di Patrizia Zanelli*
Pagine Esteri, 28 aprile 2022 – Essere presenti alla più importante esposizione d’arte internazionale del mondo, partecipandovi per presentare i propri lavori, significa esistere, essere in realtà. È questo il significato nella mostra From Palestine With Art, evento collaterale inserito nel programma della Biennale d’Arte di Venezia 2022 (23 aprile-27 novembre). Nell’ambito di questa 59esima edizione della celebre manifestazione artistica organizzata dall’ente veneziano, la presenza di 30 opere palestinesi in una sala di Palazzo Mora, ubicato nella centralissima Strada Nova, è la realizzazione di un progetto del Palestine Museum US, fondato e diretto da Faisal Saleh.
In un’intervista rilasciata a Pagine Esteri durante la pre-apertura di From Palestine With Art, lo stesso fondatore e direttore del museo ha spiegato come e perché è nata la mostra. Rispondendo alla prima domanda, Faisal Saleh ha parlato anche della sua carriera.
FS: Sono nato a Ramallah e, nel 1969, mi sono trasferito negli Stati uniti per studiare. Dopo il diploma in economia, ho lavorato come dirigente d’azienda e poi sono diventato un imprenditore. A un certo punto, mi sono reso conto di non avere mai fatto nulla per la Palestina. Ho quindi deciso di fare appunto qualcosa per la mia terra e per il mio popolo. Sentivo che la mancanza di musei palestinesi nell’emisfero occidentale era un vuoto da colmare, che la presenza della Palestina in Occidente era importante. Così, nel 2018, ho fondato il Palestine Museum US. Da allora la curatrice artistica Nancy Nesvet lavora con me, ed è stata proprio lei a scoprire che forse potevamo partecipare alla Biennale di Venezia. Era un’ottima idea per promuovere la nostra attività culturale. Abbiamo esplorato la possibilità di tenere una mostra a Palazzo Mora. Una volta verificato che era possibile, abbiamo deciso di presentare la domanda di partecipazione a un evento collaterale della Biennale di Venezia. Non volevamo che la nostra esposizione fosse semplicemente una delle tante mostre della rassegna Personal Structures che si tengono a Palazzo Mora. E alla fine la direttrice della biennale Cecilia Alemani ha accettato il nostro progetto.
D: Perché la partecipazione alla Biennale di Venezia è importante per il Palestine Museum US?
FS: Nel museo esponiamo perlopiù opere d’arte contemporanea che riceviamo in prestito da artisti palestinesi. Vivono in Palestina, negli Stati uniti o altrove nel mondo e vogliamo promuovere i loro lavori. La nostra collezione permanente è piuttosto piccola, include oggetti di varie epoche, un’ottantina di esemplari di tessuti e abiti ricamati. Abbiamo anche diverse terrecotte, un murale, un mosaico, francobolli e la più completa collezione di monete coniate in Palestina prima del 1948.
D: Quanti artisti partecipano a From Palestine With Art?
FS: Sono 19 artisti che vivono in Palestina o nella diaspora.
D: Come vi è venuta l’idea di intitolare From Palestine With Art la vostra mostra? È un titolo molto suggestivo.
FS: Lo so, richiama From Russia with Love della serie di James Bond. Il primo titolo che avevamo proposto per la mostra era uguale a quello di uno spettacolo che si stava presentando allora a Washington, ma non lo sapevamo. I responsabili della biennale ne erano a conoscenza e ci hanno chiesto di cambiare il titolo e di ripresentare subito la nostra domanda. L’idea migliore che mi è venuta in mente è stata appunto From Palestine With Art. Mi piace la parola from, perché indica la provenienza da un luogo che esiste.
D: La mostra è incentrata su un tema preciso?
FS: Sì e no. Stiamo costruendo un’intera visione, una struttura composita e varieggiata, formata da diversi tipi di lavori prodotti da vari artisti accumunati da un’idea. Tutti hanno cercato di creare un’immagine della Palestina da presentare al pubblico, di rafforzare l’identità palestinese, raccontando la storia della nostra terra e del nostro popolo. Queste opere d’arte sono necessarie, perché i sionisti stanno tentando di cancellare dal mondo la Palestina e i palestinesi. Dicono che noi non esistiamo. Le opere presentate alla mostra smentiscono questa tesi. Vogliamo che si sappia che noi siamo come tutte le altre persone del mondo. Non siamo vittime senza speranze e risorse. Siamo in grado di fare cose eccellenti e abbiamo delle eccellenze in svariati campi. Siamo sparsi per il mondo, assimiliamo le culture locali dei paesi in cui viviamo, ma tutte si amalgamano con le nostre sensibilità e aspirazioni particolari. Perciò la produzione culturale palestinese è transculturale da diversi decenni, continua a crescere e la Palestina esiste ovunque siamo.
D: Molti lavori esibiti nella mostra raffigurano paesaggi rurali. Perché?
FS: La Palestina è sempre stata soprattutto una realtà rurale. Ci sono città antiche importanti, ma sono poche. È una terra prevalentemente agricola. Il simbolo della Palestina è infatti l’ulivo.
D: In questa mostra la presenza femminile è predominante. Le artiste sono più numerose degli artisti, e immagini di donne compaiono in molte delle opere esibite. Come considera il ruolo delle donne palestinesi?
FS: È molto importante. Le donne hanno ispirato la prima Intifada. Sono la spina dorsale del movimento palestinese.
Le parole di Faisal Saleh spiegano bene lo spirito che anima From Palestine With Art. Le opere esposte confermano inoltre che la cultura palestinese è una cultura dell’esistenza. Quando si visita la mostra, si scopre che proprio l’iconica pittrice Samia Halaby ha creato Venetian Red, per letteralmente festeggiare la presenza della Palestina alla Biennale di Venezia. Jacqueline Bijan ha ritratto, à la Warhol ma con i colori della bandiera palestinese, la stessa Samia Halaby in Palestinian Portraits, in cui figurano anche il poeta Mahmoud Darwish, la poetessa Fadwa Tuqan e il fratello Ibrahim Tuqan – autore delle prime poesie moderne palestinesi -, l’ambasciatrice Leila Shahid, le scrittrici Suad El Amiri e Susan Abulhawa, l’attrice e regista Hiam Abbas, e lo scrittore Ghassan Kanafani.
From Palestine With Art è un misto di tradizione e modernità, un incrocio di correnti artistiche di varia provenienza perlopiù moderne. Nella mostra sono esibiti due abiti tradizionali che spiegano da soli perché, nel 2021, l’UNESCO abbia dichiarato il ricamo palestinese patrimonio culturale dell’umanità. In altre opere esposte, il sorriso timido dell’anziana venditrice di fichi fotografata da Hanan Awad, le movenze delicate delle figure femminili scolpite da Sana Farah Bishara, e la mise elegante e grintosa delle giovani dipinte da Suzan Bushnaq raccontano diversi percorsi esistenziali di donne palestinesi, le artiste stesse incluse, componendo un mosaico variegato di femminilità.
A Nabil Anani si deve In Pursuit of Utopia, una raffigurazione pittorica di un passaggio rurale fiorente e collinoso che contrasta con l’installazione di Ibrahim Alazza intitolata All that Remains: tutto ciò che rimane ai profughi palestinesi sta in un fagotto, poca roba involta in una kūfiyya.
Sul pavimento di un angolo della mostra si trova, invece, la riproduzione ingrandita di una mappa della Palestina del 1887, con i nomi di città e villaggi palestinesi, ancora intatti in quella data ma poi distrutti nel 1948. La mappa realizzata dall’accademico Salman Abu Sitta è la testimonianza di una realtà storica che si sta cercando di cancellare.
Ma questo inqualificabile tentativo di rimuovere storie di vite umane reali dalla memoria collettiva dell’umanità, innescato quasi 130 anni fa, vacilla dinanzi allo spirito umanista e ottimista che anima la cultura palestinese. Umanismo e ottimismo che, tra le molte altre cose, hanno portato proprio alla realizzazione di From Palestine With Art, all’effettiva presenza della Palestina alla Biennale di Venezia 2022. Pagine Esteri
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Oltre a Warda ha tradotto diverse altre opere letterarie, tra cui la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad e il romanzo Memorie di una gallina (Istituto per l’Oriente “C.A. Nallino”, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī.