-morira-per-la-russia
https://responsiblestatecraft.org/2022/03/07/the-war-in-ukraine-as-viewed-from-beijing/